Giulia e Filippo e poi l’educazione sessuale nelle scuole

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8 pensieri riguardo “Giulia e Filippo e poi l’educazione sessuale nelle scuole

  1. Gentile Domenico, questa volta è proprio dura commentare le sue veritiere parole. Questo fatto ha colpito profondamente tutti. Il viso dolce e buono di questa ragazza, in realtà giovane donna e la sua vicinanza al mio contestto di vita hanno fatto si che io abbia percepito Giulia come figlia, sorella, una mia alunna. Non è possibile che sia accaduto ancora: Giulia è ormai la punta di un iceberg enorme. Come giustamente ha detto lei e la sorella di Giulia nella sua coraggiosa lettera di oggi al Corriere della sera, il problema è culturale ed educativo. Non c’ è malattia. Purtroppo ciò che manca è solo l’ educazione. Da insegnante sono stufa di sentire che bisogna cominciare dalla scuola rivolgendo ad essa l’ obbligo di progetti di ogni sorta. Io penso che la scuola debba sostenere invece quei docenti che nella loro classe fanno educazione insieme all’ istruzione. Ma purtroppo non è così, anzi vedo che parecchi docenti evitano il loro ruolo educativo per non mettersi in conflitto con le famiglie o semplicemente perché istruire è più comodo e facile che educare. Le famiglie oggi stanno esercitando il loro ruolo educativo sopraffatte da una società dai ritmi alienanti. L’ educazione passa in secondo piano. La famiglia ha un ruolo vitale insieme alla scuola che invece educa alla socialità. Scuola e famiglia educano con l’ esempio e la coerenza tra parole e fatti. Si comincia in tenera età, dalle piccole esperienze. Molto spesso vedo genitori che crescono i propri bambini come fossero piccole divinità, incapaci di educare i loro piccoli alla tolleranza della frustrazione, e spianano toro la strada in ogni ambito sociale, sportivo e scolastico. Inoltre molti genitori vivono il fallimento del figlio come la loro sconfitta personale, proiettando su altri rabbia, atteggiamenti aggressivi e dimenticandosi di ciò che è invece necessario ovvero cogliere il bisogno del figlio di sostegno e affiancamento. Certo nessuno è perfetto, tutti sbagliamo, il ruolo di genitore è complesso e il contesto attuale è veloce, frenetico e fa sentire inadeguati. Ma credo che sia solo il valore dell’ educazione che possa cambiare questa dura realtà, più delle leggi che già ci sono, più delle materie scolastiche ad hoc. Bisogna crederci però e partire dai bimbi piccolissimi, ancor prima dai loro genitori. In quanto mamma di due giovani figli maschi sento di avere un enorme responsabilità educativa. Ancora oggi mi capita di incontrare fra i genitori dei miei alunni una certa diversità nella modalità educativa tra generi diversib: alle femmine si chiede di più e meno si concede. I bambini non sono stupidi e se costruiscono la loro identità su queste disparità poi non ci dobbiamo sorprendere.

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    1. Si, cara Antonella, come lei giustamente dice, occorre partire da lontano, dai bambini, ma per fare questo è necessario partire da una visone dell’uomo chiara e rispettosa, dalla quale discenda uno pedagogico competente e senza pregiudizi ideologici. Non è possibile immaginare di cavarsela sempre incrementando le pene, come se questo bastasse a farmare la mano dei malintenzionati. Un caro saluto

