Veloci, Troppo veloci. Il prezzo esistenziale dell’accelerazione

Intorno e dentro di noi il tributo che paghiamo ogni giorno, da quando abbiamo voluto dimenticare che la velocità è minaccia, decidendo di trasformarla in anestetico.
Ora possiamo, finalmente, correre senza sentire il dolore nei piedi, anzi nell’anima, perché la frenesia ci offre la possibilità di non vedere, dunque di non porci problemi di sorta, siano essi personali, educativi o sociali. Al massimo ci chiediamo perché i bambini e i ragazzi sono così inquieti, in realtà senza volere ascoltare la risposta. Solo per il gusto di dire a noi stessi che l’avevamo notato.

L’accelerazione sistematica delle nostre vite è la prima causa del malessere esistenziale, di grandi e piccoli, un malessere che i manuali si divertono a chiamare malattia sebbene non lo sia affatto, lo sappiamo ma “fa più scienza” chiamarlo così. Forse anche mercato.
Se rallentassimo, anche solo del venti per cento, perderei metà dei miei pazienti. Non si tratta di un’iperbole, ma di ciò che osservo con regolarità, avendo peraltro fatto in tempo a cominciare la mia professione negli anni Ottanta, quando eravamo già in fase di spinta ma non ancora così accelerati.

Da allora la situazione è precipitata, ma in modo progressivo, dandoci il tempo di abituarci e di pagare altre due cambiali. Per prima cosa siamo diventanti meno guardinghi, quindi più esposti, succede quando si corre. In secondo luogo, abbiamo psicologizzato tutto ciò che si poteva, dai bambini a scuola, sommersi dalle diagnosi, ai grandi, a loro volta segnati da sofferenze legate al lavoro e ai disagi di una vita di relazione, privata e allargata, sempre più complessa, perché la velocità ferisce tutto ciò che sfiora. Alle olimpiadi la velocità ti fa vincere, nella vita di tutti i giorni può piegarti, infatti, aumenta il numero di persone che arrivano vicine al punto di rottura.

Quando è nata la psicoanalisi, il mezzo di locomozione più diffuso era la carrozza coi cavalli, ma gli strumenti di peso e di misura erano identici a quelli di oggi, un chilo conteneva mille grammi, un giorno ventiquattro ore, contenitori fissi, immodificabili, nel frattempo il numero di eventi che noi possiamo vivere nelle stesse ventiquattro ore si è centuplicato, obbligandoci a moltiplicare gli sforzi di riadattamento.
Abbiamo perso il controllo, ma a tutto si può rimediare, la chimica in fondo serve a questo. Inganno necessario. Venti anni fa negli Stati Uniti, il numero di persone ansiose e depresse risultava raddoppiato rispetto al ventennio precedente, proprio in corrispondenza con l’inizio dell’accelerazione, in quel periodo un insigne psichiatra scriveva che nel 2004, nello stesso paese si erano spesi 36 miliardi di dollari in prodotti o servizi per rilassarsi, mentre il 70 per cento della popolazione maschile era in sovrappeso. Non un indizio di benessere interiore.

Ci inventiamo diagnosi sempre più sofisticate a carico dei bambini, dei ragazzi e degli adulti, siamo bravissimi a catalogare i sintomi, ma ci rifiutiamo di guardare in faccia con onestà l’origine di questa aggressione senza precedenti all’equilibrio della persona, illudendoci che basti curarla.
Di questo passo, i nostri virtuosismi classificatori e interpretativi, saranno tutto ciò che ci rimarrà tra le dita.

Approfondiremo la riflessione su questo tema tra qualche giorno, nel frattempo leggerò le vostre riflessioni, molte delle quali mi arrivano via mail, ed è un peccato perché filtro pensieri di estremo interesse, che sarebbero utili a tanti, anche ai giovani che ci seguono.

