Aiutiamo noi e i nostri figli ad aprire le porte d’ingresso alla vita sociale

Diversi anni orsono un’insegnante venne a trovarmi, era devastata a causa del suicidio di un suo studente sedicenne. Oltre al dolore, pesava il dubbio che potesse esserle sfuggito qualche segnale premonitore.

Mi consegnò una lettera scritta di pugno dal ragazzo pochi giorni prima del gesto estremo, indirizzata a una compagna di classe cui era molto legato, a sua volta annichilita da mille domande, simili a quelle che tormentavano la docente.

In questi casi ciò che diciamo a posteriori -quando il genio sembra impossessarsi di noi e ci fa maestri del giorno appresso- non conta nulla.

Avrebbe potuto sembrare anche a noi -sempre il giorno dopo- che in quello sfogo con una confidente vi fossero tracce di un debito di “esistenza”, di una scontentezza dai confini incerti, preludi della catastrofe che stava per abbattersi sul povero ragazzo e sulla sua altrettanto povera famiglia, ma il linguaggio di quella lettera è comune tra i ragazzi, a volte le iperboli sono norma e si fatica a distinguerle dalla realtà.

Per un adulto è ancora più complicato raccapezzarsi perché i giovani mostrano loro sempre lo stretto indispensabile, forse perché avvertono una distanza notevole e temono, non di rado giustamente, di essere giudicati.

Più facile che siano i compagni più prossimi, gli amici stretti, a percepire certi indizi raffinati, ma non sempre sono in grado di intuirne la portata, essendo essi stessi alle prese con innumerevoli asprezze quotidiane, che a quell’età non risparmiano nessuno.

Ci sono dei giorni in cui tutto gira storto. La scuola non va come vorresti, non ti guarda nessuno e tu ti vedi più brutto del solito. Ti impegni ma il codino della giostra lo afferrano sempre gli altri. È questo in genere il tenore dei pensieri delle ragazze e dei ragazzi.

Quando adulti ed esperti si affannano a distribuire torti e ragioni, sempre il giorno dopo, mettendo sotto accusa interi corpi sociali, ragazzi, genitori e insegnanti, in realtà si stanno comportando come i cartografi dei secoli lontani, che tracciavano linee che oggi ci appaiono patetiche caricature, credendo di disegnare mappe fedeli. Proviamo a cercarle quelle cartografie, in alcuni casi sembrano i disegni di un ubriaco.

Quella lettera, che ogni tanto rileggo, contiene parole importanti per capire l’oggi perché ci segnala un fenomeno atemporale, racconta che il disagio persistente dei ragazzi è soprattutto figlio dalla paura perenne di non trovare la porta di ingresso alla comunità o di non essere capaci di aprirla.

Meno giudizi e più ascolto. Non è la soluzione ma aiuterebbe tanto.

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https://tg24.sky.it/cronaca/2025/09/01/aiutare-figli-giovani-psicologo

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