I ragazzi di Gallarate e quello scatto sfocato, opera di adulti, psicologi e giornalisti

I giovani rapinatori violenti di Gallarate rappresentano solo se stessi.
Non sono l’immagine veritiera della loro generazione, così come un adulto che delinque non è lo specchio di milioni di coetanei.

Eppure, una concomitanza di letture antiche, reiterate, pigre, conformiste, sovente avventate, fissa l’adolescenza in una categoria sociologica omogenea. Fenomeno che raramente colpisce altre stringhe anagrafiche. Loro, gli adolescenti, sono sempre “associati”, e se uno esce dalle righe scatta l’universalizzazione.

La responsabilità è di noi adulti, degli psicologi, poi dei giornali. Tutti disinteressati alla normalità, ma ferocemente concentrati sulle eccezioni, che però eleviamo subito a norma, perché non riusciamo a sopportare l’idea che una conclusione vale solo per una singola persona, è troppo faticoso. Rifiutiamo di credere nell’evidenza, ossia che se spostiamo lo sguardo solo di una spanna, diventa necessario ricominciare daccapo.

Due mesi fa a Firenze e un mese fa a Milano, mi sono confrontato con un centinaio di adolescenti, medie e superiori, dialoghi serrati, il sottoscritto in costante apprendimento, perché ogni volta che interveniva uno di loro illuminava un pezzettino di territorio che al resto del gruppo, me compreso, era sfuggito. Eppure, malgrado il campione fosse assai più ampio dei ragazzini di Gallarate, e sebbene sia ragionevole pensare che questi ragazzi siano assai più numerosi degli altri, non mi sentirei di dire che rappresentano uno spaccato fedele dei loro coetanei italiani, per la semplice ragione che non esiste uno spaccato. Dobbiamo considerarli uno alla volta, come del resto i loro singoli genitori, i loro singoli insegnanti, senza tirare in ballo tutte le famiglie, tutte i padri e le madri, tutta scuola, altrimenti finiamo per vendere pettegolezzo spacciandolo come scienza o come informazione   

Uno di quei genitori gallaratesi, uno solo (nell’articolo del massimo quotidiano nazionale che racconto la vicenda è scritto chiaro) si è sfogato dicendo che non ce la fa più a gestire suo figlio, tuttavia, il titolo era: “La resa dei genitori. I nostri figli non li gestiamo più”. Immaginiamo quale ombrello di suggestioni apra un titolo del genere. Se poi ci si mette anche la Chiesa, che attraverso il cardinale di Milano, alla vigilia di Sant’Ambrogio, parla di rischio di “catastrofe educativa”, il quadro è completo.

Forse ci saranno genitori a cui la situazione è sfuggita di mano, ma non è così per la stragrande maggioranza di essi. Vero è invece che i genitori devono crescere, ma deve farlo anche la psicologia e chiunque voglia mettere becco nella vita dei ragazzi, Chiesa compresa.

Da oltre trent’anni giro il Paese, proprio per parlare coi cittadini, credo di averne incontrati centinaia di migliaia, e non mi sento di sottoscrivere sentenze a base di negativismo (gli adulti sono sempre stati pessimisti sui ragazzi) e di reducismo (altra specialità dei grandi, pronti a ricordare che le generazioni precedenti erano meglio dell’attuale),  

I ragazzi di Gallarate possiedono nomi e cognomi, come quelli di Mortara, che pochi anni prima avevano seviziato un loro coetaneo, pubblicando le immagini sul web, e come altri ragazzi, ma sono lo ambasciatori di se stessi, non della loro generazione.

Proprio a Mortara, a seguito di quegli atti di violenza, ero stato invitato a confrontarmi coi genitori e gli insegnanti, in un teatro cittadino colmo di persone di buona volontà, pronte a mettersi in discussione. La quasi totalità di quelle madri e di quei padri facevano bene il proprio mestiere, come spesso succede a scuola, perché siamo circondati da persone disposte ad affrontare i problemi col ragionamento e non sentono il bisogno di ascoltare profeti di sventura, generalizzazioni arbitrarie, affermazioni a effetto e titoli acchiappa click.

Sarebbe meglio accompagnare queste realtà educative con l’unico strumento davvero in grado di funzionare. Incrementarne le competenze, aiutandoli a intervenire senza tirare a indovinare, e magari, già che ci siamo, facendolo a costi ragionevoli. Si, perché aiutare la scuola significa anche questo, lasciare che sia essa a dirci quali sono le sue possibilità e accettarle a prescindere, considerata la posta in gioco.   

9 pensieri riguardo “I ragazzi di Gallarate e quello scatto sfocato, opera di adulti, psicologi e giornalisti

  1. Che dire, dottore, ha ragione lei…ma la generalizzazione è una scelta di comodo. Vuol mettere, la fatica di inseguire uno ad uno quei giovani (non quelli di Gallarate, ma anche i suoi di Firenze e di Milano e tutti i giovani) e comprenderne il vissuto, la storia, le emozioni, le aspirazioni per “chiamarli per nome”, come lei ci insegna, in una vera relazione educativa? Giudicare, chiudere in un recinto e standardizzare è molto più facile e probabilmente anche mediaticamente funziona di più.

