6 pensieri riguardo “L’odio e la guerra prima passano da casa. La nostra”
Lo dice lei e non troverei modo migliore: “ignorare il contributo delle proprie azioni al moltiplicarsi delle ingiustizie” è il modo migliore per alimentarle e farle proliferare, anche se poi, ipocritamente e vigliaccamente, ci chiediamo da dove venga tutto il male che ci circonda.
Un altro suo passaggio mi convince, dove dice che è “vitale tenersi lontani dalle ideologie, che presto diventano pregiudizi, spingendoci a interpretare la realtà in anticipo”. Lo stiamo vedendo anche stavolta, e succede sempre: coloro che pre-giudicano la realtà, indossando gli occhiali delle ideologie, sono incapaci di leggere i fatti per come appaiono, sempre pronti invece a condannarli ovvero a invocare attenuanti, a seconda della tifoseria cui appartengono. E così diventano a loro volta non solo parte dell’ingranaggio bellico, ma anche complici del suo salto di scala.
Caro Gianni, vorrei che le mamme e i papà, prima di spaventarsi e indignarsi per la violenza da cui siamo circondati, si guardassero le punte dei piedi. Non è un atto d’accusa, mi creda, considerato che nessuno è in grado di accusare chicchessia. Il punto è che la situazione del Pianeta sta peggiorando tutti i i giorni, ogni giorno di più, e nessuno si sente responsabile, ma la fabbrica dell’umanità è prima di tutto la famiglia, ed è qui che bisogna cercare, prima di ogni altro luogo.
Non si tratta di mettersi a caccia di colpevoli, ma semplicemente di aumentare il flusso delle domande.
Sarebbe già un grande passo. Grazie di cuore
Caro Domenico, i suoi articoli sono sempre un concentrato di riflessioni, di spunti per focalizzare aspetti educativi, ma questo, forse per la drammaticità del periodo, è di una profondità che scuote. Sembra che Lei abbia dato a tutti noi, nel ruolo che rivestiamo in ambito educativo, uno specchio in cui ritrovare contorni, riflessi, immagini delle nostre condotte. L’idea può essere quella che la guerra sia lontana e noi spettatori al sicuro. Invece non vediamo la violenza nel nostro quotidiano, con impatto diverso, ma comunque tale da generare altra violenza. Osservare non è lo stesso di vedere, forse la questione è che non si vuole proprio vedere… Lo sguardo dovrebbe essere rivolto nei nostri contesti di vita, alle nostre azioni. I bambini agiscono secondo il copione che viene loro offerto, fatto di esempi e di condotte che le figure di riferimento di cui si fidano mettono in atto. Fermarsi a riflettere su queste condotte, chiedersi cosa sia la non violenza nella vita di tutti i giorni é un passo importante, assolutamente non scontato e perseguito, cui dovrebbe seguire però un puntuale “aggiustare il tiro”.
Con stima
Antonella Alia
Cara Antonella, nessuno aggiusterà il tiro, si fidi, perché si tratta di un’operazione che implica la presenza di ingredienti fondamentali, il primo dei quali si chiama autocritica. Lei che lavora nella scuola e conosce le chat dei genitori, sa bene di cosa parliamo.
Quelle mamme e quei papà che difendono oltre ogni ragionevolezza e contro ogni evidenza la loro prole, stanno preparando il mondo di domani, sono le stesse a cui la politica chiede con insistenza di fare più figli. Credo sarebbe assai meglio immaginare un specie di operazione salvataggio, impegnandosi ad affiancancarli questi genitori, con un welfare centrato sulla realtà e non sull’ideologia, sostenendo la scuola invece di indebolirla di anno in anno. Le persone coinvolte nella scuola, tra studenti, personale che vi gravita a vario titolo, genitori, nonni e fornitori, ammontano quasi alla metà dei cittadini italiani, è un paese nel paese, se non riusciamo a capire cosa significano questi numeri e qual è il potere di influenza di famiglia e scuola sul nostro futuro, tanto vale chiudere bottega. Come sempre, grazie.
