Binario 21. Come combattere il nazismo che c’è in noi, nei nostri figli, nelle personalità pubbliche

Ieri è venuta alla luce l’affermazione di un ministro dell’attuale governo.

Definiva Mussolini un “Gigante”, proprio con la maiuscola. Qualcuno potrebbe credere che fosse una battuta goliardica, invece quell’uomo era serio, molto serio.  

Stamattina mi sono messo in treno verso Milano, mezz’oretta di viaggio. Insieme a mia moglie, anche ispirati da quello sfregio, siamo andati a visitare il Memoriale Binario 21, uno dei luoghi europei da cui partivano le persone destinate ai campi di sterminio nazisti, a cui anche il “Gigante” forniva appoggio convinto, come le famigerate leggi razziali e tanto altro. Una solida pedagogia oscura, dura a morire. Ora, posto che oramai per il ministro è tardi, non possiamo educarlo, concentriamoci sui bambini e sui ragazzi.

Stamattina ce n’erano un’infinità, scolaresche vocianti, alunni attenti e alunni in clima da gita scolastica, ma portarli in quei luoghi è un dovere, proprio perché dobbiamo provare a munirli di antidoti ai mostri che albergano dentro di noi e che ogni tanto fanno capolino.

Mi sono chiesto come sarebbe stato possibile dare un senso profondo alla presenza di quei ragazzi, aiutandoli a sentirsi meno staccati da ciò che stavano visitando, più di quanto non abbiano fatto i loro bravi professori.

Il modo c‘è ed è solo uno, farli sentire responsabili di quella pagina tenebrosa della nostra specie. Quando dico responsabili intendo dire causa diretta. Capisco possa sembrare illogico, privo di rapporto causa-effetto, ma il segreto è proprio questo, affermare che noi siamo responsabili anche degli eventi passati, qualora il nostro comportamento attuale sia simile, anche solo in parte, a quello dei boia di allora. Spiegare, prima della visita al Memoriale, che un ragazzino che bullizza i compagni, che umilia le ragazze, che odia gli stranieri, che deride e vessa gli omosessuali, è un discendente diretto dei nazisti, che se fosse nato in quegli anni sarebbe stato uno di loro, esattamente come chi inneggia al capo dei fascisti italiani.

Quindi non può effettuare quella visita da semplice cittadino, nato troppo tardi per essere parte di quella tragedia, ma deve invece sentire l’obbligo di scusarsi e l’impegno di cambiare, perché il nazismo non è stato un fenomeno solo puntuale, ma rappresenta la faccia più truce della disumana violenza di cui siamo capaci, in ogni tempo e in ogni luogo.

Senza queste avvertenze, andare al Memoriale del Binario 21 è solo una scampagnata, discretamente inutile.

12 pensieri riguardo “Binario 21. Come combattere il nazismo che c’è in noi, nei nostri figli, nelle personalità pubbliche

    1. È esattamente così, cara Marzia, se la colpa è sempre degli altri non ci interrogheremo e di conseguenza non daremo il contributo che potremmo dare alla causa della giustizia. Grazie mille

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  1.     Grazie di cuore Domenico!

        Mio padre è sopravvissuto al campo di lavoro di Luckenwalde…e io
    vado nelle scuole a raccontare la sua storia d’amore dentro la guerra.

        Una storia straordinaria visto che, 50 anni esatti dopo la sua
    uscita da quella baracca, abbiamo conosciuto la persona che gli salvò la
    vita.

        Porto con me alcuni documenti, che i ragazzi e le ragazze toccano
    con mano: si emozionano, pongono domande, riflettono ad alta voce.

        Siamo ciò che ricordiamo e questo i giovani lo capiscono bene.

        Un caro saluto.

        Luciana

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    1. Cara Luciana, nel 2008, per la prima volta nella mia vita, sono entrato nei campi di sterminio di Auschwitz e credo di potere dire che da allora è cambiato qualcosa nel mio impianto esistenziale. Lo avevo avvertito subito e in modo tangibile, una deviazione dal passato che persiste e conduce a non sottovalutare anche il segnale più modesto, persino quelli che vengono impropriamente archiviati con motti di spirito. Ma i motti di spirito, arrivano anch’essi da una precisa origine interiore.
      Auschwitz appartiene alla categoria dell’indicibile, come tutti gli altri campi di sterminio, quindi è impossibile “raccontare”, l’unica via è “vedere”, tu lo dice senza dirlo e io ti sono grato, come lo sono a tutti coloro, come tuo padre, che sulla propria pelle subirono il sequesto dell’umanità, eppure seppero restiruire speranza, la stessa che oggi ci permette di pensare che potremo lasciarci alle spalle anche questa fase di disimpegno e di barbarie, così vicina a noi, a quella che i nuovi barbari chiamano “patria” senza sapere di cosa parlano. Un tempo inimmaginabile fino a pochi anni fa, che dobbiamo superare in fretta o si radicherà nella normalità, colonizzandola e mimetizzandosi. Un caro saluto