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18 pensieri riguardo “Veloci, Troppo veloci. Il prezzo esistenziale dell’accelerazione

  1. Quando uscì per la prima volta dopo la prima chiusura era fine aprile, negozi chiusi e strade deserte. La prima impressione durata pochissimi secondi, fu di sbigottimento, subito dopo di grande serenità. I rari incontri per strada erano ovattati, tra tensione e grande senso civico. Nessuno attaccato al cellulare mentre era alla guida, mascherine rigorosamente indossate, qualche gesto di saluto discreto dalla giusta distanza.
    Tutto cambiato in pochi mesi, riprese le vecchie abitudini, l’inciviltà regna sovrana. Basterebbe solo pensare a come eravamo pochi mesi fa, per rallentare il ritmo, riflettere sui tempi e priorità, che la pandemia aveva riconvertito in serenità e riflessione interiore.

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    1. Ecco, colto perfettamente il punto, caro Pier, il periodo di chiusura, a causa di un effetto relativistico, ci aveva permesso di misurare come funzionaniamo di solito, mettendo in evidenza una sorta di abisso. Forse non era uno stato ideale, quello generato dal lockdown, ma il ritmo in cui siamo immersi non lo sarà mai, e neppure rallenterà senza scelte radicali, perché sarebbe come fermare l’espansione dell’universo con una calamita grande come una scatola di fiammiferi. Occorre uno sforzo sovrumano per riuscirici ma nel frattempo, almeno, smettiamola di fare finta di niente e portiamo rispetto, per tutti coloro, piccoli e grandi, che rimangono schiacciati de questa frenesia.

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  2. A mio avviso dovremmo riflettere sul perche’ ci fermiamo solo quando gli eventi, vedi lockdown, ce lo impongono, ma anche quando nella nostra vita arriva la malattia.
    La nostra quotidianita’ cambia completamente. Gli impegni lavorativi che fino al giorno prima ci sembravano improrogabili, dal giorno dopo ci accorgiamo che il mondo continua la sua corsa anche senza di noi, Solo il tempo, unica cosa costante, procede come sempre, con si suoi secondi, minuti e ore.
    Il nostro “prezioso ” tempo invece viene scandito da interventi chirurgici, visite, esami diagnostici, controlli, e tanta, tanta attesa nelle sale d’aspetto degli ospedali.
    E’ inevitabile, durante questa forzata pausa, accorgerci di cio’ che ci gira intorno, osserviamo, ascoltiamo, vediamo un mondo che prima non potevamo neppure notare, sempre troppo in corsa.
    Il tecnico che eseguiva le mie sedute di radioterapia presso l’ospedale in cui ero in cura, alcuni anni fa, mi ripeteva spesso: ” si corre, si corre, ma quando si arriva qui, ci si ferma per forza….”
    Poi passato il periodo, tutto ricomincia con la solita frenesia e si rimpiangono, per assurdo, quei momenti in cui il tempo sembrava cristalizzato.

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    1. Il suo tecnico radiologo, cara Savina, non è proprio l’ultimo arrivato. Chissà quante persone “confessa”, chissà quanti individui fanno i suoi stessi bilanci davanti a lui. Davvero amaro pensare che solo quando la violenza degli eventi ci ferma, noi ritroviamo parti dimenticate, spesso quelle giuste. Ieri mi trovavo di fronte un giovane, appena lasciato dalla sua bellissima ragazza, è venuto a cercare sostegno, comprensibile, ma credo fino al giorno fosse piuttosto disinteressato verso ciò che succedeva intorno a lui. Non aveva motivo di guardare oltre il perimetro dei suoi piccoli interessi. Ieri, scosso dalla frustata, sembrava un filosofo greco. Quell’insuccesso sembrava restituirlo a se stesso.
      Lei dice il vero, non si dovrebbe aspettare il terremoto per capire quanto può essere confortevole una tenda campeggio e, soprattutto, quando accade il peggio dovremmo conservare qualche insegnamento, ma la nostra memoria, stimolata a ripetizione da eventi reali e virtuali, oramai dura quanto al fuoco di un cerino. Grazie per le sue parole.