Ciò che Domenico descrive richiama automaticamente il concetto di “endemico”, “male endemico”
radicato, diffuso, cronico, persistente e via discorrendo. Purtroppo trasmesso da una generazione all’altra. Ricordiamo che di fronte alla catastrofe – allora smisurata ( per dirla con De’ Andre, ovvero fuori misura) della prima guerra mondiale, Freud ipotizzo l’istinto di morte. Alfred Adler, che aveva visto la guerra attraverso le nevrosi traumatiche e i giovani devastati dalla trincea, capi che occorreva una nuova educazione che rendesse gli uomini e le donne capaci di autonomia e di vero sentimento sociale. Un percorso che poteva cominciare ma che poteva anche non cominciare. Non è un dono del cielo, ma una conquista quotidiana. delle persone, una conquista che richiede vere informazioni ( non di solo pane vive l’uomo) e di strumenti pratici e alla portata. Da padre ho commesso molti errori. Il primo dei quali è stato prestare il fianco al contagio della competizione e della protezione dei figli. Lo ho capito, ne ho chiesto scusa e ho cercato di rimediare. Rimediare vuol dire guardarsi in faccia e capire se davvero si è attenti al prossimo o si fa finta, si cercano elogi, considerazione, etc. Se cioè, come diceva Adler si fa finta di avere sentimento sociale e si usa una sua parvenza per fare qualcos’altro ( carriera? manipolazione? farsi belli e informati? scaricarsi la coscienza? fare festival sull’ambiente e partire in Suv o dormire con la macchina accesa e il condizionatore a balla ?) Ciò che vedo in giro, a sessanta anni suonati, è molta rabbia spicciola ( sdrucciola, avrebbe detto Francesco Guccini) ma pervasiva dell’individuo, molto “spettacolo” ma poca, veramente poca indignazione ( sana indignazione). Forse esagero? Forse no.
Caro Maurizio, grazie per questa notevole riflessione, alla quale non aggiungo nulla se non la certezza che da questo pasticcio dobbiamo uscire, se ne abremo voglia, nell’unico modo possibile, ricordandoci che non siamo soli e che senza cercare e dare “soccorso” ci attendono tempi assai più difficili di quelli che stiamo commentando, perché più gli anni passano più sarà difficile fermare la macchina in corsa, che diventerà sempre più veloce incrementando proporzionalmente la sua massa. Infine grazie per avere detto che come padre non sei stato impeccabile, perché nessuno di noi lo è stato, ma riuscire a leggere i propri limiti con onestà significa avere già la chiave per rimediare.
Questo, purtroppo, è il punto, c’è una fuga dalla responasabilità, inarrestabile.
Un carissimo saluto
Lo dice lei e non troverei modo migliore: “ignorare il contributo delle proprie azioni al moltiplicarsi delle ingiustizie” è il modo migliore per alimentarle e farle proliferare, anche se poi, ipocritamente e vigliaccamente, ci chiediamo da dove venga tutto il male che ci circonda.
Un altro suo passaggio mi convince, dove dice che è “vitale tenersi lontani dalle ideologie, che presto diventano pregiudizi, spingendoci a interpretare la realtà in anticipo”. Lo stiamo vedendo anche stavolta, e succede sempre: coloro che pre-giudicano la realtà, indossando gli occhiali delle ideologie, sono incapaci di leggere i fatti per come appaiono, sempre pronti invece a condannarli ovvero a invocare attenuanti, a seconda della tifoseria cui appartengono. E così diventano a loro volta non solo parte dell’ingranaggio bellico, ma anche complici del suo salto di scala.
"Mi piace""Mi piace"
Caro Gianni, vorrei che le mamme e i papà, prima di spaventarsi e indignarsi per la violenza da cui siamo circondati, si guardassero le punte dei piedi. Non è un atto d’accusa, mi creda, considerato che nessuno è in grado di accusare chicchessia. Il punto è che la situazione del Pianeta sta peggiorando tutti i i giorni, ogni giorno di più, e nessuno si sente responsabile, ma la fabbrica dell’umanità è prima di tutto la famiglia, ed è qui che bisogna cercare, prima di ogni altro luogo.
Non si tratta di mettersi a caccia di colpevoli, ma semplicemente di aumentare il flusso delle domande.
Sarebbe già un grande passo. Grazie di cuore
"Mi piace""Mi piace"
Caro Domenico, i suoi articoli sono sempre un concentrato di riflessioni, di spunti per focalizzare aspetti educativi, ma questo, forse per la drammaticità del periodo, è di una profondità che scuote. Sembra che Lei abbia dato a tutti noi, nel ruolo che rivestiamo in ambito educativo, uno specchio in cui ritrovare contorni, riflessi, immagini delle nostre condotte. L’idea può essere quella che la guerra sia lontana e noi spettatori al sicuro. Invece non vediamo la violenza nel nostro quotidiano, con impatto diverso, ma comunque tale da generare altra violenza. Osservare non è lo stesso di vedere, forse la questione è che non si vuole proprio vedere… Lo sguardo dovrebbe essere rivolto nei nostri contesti di vita, alle nostre azioni. I bambini agiscono secondo il copione che viene loro offerto, fatto di esempi e di condotte che le figure di riferimento di cui si fidano mettono in atto. Fermarsi a riflettere su queste condotte, chiedersi cosa sia la non violenza nella vita di tutti i giorni é un passo importante, assolutamente non scontato e perseguito, cui dovrebbe seguire però un puntuale “aggiustare il tiro”.
