In uno dei commenti apparsi in calce al post precedente, a proposito di velocità, un’insegnante della scuola dell’infanzia, Antonella, c’è un passaggio dirimente, quando si parla dei bambini che finalmente escono in giardino, e dopo avere scaricato tutte le tensioni indotte da ciò che si muove intorno alle loro piccole esistenze, riprendono la propria identità, quella di bambini, appunto, di presocratici esordienti, che osservano e, a modo loro, fanno scienza, con la calma che si deve alle imprese importanti.
“L’incontro con una foglia d’autunno, una coccinella, un lombrico che si contorce nella terra diventano esperienza di tempo ritrovato, di calma, di osservazione, di condivisione, di meraviglia, di gioia autentica”.
Ci eravamo ripromessi di tornare sull’argomento, anche più di una volta se fosse stato necessario, le parole della maestra descrivono il paesaggio “come dovrebbe essere”.
Abbiamo già detto che gli effetti dell’improvvisa accelerazione si colgono in tutte le persone, con gradazioni diverse. Il livello di “consumo” delle nostre energie interiori può diventare estremo, facendoci perdere il contatto con noi stessi, ma anche rendendoci insensibili alle richieste che arrivano dal prossimo, anche quello più vicino. Il nostro sistema neurovegetativo è costretto a rimanere perennemente acceso, noi in qualche modo ne sappiamo la ragione, i bambini e parte dei ragazzi la ignorano, subiscono e basta. Il livello di vigilanza è perennemente ai massimi, è come tenere accesa la macchina anche quando è ferma in garage, oppure le luci della casa di notte, quando non servono a nessuno. Consumo inutile di energia preziosa. E se i bambini stanno male, mi chiedo come potrebbe essere diversamente, si fa una bella diagnosi, pure costosa, magari di disturbo dell’apprendimento, e ci sentiamo tutti con la coscienza tranquilla.
I riflessi sulle relazioni affettive, familiari, educative, professionali, persino sullo stato di salute fisica, sono drastici. Si diceva che una parte cospicua dell’attività clinica, si rende necessaria proprio a causa dalla nevrotizzazione indotta dalla velocità.
Il primo vero post di questo blog, dopo la premessa, riguardava la morte di una ragazzina, una studentessa di 17 anni, non è stata casuale, la scelta di parlare di quell’evento. La morte è l’unica padrona del tempo, infatti il microsistema umano intorno a quella creatura aveva subito una brusca frenata, come le astronavi di Star Wars quando escono dall’iperspazio, è stato questo il vero miracolo di quella disgrazia.
Trovo impressionante la precisione con cui Antoine de Saint Exupery, un secolo fa descrisse quello che ci attendeva, parlando del lampionaio del Quinto Pianeta. Le cose sono andate così. Il lampionaio, unico abitante di quel minuscolo corpo celeste, aveva la “consegna” di accendere il lampione, altrettanto singolare, la sera e spegnerlo all’alba. Sennonché, a causa di insondabili eventi gravitazionali, il pianeta cominciò a girare sempre più vorticosamente, la notte e il giorno si susseguirono a ritmi insostenibili. La consegna però non cambiava, e ora, nel giro di pochi minuti, egli doveva accendere e poi spegnere, senza sosta, all’infinito.
Fu così che la vita del lampionaio divenne un inferno e smarrì il senso.
Questo racconto è incredibilmente profetico, forse perché il suo autore era anche un aviatore provetto, e dunque cominciava a intuire il potere esaltante, ma anche deformante, della velocità. Sapeva, probabilmente.
Lucidissima e geniale la spiegazione della frattura che avviene dentro quell’omino e tra lui e il suo ambiente. Come dicevamo nel precedente intervento, il tempo del lampionaio, come il nostro del resto, è stato saturato da aventi “esigenti”, se prima gli atti di accendere e spegnere era ragionevolmente distanziati, dopo erano diventati un’ossessione e basta, priva di soste.
Difficile immaginare che una tale espansione possa subire rallentamenti nel brevissimo periodo, ma noi, almeno negli spazi privati, siamo padroni e signori, abbiamo il dovere agire creativamente per trovare contrappesi. Un insegnante, un genitore, un impiegato, un medico, chiunque può modellare quegli spazi, e i tempi che li accompagnano, rifiutando l’alibi dell’ineluttabilità.
Ciascuno può trovare i suoi piccoli antidoti, magari facendo finta di dimenticare, di quando in quando, di accendere, e spegnere, il lampione.
Potrebbe scoprire che nessuno se n’è accorto.