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  3. Vero che il mondo “fuori” accelera e in qualche misura condiziona le nostre esistenze, imponendoci i suoi ritmi.
    Vero però, come dice lei, che spesso siamo anche noi a sposare la velocità, perché è un incredibile “anestetico” e ci fa comodo.
    La vita frenetica ci impegna allo spasimo, ci costringe ad inseguire impegni, appuntamenti, incombenze, persone a ritmi spesso inumani, ma al contempo, riconosciamolo, ci impedisce di pensare troppo al “senso”, al grado di soddisfazione della nostra esistenza, alla qualità delle relazioni che abbiamo con gli altri, a partire da quelle più strette, ed in tale prospettiva qualche volta la velocità è anche una fuga voluta dalle domande profonde, quelle che scavano le nostre essenze.
    Il punto è che, come per ogni anestetico, ad un certo punto l’effetto svanisce, ed una persona poi si trova a nudo con i propri problemi, le proprie frustrazioni, i propri limiti, e magari anche più sola, perché in quella frenesia ha consumato e sacrificato legami e affetti.
    Un grande autoinganno.

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    1. Certo, c’è una forte complicità, alla fine siamo noi il motore di questo stato di cose, però adesso, come succede al povero apprendista stregone, non abbiamo più il controllo del gioco, che è diventato insostenibile, sia per il pianeta, sia per chi lo abita. Così sostenibilità ora è una parola magica, speriamo non sia solo un esorcismo. Sembra un secolo ma era appena ieri che Greta Tumberg veniva trattata come una ragazzina disturbata e ingenua. Ora, però, che l’evidenza si è fatta sfacciata, si comincia a essere meno maleducati. Vediamo quanto durerà. Grazie del suo intervento.

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  4. Concordo pienamente tutta questa velocità della vita non ci aiuta a capire bene cosa ci è utile o no nella vita e fa ammalare tante persone.. Bisogna recuperare consapevolezza e discernimento altrimenti si viene travolti da tante cose tutto è peggiorato con il consumismo sfrenato..

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    1. Grazie Giuseppe, per adesso sarebbe sufficiente cominciare a chiamare le cose con il loro nome, maturare la consapevolezza che così non può durare perché siamo vicini al limite, sarebbe già un grande progresso. Un primo passo verso i più colpiti dalla frenesia del mondo, i bambini.

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  5. La velocità.
    Sono musicista e suono principalmente con i bambini/e, ragazzi/e, se prima (senza andare troppo lontano), si partiva dal leggere lo spartito, ascoltarlo nella testa/orecchie, sentirlo nelle dita senza toccare lo strumento e poi renderlo in pienezza sul proprio strumento, oggi, si parte dal bisogno irrefrenabile di fare tutto insieme. Risultato? Tutto si prede in uno stato di confusione, di mancanza di ritmi, neppure si riconosce che quella melodia è proprio quella melodia. Da qui, poco a poco si abbandona quel brano scelto, desiderato. Troppo difficile rallentare, leggere ed eseguire ascoltando ciò che suoni, che è ciò che sei. E allora, proprio in questi giorni, sto imparando (con moooooolta, mia personale difficoltà, perché anche io dentro questa corsa) a ri-fermarmi per prima. Mi metto in un angolo dell’aula e mi fermo, senza fare nulla, senza dire nulla. Li aspetto, ad uno ad uno, mentre mi aspetto a mia volta. Capita che si fermino e ti guardino. Da lì nasce un compito: riunire tutti questi attimi di “fermo” per farli diventare un “fermo movimento” che ripristina il pensiero, il gusto, l’ascolto, il tocco, la bellezza di ri-sentire ciò che stiamo dicendo suonando. Ed è bello. Così, semplicemente bello.
    Virna

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    1. la logica, cara Virna, è quella dei videogames, scandita dalla necessita di ottenere una sosddisfazione istantanea, una volta ottenuta, ne richiede un’altra e poi un’altra, all’infinito. Il risultato finale non è l’appagamento ma la dipendenza e lo svuotamento interiore.