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  2. Caro Domenico, la vicenda che da giorni riempie le cronache, come dice anche Antonella G. , ha colpito davvero tutti e non è facile trovare parole che esprimano tutto lo sgomento e la rabbia di essere arrivati all’epilogo che tutti temevamo. L’ennesimo femminicidio, una giovane ragazza che aveva davanti a sé tutta la vita, un giovane ragazzo, a detta di chi lo conosce “d’oro”, “normale” che mette fine a questa vita. Game over. Anestesia emotiva e violenza che esplode. Mi accingo a festeggiare la laurea di mio figlio, capisco il clima festoso che si respirava nella casa di Giulia, i sacrifici che finalmente portano frutti, la gioia della meta, i progetti per il futuro. Purtroppo per Giulia, cara dolce stella, sarà preparato un funerale. Dobbiamo interrogarci tutti su cosa stiamo sbagliando. Panchine rosse e manifestazioni non bastano. Ogni giorno a scuola è evidente la fatica che i genitori fanno nel rapportarsi ai figli, a partire dai piccolissimi. Risulta sempre più fragile, a mio avviso, la figura paterna, spesso incapace di porsi con autorevolezza. Nelle coppie manca la coerenza nel dare regole. Un genitore tempo fa mi diceva di avere paura a dare dei no per non creare traumi, che la sera era troppo stanco per reggere i capricci del figlio. Anche per le autonomie di base si delega alla scuola, (ogni anno è sempre più evidente) perché in questo bisogna investire energie, quindi è meglio che si demandi, che, per non sbagliare, non si faccia niente, peccato che intanto il guaio è fatto e il bambino faccia così il suo esordio in società, quella scolastica, privo di strumenti operativi ed emotivi, perché intanto anche l’autostima e la crescita affettiva hanno subito conseguenze. Come dice anche Antonella G., si continua a fare riferimento alla scuola, ma i primi tasselli educativi devono metterli la famiglia, i primi, i fondamentali, ai quali le altre agenzie ne aggiungeranno altri componendo il puzzle che è alla fine concorso di tutti. Il teatro a scuola ha sempre aiutato a includere, ad ascoltare gli altri, a mettersi in gioco senza giudizio, a lavorare sull’emotività conoscendo la propria e quella altrui. Peccato che da diversi anni ormai l’orientamento che viene dato è un altro, tutto spostato sul digitale: stop a progetti espressivi e simili. Aggiungiamo i ritmi accelerati della nostra società, l’impossibilità conseguente di dare ascolto autentico, di “vedere” davvero oltre il guardare, l’illusione egocentrica di avere i figli più bravi, più intelligenti, più competenti di tutti, di essere impegnati da bambini, a 5 anni, 5 pomeriggi alla settimana in un’attività extrascolastica diversa, allora è facile capire che certi epiloghi non arrivano dal nulla. E si deve partire da quando i bambini sono molto piccoli. Anni fa una lontana parente era venuta a trovarmi, il figlio allora di 5 anni, aveva preso in giro mio marito che si accingeva a fare il caffè con la moka: “Lo fanno le femmine il caffè!” Irritante, premessa a preclusioni e obblighi di genere.
    Grazie Domenico per le riflessioni che fa e che ci fa fare.
    Cordiali saluti
    Antonella Alia

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    1. Nei giorni scorsi, nelle pagine di un manoscritto appena consegnato all’editore, avevo scritto che fino a quando non riusciremo ad accogliere il limite e l’insuccesso come parti costitutive della nostra esperienza, non nemici da combattere ma fonti di preziosa energia da usare a fini di crescita, fino a quel momento saremo esposti alla rabbia di chi sente di doversi vendicare per qualsiasi rovescio. Essere lasciati da una ragazza, per un maschio che rifiuta sia il limite che l’insuccesso, spesso perché li vive come una grave sconfitta e un’altrettanto grave lesione della propria dignità, può essere un detonatore micidiale.
      Educare i figli a misurarsi quotidianamente con il limite e l’insuccesso, salverebbe molte vita e aumenterebbe il tasso di salute mentale delle persone in formazione, ma non succederà presto, anzi non succederà, almeno fino a quando si farà una generazione di madri e padri disposti a non aizzare i figli per compiacere se stessi. Grazie mille

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      1. Piccola miscellanea di considerazioni tratte da chiacchiere più o meno impegnate con mio figlio, ora alle superiori: la scuola è assolutizzante (tende a risucchiare e convogliare in argini rigidi tutte le energie intellettuali); competitiva allo spasimo (e il voto si deforma in giudizio sulla persona); inquadra ed etichetta senza scampo gli alunni in categorie autoreferenziali; manca in generale di coerenza, in primis nei comportamenti.
        Recuperare il senso della scuola cancellerebbe queste storture. Allora i ragazzi saprebbero (perché lo vivrebbero) che si cresce negli insuccessi anche più che nei successi, che la vita non si rinchiude in una sola esperienza (o una sola persona) e che i punti di vista su di sé, sugli altri e sul mondo, sono infiniti.
        (Scusi, Domenico, lo stile un po’ da predicozzo apocalittico… mi è venuto così)

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      2. Purtroppo, Giulia, il suo non è un predicozzo, ma la scuola è lo specchio di altro che, certo, non l’aiuta. A cominciare dalla politica per continuare con la famiglia, che quella politica e i suoi rappresentanti sceglie con la stessa disinvoltura con cui si comprano le merendine. Un caro saluto

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  3. carissimo Domenico
    condivido perfettamente che i figli devono essere spronati a conoscere i propri talenti ,aspirazioni e le proprie risorse ma soprattutto devono essere consci e propensi a conoscere ed accettare i propri limiti ( perche’ non tutti sono dei Maradona o dei Lenorado da Vinci) ; imparare che il fallimento e’ un’opportunita’, una risorsa. Lao Tzu diceva: cio’ che per il bruco e’ la fine del mondo , per la farfalla e’ l’inizio della vita. Ma perche’ questo passi e’ necessario educare i genitori…sarebbe una proficua rivoluzione culturale.

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    1. Cara Paola, insegnare il “coraggio”, come capacità di tollerare l’insuccesso e ricominciare, è l’unico modo di fare davvero l’interesse di un figlio, non certo perché sia auspicabile incappare nell’insuccesso medesimo, ma semplicemente perchè tale cricostanza si presenta con regolarità nella sua e nella nostra giornata, dunque si tratta di una componente costituzionale dell’esistenza. Nascondere a un figlio questa verità, significa consegnarlo a una insoddisfazione perenne. Un caro saluto

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