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  2. Come hai ragione, Domenico. Certe volte mi chiedo che senso ha il mio lavoro di insegnante se poi il nostro governo può fare impunemente affermazioni così gravi. In una società così marcia non mi sorprendo che i nostri ragazzi si sentano persi e orfani di valori…troppo comodo puntare il dito contro di loro e non riconoscere le proprie responsabilità in quanto adulti ed educatori. Un caro saluto.

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    1. Micol è autrice di una meravigliosa tesi di Laurea sulla risiera di San Saba, che tutti dovremmo leggere. In mancanza di quella consiglio vivamente un articolo -intenso, sentito, competente- che parla dello stesso campo, pubblicato in occasione dell’ultima giornata della memoria, che mi permetto di linkare. Micol, da studiosa appassionata, non smette di porsi domande e invita noi a seguirla in questo esercizio. Ciò che racconta, con grande rigore, vale più di ogni congettura. Grazie

      Educazione e Memoria: la Risiera di San Sabba in Trieste

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  3. Carissimo dott. Barrilà, scrivo qui, dopo la lettura dei suoi 3 ultimi articolo, non per andare fuori tema, ma perché come sempre la riflessione che ispira, porta poi ad agire nell’esperienza personale.

    Di seguito “un articolo” scritto a più mani da un gruppetto di ragazzi/e medie/superiori

    In queste settimane partecipando al progetto “DI Venerdì IN Venerdì – di sTRADA in super sTRADA” e sollecitati dal tempo che viviamo, ci siamo sperimentati in esercizi di realtà per provare a vivere il più possibile il tempo della realtà.

    Ci siamo assunti il ruolo di Capi di Stato, ciascuno ha scelto il proprio Stato.

    Tutti, nessuno escluso, in conflitto gli uni con gli altri.

    Ri-chiamati dall’essere “umani” ci siamo dati il compito di formulare un trattato di pace equo, cioè capace di tener conto delle unicità, irripetibilità, diversità, bisogni di ciascuno.

    Tra le tante parole scritte una considerazione e una domanda ha accomunato i gruppi interessati.

    Alle risposte non siamo giunti (in una sera è impossibile), quello che è rimasto è il fermarsi a pensare, dilagare, esprimere la propria opinione e tenere allenato il senso dell’altro, essenziale per ridare forma al nostro essere umani.

    E poi arriva, sulla strada dei nostri venerdì la giornata contro il bullismo.

    Non la evitiamo. La prendiamo in prestito per un nuovo gioco di ruolo

    Divisi in piccoli gruppi, scrivete una lettera ad un ragazzo/a che avete bullizzato; scrivete una lettera ad un ragazzo/a che sapete essere stato bullizzato.

    E ci accorgiamo di aver imparato a legare la parola bullismo a gesti forti, estremi, cioè parliamo di bulli e bullismo, quando qualcuno ha un comportamento prevaricatore di natura fisica e/o verbale, caratterizzato da molestia e aggressività anche di tipo minaccioso.

    Ma forse è tempo di partire a monte, dove ci sono le sorgenti che poi diventano ruscelli, fiumi, mari, oceani che possono mostrare anche il volto della distruzione dimenticandosi della propria bellezza.

    Partire a monte è, ancora una volta, porsi domande.
    Nel lavoro di gruppo che abbiamo fatto, siamo certi di esserci ascoltati tutti?
    Siamo certi di esserci accorti che nel nostro gruppo c’è stato chi non ha parlato?
    Cosa abbiamo fatto? Indifferenti / Interessati / Rispettosi?
    Abbiamo cercato e utilizzato modi differenti là dove c’è chi di parlare non ha voglia o preferisce scrivere o utilizza altre modalità per comunicare ed esprimere il proprio pensiero?
    Siamo certi di aver dialogato prima di scrivere la nostra lettera?
    Siamo certi di esserci messi, anche solo per poco tempo, nei panni del destinatario?