Con stima
Antonella Alia
"Mi piace""Mi piace"
Cara Antonella, nessuno aggiusterà il tiro, si fidi, perché si tratta di un’operazione che implica la presenza di ingredienti fondamentali, il primo dei quali si chiama autocritica. Lei che lavora nella scuola e conosce le chat dei genitori, sa bene di cosa parliamo.
Quelle mamme e quei papà che difendono oltre ogni ragionevolezza e contro ogni evidenza la loro prole, stanno preparando il mondo di domani, sono le stesse a cui la politica chiede con insistenza di fare più figli. Credo sarebbe assai meglio immaginare un specie di operazione salvataggio, impegnandosi ad affiancancarli questi genitori, con un welfare centrato sulla realtà e non sull’ideologia, sostenendo la scuola invece di indebolirla di anno in anno. Le persone coinvolte nella scuola, tra studenti, personale che vi gravita a vario titolo, genitori, nonni e fornitori, ammontano quasi alla metà dei cittadini italiani, è un paese nel paese, se non riusciamo a capire cosa significano questi numeri e qual è il potere di influenza di famiglia e scuola sul nostro futuro, tanto vale chiudere bottega. Come sempre, grazie.
"Mi piace""Mi piace"
Ciò che Domenico descrive richiama automaticamente il concetto di “endemico”, “male endemico”
radicato, diffuso, cronico, persistente e via discorrendo. Purtroppo trasmesso da una generazione all’altra. Ricordiamo che di fronte alla catastrofe – allora smisurata ( per dirla con De’ Andre, ovvero fuori misura) della prima guerra mondiale, Freud ipotizzo l’istinto di morte. Alfred Adler, che aveva visto la guerra attraverso le nevrosi traumatiche e i giovani devastati dalla trincea, capi che occorreva una nuova educazione che rendesse gli uomini e le donne capaci di autonomia e di vero sentimento sociale. Un percorso che poteva cominciare ma che poteva anche non cominciare. Non è un dono del cielo, ma una conquista quotidiana. delle persone, una conquista che richiede vere informazioni ( non di solo pane vive l’uomo) e di strumenti pratici e alla portata. Da padre ho commesso molti errori. Il primo dei quali è stato prestare il fianco al contagio della competizione e della protezione dei figli. Lo ho capito, ne ho chiesto scusa e ho cercato di rimediare. Rimediare vuol dire guardarsi in faccia e capire se davvero si è attenti al prossimo o si fa finta, si cercano elogi, considerazione, etc. Se cioè, come diceva Adler si fa finta di avere sentimento sociale e si usa una sua parvenza per fare qualcos’altro ( carriera? manipolazione? farsi belli e informati? scaricarsi la coscienza? fare festival sull’ambiente e partire in Suv o dormire con la macchina accesa e il condizionatore a balla ?) Ciò che vedo in giro, a sessanta anni suonati, è molta rabbia spicciola ( sdrucciola, avrebbe detto Francesco Guccini) ma pervasiva dell’individuo, molto “spettacolo” ma poca, veramente poca indignazione ( sana indignazione). Forse esagero? Forse no.
"Mi piace""Mi piace"
Caro Maurizio, grazie per questa notevole riflessione, alla quale non aggiungo nulla se non la certezza che da questo pasticcio dobbiamo uscire, se ne abremo voglia, nell’unico modo possibile, ricordandoci che non siamo soli e che senza cercare e dare “soccorso” ci attendono tempi assai più difficili di quelli che stiamo commentando, perché più gli anni passano più sarà difficile fermare la macchina in corsa, che diventerà sempre più veloce incrementando proporzionalmente la sua massa. Infine grazie per avere detto che come padre non sei stato impeccabile, perché nessuno di noi lo è stato, ma riuscire a leggere i propri limiti con onestà significa avere già la chiave per rimediare.
Questo, purtroppo, è il punto, c’è una fuga dalla responasabilità, inarrestabile.
Un carissimo saluto
"Mi piace""Mi piace"