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    1. Esattamente così, ma l’effetto collaterale è sotto i nostri oggi, siamo alla denuncia generalizzata, incombente sull’intero universo giovanile, una gara a chi allarma di più, e mi chiedo con che coraggio, considerato che gli accusatori e i modelli sono lo stesso soggetto.
      Partire da ciò che abbiamo di fronte, invece di cercare la massa. Ma per arrivare a questo occorre avere un’idea dei bambini e dei ragazzi che ci troviamo di fronte, cercare la strada giusta.
      La ragione per la quale nasce questo blog è da ricercare proprio bisogno di ritrovare il gusto dello studio dell’infanzia e dell’adolescenza, evitando la vera causa della nostra cecità, le frasi a effetto, gli slogan, che non sfiorano nemmeno il bersaglio, lasciando da soli bambini e ragazzi, ma incantano i media, che diventano complici dell’allarmismo in atto.
      Nei 14 video che si possono trovare alla pagina “video e podcast” c’è un tentativo di tornare alla grammatica elementare, di provare a capire come e perché un bambino o un ragazzo stanno facendo ciò che gli vediamo fare.
      Cogliere la meta precisa del loro itinerario ci consente di raggiungerli sulla strada, è il nostro impegno principale.
      Una volta che li abbiamo affiancati, possiamo decidere a ragion veduta se accompagnarli, qualora si stanno dirigendo dalla parte giusta, oppure correggerne il percorso, se sono diretti dalla parte sbagliata, molto facile da indovinare, perché li sta portando lontano dall’incontro con il loro prossimo.

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  2. Caro Domenico non puoi sapere come sono d’accordo con te. Basta generalizzare sui ragazzi!! Te ne racconto una…era la vigilia della cresima di mio figlio, la catechista, (bizzoca!!!) in riunione dice:…non mi resta che piangere sui vostri figli…
    Ma come ti permetti…io mio figlio me lo sono cresciuto con le mollichine..con l’accortenza di una mamma..di un genitore..di una educatrice….non puoi mettere nel calderone un ragazzo fatto e cresciuto per bene!!!!

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    1. Ecco, una catechiesta felice e aperta alla speranza, proprio quello che ci vuole!!! Naturalmente scherzo, anche se ci sarebbe assaai poco da
      scherzare. Grazie mille

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  3. Buongiorno, aggiungo agli esempi di generalizzazione quello che succede in molte scuole, dove le note sono spesso di classe, oppure dove ai danni in palestra pagano tutti gli studenti. Credo che purtroppo con questi metodi, al giorno d’oggi, non si faccia un passo avanti per i responsabili, ma un passo indietro per gli altri, che covano rabbia e frustrazione. Certamente questi ultimi si nascondono dietro l’omertà e l’educatore cerca di far capire che il danno riguarda tutti e tutti ne vengono coinvolti…. Quale altro metodo si potrebbe utilizzare? Lei, dott. Domenico, cosa consiglierebbe ai docenti o dirigenti?

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    1. La sua riflessione contiene già qualche scampolo di risposta, tuttavia, considerato che tocchiamo uno dei nervi scoperti della scuola,
      preferirei risponderle con calma, dedicando l’intero prossimo post proprio ai temi da lei sollevati, dico temi, al plurale, perché dietro la sua domanda si celano una serie di aspetti che ci riguardano tutti, anche chi non è più coinvolto nella vita scolastica.
      Grazie e buona giornata

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  4. Siamo in una società di irresponsabili. E’ sempre colpa di altro: dei social, degli adolescenti, della televisione, delle gonne troppo corte, …. sempre altro. Invece ognuno di noi è responsabile del proprio pezzetto di realtà, delle persone che incontriamo, dell’uso dei social, del modo di usare il denaro, del modo di educare.
    Sapendo che si può sbagliare, ma fa parte del gioco.
    Certo è doloroso sapere che ci sono ragazzi che si comportano così, ma io mi chiedo cosa porta un ragazzo a comportarsi così?
    Ho conosciuto un ragazzo così strafottente e maleducato che rischia il posto di lavoro per il suo atteggiamento. Una mattina lo incontro e lo vedo piangere. Lo prendo da parte e mi faccio raccontare. Gli stava morendo il cagnolino. Sono rimasta senza parole. Non voglio assolvere nessuno, ma fare la fatica di capire è doveroso per non creare categorie di persone: gli adolescenti, gli immigrati,….. perché quando non si vede più la persona ma si resta nella categoria è più facile trattarla male, lasciarla al freddo e non accoglierla. Il nazismo è nato così. Si comincia per gioco per arrivare alla realtà.

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  5. Siamo in una società di irresponsabili. E’ sempre colpa di altro: dei social, degli adolescenti, della televisione, delle gonne troppo corte, …. sempre altro. Invece ognuno di noi è responsabile del proprio pezzetto di realtà, delle persone che incontriamo, dell’uso dei social, del modo di usare il denaro, del modo di educare.
    Sapendo che si può sbagliare, ma fa parte del gioco.
    Certo è doloroso sapere che ci sono ragazzi che si comportano così, ma io mi chiedo cosa porta un ragazzo a comportarsi così?
    Ho conosciuto un ragazzo così strafottente e maleducato da rischiare il posto di lavoro per il suo atteggiamento. Una mattina lo incontro e lo vedo piangere. Lo prendo da parte e mi faccio raccontare. Gli stava morendo il cagnolino. Sono rimasta senza parole. Non voglio assolvere nessuno, ma fare la fatica di capire è doveroso per non creare categorie di persone: gli adolescenti, gli immigrati,….. perché quando non si vede più la persona ma si resta nella categoria è più facile trattarla male, lasciarla al freddo e non accoglierla. Il nazismo è nato così. Si comincia per gioco per arrivare alla realtà.

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    1. Abbiamo, in due diversi post, toccato l’argomento dell’accelerazione delle nostre vita. Non era accademia, noi non siamo nati per
      correre, non ne siamo predisposti, quindi più velocità meno umanità. Guardiamoci intorno, gli effetti sono visibili, non c’è bisogno della psicologia per averne contezza. Del resto, la storia che racconta, il ragazzo insolente che piange per la prospettiva di perdere il cane, è un fermo immagine estremamente simbolico, come se improvvisamente fossero tornati pesi e misure restituendo significato agli eventi.

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