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    2. Chi studia musica sa quanto sia importante lavorare modificando la velocità e il ritmo, per vedere aspetti altrimenti nascosti nelle pieghe della normalità del brano, per poi tornare con consapevolezza,padronanza e originalità allo spartito.
      Certo la soddisfazione non è immediata, ma perché tendiamo a farla coincidere con la meta e non con il viaggio.

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  6. Come Virna, da insegnante di scuola dell’infanzia mi ritrovo nelle stesse percezioni, anche se vissute con i bambini più piccoli. I miei alunni vivono in uno stato di perpetua agitazione che li coinvolge in tutti i aspetti, sia corporei che mentali. Noi adulti ne siamo complici, riempiamo questo tempo con mille progetti, attività, iniziative e senza accorgerci, forse impauriti dagli effetti di questa corsa sfrenata, dalle pressioni e richieste che riceviamo dal mondo scolastico, rendiamo la vita di questi piccoli un perenne lunapark, senza però riuscire a prepararli alla vita vera. Per fortuna non è sempre così, ci sono parentesi che ci aiutano a prendere delle pause… Ad esempio quando ogni giorno usciamo in giardino. Quell’oretta quotidiana diventa un’occasione preziosa: dopo i primi minuti di corse sfrenate, ritorna la calma. L’incontro con una foglia d’autunno, una coccinella, un lombrico che si contorce nella terra diventano esperienza di tempo ritrovato, di calma, di osservazione, di condivisione, di meraviglia, di gioia autentica.

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    1. Eccoli, i bambini. Gli interventi di Antonella e di Virna mettono il dito sulla piaga, quella dei lasciti sulle nuove generazioni di una ritmica che non appartiene al genere umano, che è figlio di processi lenti. Se la velocità ci fosse connaturata staremmo bene, anzi benissimo, visto il ritmo, invece il disagio e la sofferenza, soprattutto nelle giovani generazioni, si moltiplica. I bambini, come i canarini che nelle miniere venivano usati per segnalare la presenza di gas mortali, dicono che stiamo andando dalla parte sbagliata, gli insegnanti, a loro volta piegati da un ritmo spesso insostenibile, sono coloro che avvertono meglio questa contraddizione, più degli stessi genitori, molto concentrati sulla prestazione.
      MI chiedo quanti genitori nei colloqui con gli insegnanti domandano se la loro bambina o il loro bambino sta bene nel gruppo, se rispetta gli altri, se è sereno.
      Un’insegnante mi raccontava che quando arriva il giorno dei colloqui coi genitori, assiìume quindici gogge di ansiolitico, perché non riesce a reggere, oltre che le proprie, le ansie di madri e padri che sembrano cercare conferme di se stessi nel rendimento dei figlio e caricano una pressione insopportale sugli insegnanti, spesso ammantata di scontentezza e rivendicazioni.
      Grazie Antonella, torneremo presto sull’argomento.

