Il peso drammatico della velocità nella nostra vita, in quella dei bambini, in quella dei ragazzi.  

La velocità a cui gira il nostro mondo interiore è invisibile, forse per questo ci sfugge la sua letalità.

Assisto alla “colata” del bronzo, con una quota di stagno, che avrebbe modellato le campane per una nuova chiesa abruzzese. Il teatro un’antica fonderia nel Cremasco. 

Il parroco, amico fraterno, venuto apposta con una ventina di fedeli da Francavilla, mi aveva chiesto di esserci.  

Un rito arcaico, la fusione di quella lega, data in pasto agli stampi che l’avrebbero custodita per una ventina di giorni, il tempo di raffreddarsi e consolidarsi. 

Finita quella parte, il fonditore rovescia un paio di “mestoli” in un secchio di acqua fredda, che si trasformano subitaneamente in una miriade di frammenti irregolari. 

Sarebbero diventati i “regalini” beneauguranti che un tempo venivano offerti ai presenti in cambio di una piccola regalia. Stavolta nessuna mancia, ognuno poteva prelevarne a piacere.

I minuti scorrevano con lentezza, su una solida pista tridimensionale. Prima avevamo ascoltato il racconto dell’artigiano, una quarantina d’anni, assistito da due anziani parenti, fonditori anch’essi, suoi predecessori in quella piccola azienda, che lo avrebbero aiutato nelle operazioni.

Nessuno di noi aveva fretta né pensava che stessimo sprecando il nostro tempo, sembrava quasi che ci stessimo incorporando nella materia incandescente, come parte delle future campane.

“Se rallentassimo solo del venti per cento, io perderei l’ottanta per cento dei miei pazienti”. Avevo risposto tempo fa a un giornalista. Non è un modo di dire, la velocità è responsabile della nevrotizzazione di quote crescenti di popolazione, a cominciare dai più piccoli, ma si tratta di un parametro immateriale, non si vede, quindi non lo si considera. 

Tutto quello che vediamo muoversi nella dimensione fisica, dalle stelle alle lampadine, dagli aerei ai computer, funziona grazie a sofisticati processi invisibili, ma in Fisica ciò che non si vede è studiato e continua a dare luogo a svolte sorprendenti, mentre la velocità di esercizio degli esseri umani non viene considerata, anzi l’incitamento a correre è il vangelo di oggi e di domani, perché crea business a tutti i livelli. L’infelicità, il perenne sentimento di inadeguatezza, muovono fiumi immensi di danaro. 

Dopo tanti anni, mi chiedo cos’è che ci ammala. I manuali rappresentano solo una fotografia del luogo dell’incidente, dettagliata, spesso dettagliatissima, come un catalogo di corpi celesti, ma non contengono risposte.

La mamma di una ragazzina mi ripete che quando è seduta in anticamera ad attendere la figlia, in silenzio, si sente bene, le sembra di essere in terapia pure lei. Il segreto è proprio in quel tempo senza contenuti, privo di finalità e di costi.   

Il giorno dopo quella colata di metallo, che faceva sfrigolare l’aria della fonderia, penso a quando è cominciata davvero l’era della frenesia che ammala. In realtà ci dovremmo chiedere se -posto che essa è incompatibile con la nostra vita- qualcuno è davvero interessato a fermarla, a cominciare da noi stessi, che riusciamo a stare male anche in ferie perché si “spezza” il ritmo.

Proprio mentre mi accingo a postare questo scritto, mi telefona il mio amico sacerdote per dirmi che nella notte un ragazzo di 24 anni, suo parrocchiano, è deceduto in un incidente stradale. 

Ha perso il controllo della moto e si è schiantato contro un palo dell’illuminazione pubblica. Forse voleva arrivare prima. 

2 pensieri riguardo “Il peso drammatico della velocità nella nostra vita, in quella dei bambini, in quella dei ragazzi.  

  1. A differenza della saggia signora, di solito succede che vivendo un tempo senza contenuti e privo di finalità ci si annoia. Perché? Verosimilmente perché a forza di identificare l’essere col fare – più faccio più “sono”- non siamo più capaci di sperimentare e permanere nella semplice consapevolezza d’essere. A volte invece accade che riusciamo a contattare la nettezza dell’esserci ma lì, faccia a faccia con noi stessi invece di sentirci in buona compagnia irrompono strani malesseri, che anestetizziamo dandoci da fare così da allontanarci da noi stessi.

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    1. Carissimo Bruno, benvenuto. Correre per non pensare, correre per non vedere, una bella anestesia esistenziale, il tuo blog è più vecchio del mio e conosce questi sentieri e li visita con la saggezza che vi ritrovo quando lo visito. Un abbraccio

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