    Domanda e sempre domande.
    Anche qui le risposte hanno e avranno il giusto tempo per camminare e trovarsi oppure divenire altre domande, perché di domanda in domanda, con passo lento ma costante possiamo allenare, fin da piccoli, il senso dell’umanità.

    Come l’acqua di sorgente diviene ruscello, fiume, mare, oceano, così pensieri, parole, comportamenti fanno l’umanità.
    Ma se, dalla sorgente all’oceano, togliamo gli argini che la natura crea, tutto esonda e distrugge, così se al senso delle parole togliamo le domande che ci toccano nel quotidiano vivere, resteranno parole di quel giorno dedicato.

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    1. Carissima o carissimo, mi spiace non poterla chiamare per nome perché il commento è anonimo, così come vorrei chiamare per nome tutti i ragazzi contributori della slendida riflessione da lei inviata.
      Qualche anno fa, di ritorno da Auschwitz, una testata mi aveva chiesto quali rispota avessi trovato in quella tristissima località.
      Avevo scritto di non avere trovato nessuna risposta ma solo domande, un’infinità di domande. I ragazzi autori dell’articolo sembrano vicini a questa declinazione e ci ricordano, in qualche modo, che la vera risposta sta nella capacità di porsi domande.
      Una bellissima notizia, questa celebrazione del dubbio che apre alle domande, ancora più significativo che arriva da esponenti delle nuove generazioni, gli adulti di domani o forse gia di oggi, visto l’acume, non sempre presente nei loro padri.
      Complimenti a loro e ai loro educatori e grazie a lei di averci fatto conoscere questo piccolo nido di speranza.

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  4. Grazie Dottore. Lei ha dato il nome a un pensiero che è costante nella mia vita. Dopo i racconti dei miei genitori del fascismo, lo studio del nazismo, a 16 anni, ho scoperto il genocidio dei kmer rossi. Ricordo lo sconcerto che ho provato. Com’era possibile che dopo il nazismo ci fosse qualcosa di altrettanto aberrante? Poi ho letto un libro di Antonia Arslan (La fattoria delle Allodole) e scopro (forse in ritardo) il genocidio armeno, poi Srebrenica, i lager russi, e tanti altri. Ora il Mar Mediterraneo o il deserto dove muoiono le persone che scelte politiche tengono lontane.
    Mi sono sempre chiesta perché e cosa si può fare.
    Mii chiedo anche cos’è che una persona non vede la persona che ha davanti. Non ho trovato la risposta, ma so da tanti anni, e lei me lo conferma, che ogni istante si deve scegliere se essere violenti o no. Una parola, un gesto, un insulto. Anche detti per scherzo. Scegliere responsabilmente di essere rispettosi e non violenti e, se serve, farsi carico di quello che si subisce o si è subito.
    Un signore che ha vissuto nei campi di concentramento mi ha raccontato che avrebbe potuto vendicarsi, ma scelse liberamente di non farlo e si sforzò tutta la vita di essere gentile e mite. Un grande sforzo, diceva lui, perché i sussulti delle violenze subtie (che raccontava ogni Natale) erano dentro di lui. Un uomo taciturno, che con atteggiamento tipico della sua terra, (giù crapone e andiamo avanti) ha nel suo piccolo interrotto una catena.

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    1. Carissima (abbiamo stabilito che lei è una donna), questo è uno spazio che lei occupa facendoci ragionare tutti, nel modo giusto. È la ragione per la quale, malgrado le numerose sollecitazioni, il blog non va sui social. Non abbiamo bisogno di fare quantità, ma di trovare quelle domande giuste di cui si diceva prima. Le domande sono il motore, l’unico possibile, dello sviluppo individuale e sociale, sembra che il loro tempo sia passato ma in realtà c’è solo tanto baccano a sovrastarle. Chi comanda il mondo in questi giorni sembra sappia fare solo quello. Anche per tale ragione l’oblio diventa più rapido. In questo marasma di piccoli e ghrandi influencer, ci si dimentica in fretta perché ogni giorno bisogna trovare uno stimolo nuovo, facendo invecchiare quelli di ieri. una tristessa.
      Grazie per il suo sforzo di tenere in vita domande e curiosità

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