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  7. Mi viene in mente un film che hanno suggerito i miei figli: In Time. Una proposta interessante. Una serata da quadretto familiare. Tutti sul divano a guardare il film. I figli che non conoscono i ritmi lenti della nostra gioventù capiscono che c’è qualcosa che non va. Il film racconta bene il disagio del tempo che scappa. Gli stessi figli, 25 anni uno, appena maggiorenne l’altro, che si fanno sentire con un messaggio ogni tanto quando stanno fuori casa per periodi piuttosto lunghi, che hanno un sacco di cose da fare come se si dovesse fare proprio tutto. Noi genitori cerchiamo di far loro capire che non si vive così, ma la percezione che loro hanno è la stessa che avevamo noi da ragazzi: i genitori non capiscono sono vecchi.
    Il compleanno del diciottenne ha messo in luce che va raddrizzato il tiro.
    Il compleanno dei 18 anni è una tappa importante, una tappa da festeggiare magari velocemente il giorno stesso, ma sicuramente bisogna dedicare una festa di famiglia. Lo scambio di auguri tra i ragazzi ci ha fatto fare delle riflessioni importanti. Forse non si sono resi conto, ma, essendo il primogenito all’estero, gli auguri per messaggio non sono proprio accettabili. Le relazioni hanno bisogno di tempo, e il tempo si trova. E’ una questione di priorità. Lanciati come razzi nello spazio stanno vivendo la vita a tutta velocità come se dovessero perdere l’occasione giusta. La stessa cosa capita anche a noi genitori. L’ansia di vedere l’ultima mostra, l’ultimo film, le mail sempre aperte, i giornali sempre letti, i corsi di aggiornamento sempre fatti, con la sensazione di essere pozzi senza fondo che non si riempiono mai. Sta a noi adulti dare che fermarsi serve, anche per vedere se la strada che si sta percorrendo è quella giusta o meglio cambiarla, sta a noi genitori riprendere i figli e dire che così non è corretto che questa via è quella che fa perdere le persone care. L’amore qualsiasi amore ha bisogno di tempo. I famosi riti che il piccolo principe insegna alla volpe.
    Il tempo lento fa venire a galla paure e ansie ed è sempre lo stesso tempo lento che le guarisce. Correre ci rende come i criceti nelle gabbiette.
    Anche questo blog ha un ritmo lento: si legge l’articolo, si leggono i commenti, si legge la risposta, si pubblica la propria esperienza. E’ lento questo tempo, di solito ‘consumo’ l’articolo lo elaboro e via a un altro.
    Sembra di essere a cena con amici che non si vedono da tanto tempo. La voglia di raccontare è tanta ma bisogna ascoltare anche gli altri e la serata si fa lunga, piacevole e ci si arricchisce di nuovi vissuti. Così questo blog: si legge Domenico ma ci si arricchisce di tutti i vissuti raccontati nei commenti. Come il minestrone: più verdura c’è e ben cotta più buono è.
    Secondo me l’idea è venuta a Luciano . Comunque grazie vi seguo sicuro.
    D.C.M

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    1. Non saprei se tutti percepiscono gli effetti dell’accelerazione, o meglio, non saprei se riescono ad associare il loro malessere alla frenesia che ci attanaglia. Il lunedì viene a trovarmi un ragazzo, arriva da lontano, gli piace fare la seduta in giro, vuole camminare.
      Il fatto è che partiamo lenti, sempre, poi lui, senza accorgersi, comincia ad accelerare e a me viene il fiatone, perché non riesco a parlare mentre vado svelto . Non lo fa di proposito, me ne accorco quando gli chiedo di rallentare e lui reagisce come se si destasse da uno stato di “naturalità”, sorride e rallenta. È questo il punto, la naturalità, ci siamo impregnati a piccole dosi, senza neppure accorgerci di ciò che stava accadendo. Lo scarto tra il giorno prima è quello appresso è talmente piccolo che risulta impossibile da misurare.
      Spero che questo spazio non ripercorra il ritmo di quelle passeggiate, proviamo a partire lenti e a rimanerci. Tanto, in realtà non dobbiamo andare da nessuna parte. La metà migliore, la più riposante. Grazie.

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  8. Caro Domenico, mi permetto di azzardare un corollario che prende le mosse dalle mie sensazioni quotidiane. Credo che l’accelerazione di cui scrivi ci porti a lasciar sfilare in secondo piano, se non occultare del tutto, una componente essenziale che alcune circostanze possono poi riportare a galla prepotentemente: il vuoto. Me ne accorgo nella smania di riempire le giornate per sentirmi completo, nella necessità di cercare l’altro per non trascorrere troppo tempo con me stesso. Anche se a fatica, sto provando ad accettare la compagnia del vuoto, perché sento che il valore del tempo e dei legami dipenda molto da questo. Cosa ne pensi?

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    1. Penso, caro Alessandro, che il tuo scatto è quello di un fotografo professionista. La fuga dal vuoto è un tema che affronteremo presto sulle pagine del blog.

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