Mio marito ha cominciato alcuni anni fa a spegnere il telefono nei fine settimana. Con molta titubanza, visto che riceveva molte telefonate di clienti, ma anche con la certezza che fosse l’unico modo per potersi godere lo sport che aveva iniziato a praticare in montagna. D’altra parte non è un neurochirurgo, non si occupa di trapianti di cuore. E infatti non è morto nessuno per quel telefono spento, anzi forse lui si è allungato un poco la vita e magari non gli capiterà la sorte di tanti suoi colleghi di morire d’infarto alla scrivania.
Ma questa scelta ha messo in evidenza il meccanismo mentale della maggior parte delle “urgenze”: mi viene un pensiero o una domanda e adesso ho bisogno di una risposta. Ti mando un Whatsapp, curo se c’è la spunta di lettura, curo anche se se sei online ma non messaggi, ti chiamo e se non rispondi o il telefono è spento mi arrabbio. Non perché la domanda fosse oggettivamente urgente ma perché sento l’impellenza di essere soddisfatto qui ed ora. Nessuna capacità di aspettare o di lasciar sedimentare.
Oltretutto la maggior parte di quei messaggi finisce nel nulla: l’urgenza del sabato il lunedì è evaporata (magari per ricomparire in un giorno festivo a caso).
È davvero un brutto modo di lavorare e più un generale di rapportarsi, con interlocutori egocentrici e miopi, che puntano solo a rifilare ad altri il problema vero o presunto, come tendiamo a fare con i rifiuti (basta che siano fuori da casa nostra e per il resto chissenefrega).
Mi ricorda la storiella ebraica dell’uomo che non riesce a dormire e confessa alla moglie che il giorno seguente scadrà un prestito col loro dirimpettaio ma lui non ha il denaro da restituire. La moglie apre la finestra, chiama il creditore e gli comunica che il marito non ha un soldo. Poi torna a letto spiegando: “Adesso sarà lui a non dormire”.
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Nei nostri giorni sono disseminate tante trappole invisibili, una delle quali ti dice che se stacchi, anche solo per un’ora, il mondo accade senza di te e tu rimani indietro. Le nuove forme di comunicazione organizzano cancelli di controllo sempre più sofisticati, ma non sui contenuti, visto che fanno transitare elefanti e rinoceronti, ma sui nostri personali comportamenti che di conseguenza, a furia di navigare in un brodo controllante, diventano un invito a diventare controllori. Grazie
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Io ringrazio tutti per questa bella avventura. Aiuta prima di tutto a capire cosa ci sta succedendo. Il disagio della velocità e la mancanza di relazioni è raccontata da vari conoscenti: chi dice di ricevere la mail dal collega dirimpettaio di scrivania, chi lamenta di ricevere richieste legate al lavoro a qualunque ora del giorno e della notte, chi, come me, piange perché non capisce cosa sta succedendo nelle relazioni coi figli, chi dice che il tempo per stirare si è moltiplicato causa messaggi di tutti i tipi. L’uso dei social inoltre ci fa controllare le altre persone. Per cui io so che il Sig. XX si collega ogni 10 minuti su una piattaforma, che la Signora YY si alza molto presto a lavorare e va a dormire molto tardi, che il collega si fa weekend da favola. Insomma c’è modo di controllarsi alla grande, non è bello, ma ogni tanto prende la mano. E si fantastica, si commenta sul vissuto delle persone come se si sapesse tutto di loro, salvo scoprire di persona che l’weekend è stato uno schifo nonostante le belle foto e ….. chissà cosa c’è dietro realmente dietro ogni persona. Insomma non solo si vive a tutta velocità ma nel bel mezzo di tante bugie, congetture e fantasie. Tutto a partire dalla propria testa e non dal confronto con l’altro.
Ai miei figli ho cercato di far capire che messaggini e foto non sono comunicazione e impoveriscono la relazione.
‘Tu non capisci’, mi risponde uno di loro, ‘avevo un problema da risolvere non potevo chiamare’. Rispondo: ‘la foto di sushi che mi hai mandato non mi raccontava il tuo problema, come avrei potuto saperlo’?
Come sottolineato dal Dottore il problema è che ci siamo finiti dentro senza accorgerci e ne siamo tutti coinvolti.
Ci tocca fare come con la raccolta differenziata, all’inizio era un casino, poi dopo esserci organizzati è diventata consuetudine.
Bisogna cominciare.
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Capiterà di spostare la nostra attenzione sulle nuove tecnologie, lo faremo presto, senza cercare lo scontro ma neppure negando che qualcosa è cambiato e, soprattutto, che siamo solo all’inizio.
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