Ciascuno di noi, dal primo vagito all’ultimo respiro, è mosso dalla necessità di essere visto, registrato, amato.
Gli influencer sono persone capaci di trasformare questo umanissimo bisogno in una fonte di guadagni.
Guadagni facili, perché la fonte del business non si esaurisce mai, anzi più aumenta il senso di solitudine indotto dalla virtualizzazione della realtà, più i nostri mondi individuali diventano penetrabili.
Guadagni talvolta enormi, quando si è così abili da toccare quei tasti carpendo la fiducia altrui attraverso lo sfoggio del successo come prova certa del proprio valore e dunque della qualità dei prodotti che promuovo.
Un corto circuito da cui è difficile difendersi, soprattutto per i più giovani, che precipitano facilmente nelle coreografie emotive preparate da abilissimi cacciatori di fragilità, un terreno che questi ultimi conoscono bene per ragioni autobiografiche, essendo stati essi stessi bambini e ragazzi in debito di sicurezze, e proprio per questo sanno quali sentieri percorrere per arrivare al bersaglio.
Il problema adesso è esploso a causa una nota vicenda di pandori, alla base della quale la magistratura cerca le tracce di una truffa.
Qui abbiamo parlato diverse volte del tema influencer, mondo dai confini inafferrabili, in tempi non sospetti, un faldone cui mettere mano perché il tema è ad altissima valenza pedagogica, quindi civica, e va affrontato con competenza vera, evitando le ritorsioni, magari ideologiche, ma concentrandosi sui grimaldelli utilizzati e sugli effetti dell’azione indisturbata di uomini e donne d’affari, questo sono gli influencer, sul mondo interiore dei destinatari, spesso cittadini minorenni.