L’inquietudine che diventa linguaggio, verità, pedagogia

Mentre bevo il cappuccino, leggo su una porta interna del bar che “a causa del continuo furto di carta igienica, il bagno non sarà più in servizio”. Una signora mi guarda e commenta: “Non si capisce più niente, ieri una mia conoscente è stata aggredita e derubata, questi ragazzi sono fuori controllo”.
Un minestrone di affermazioni e conclusioni, che mettono insieme le pere con le mele.

In questo periodo, il linguaggio quotidiano non si limita a rappresentare l’inquietudine che sembra possederci, ma la esaspera, come se ci fosse qualcosa di consolatorio nella ricerca dell’iperbole o di un bersaglio, abitudine che nella storia è stata foriera di catastrofi.
Tuttavia, senza negare la complessità dei tempi che attraversiamo, credo sia necessario mettersi d’accordo su com’era davvero quel “prima”, che in questi giorni di eccessi sembra improvvisamente essere diventato la terra promessa, ma anche doverso provare a capire se quella “di prima” era la realtà reale oppure una narrazione compiaciuta, aggiustata. L’esperienza mi dice che forse siamo responsabili di una falsificazione, la stessa che ora rende complicata per tutti una lettura ragionevole del tempo e degli eventi.

Indispensabile domandarsi che cosa ci siamo raccontati e abbiamo raccontato ai figli.
Nei giorni scorsi, la Terra è stata percossa dalla rovinosa eruzione di un vulcano, e un’isola rigogliosa si è trasformata in un sarcofago. Il pianeta non è un cadavere, ma una creatura in perenne ebollizione, in cui un’infinità di altre creature, virus inclusi, cercano di esistere, arrivare a sera. In quello stesso Pianeta, i diritti, che tendiamo a considerare definitivi ed estesi, in realtà sono privilegi per pochi, tra i quali ci siamo noi europei. Fuori da casa nostra non è così, infatti oltre 150 milioni di bambini e adolescenti non si possono permettere di giocare o fare dieci attività extra scolastiche, perché costretti a lavorare per mantenere le loro famiglie. Lavori spesso pericolosi o pericolosissimi. Ci preoccupiamo di vaccinare tutti gli abitanti della Terra, perché fa comodo ai nostri interessi economici, ma nessuno si preoccupa di domandarsi perché i nostri figli avrebbero diritto a una felicità illimitata mentre i figli degli altri devono vivere da schiavi o peggio.

Mi chiedo se qualche genitore o insegnante si sia preso la briga di leggere ai propri figli o alunni la notizia dell’uccisione di Breiner, 14 anni, attivista ambientale colombiano. Ogni anno nel mondo centinaia di attivisti ambientali, ossia persone che difendono la nostra casa comune, vengono messe a tacere per sempre, mentre noi spasimiamo per i nostri ragazzi.

Il Covid è stato clemente coi nostri giovani, salvo eccezioni, se la pandemia ferirà qualcuno di loro sarà perché noi non gli abbiamo raccontato la vita, occultandone la ruvidità, come quando facciamo precedere una puntura salvifica da litanie e spiegazioni patetiche, quasi li stessimo scannando.
Abbiamo spacciato come proposta pedagogica le nostre speranze, trattando come intrusi gli attori della realtà, vulcani e virus compresi. Credo di averlo già raccontato, ma ripeterlo è un omaggio a un adulto vero, Charles Darwin che, straziato dalla morte della sua bambina, Annie, non se la prese con nessuno, riconoscendo ai batteri che l’avevano uccisa la dignità di esseri viventi che fanno il solo loro mestiere e che abitano questo mondo come gli umani. Combattere tutto ciò che può compromettere le nostre vite è possibile solo usando le armi della consaopevole e della ragione, non certo dell’autocommiserazione.

La pandemia non è un regalo, ma fa parte dell’essere qui. Raccontare la vita, così com’è, a noi stessi, ai bambini, ai ragazzi, descrivere un mondo dove c’è spazio per le meraviglie del progresso, ma anche per l’insuccesso, per l’imprevisto, per le brutture che facciamo finta di non vedere perché estranee alla nostra narrazione anestetica.

Questo è educarsi e educare, ed è questo che a molti di noi è mancato. Non è un esercizio simpatico, ci mancherebbe, ma di certo è l’unica strada per aiutare noi stessi e le nuove generazioni a fare pace con una realtà vera, non romanzata. Una necessità che i bambini e i ragazzi, malgrado le naturali inquietudini e le difficoltà del momento, mostrano di comprendere assai meglio di tanti adulti, non è un caso che i movimenti ambientalisti pullulino di piccoli leader che vogliono salvare questo sasso che ci ospita.
Lontano da questo orizzonte alleveremo estranei, estranei al mondo, che, giusto o sbagliato che sia, si ostina ad accadere come vuole lui, ignorando i nostri desideri.
Su quella volontà, su quell’accadere dobbiamo regolare il nostro orologio pedagogico.

6 pensieri riguardo “L’inquietudine che diventa linguaggio, verità, pedagogia

  1. caro Domenico, quando si dice parlare chiaro …
    specialmente in questo periodo, per il quale ti segnalo 3 passaggi:
    rai radio 3 ha ribadito in questi giorni stime approssimative ma pesantissime del “ritiro sociale” dei giovani: se ne conterebbero a centinaia di migliaia, in Italia [probabilmente uno dei paesi più colpiti]
    mons. Cirulli (vescovo delle diocesi casertane di Teano Calvi e Alife Caiazzo) ha ricevuto insulti e minacce per avere vietato la somministrazione dell’eucaristia da parte di non vaccinati; segnalo che è laureato in medicina [nel mio stesso anno ! (1981)] / dalla rassegna stampa odierna della ASP Golgi Redaelli
    il recente studio IRCCS Medea sui bambini piccoli rileva – negli ultimi 7 anni – la crescita degli effetti degli stati ansioso-depressivi delle madri [Quotidiano Sanità Lombardia del 21-1]

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    1. Il tuo commento, caro Mauro, arriva mentre sto completando il post sulla Giornata della Memoria, che potrai leggere domattina. Apriremo un altro fronte dai contorni stimolanti e attuali, mi aspetto un tuo parere.
      Le cose che scrivi meriterebbero una risposta lunga, ma mi soffermo solo sull’ultima parte, dove citi una ricerca che copre gli ultimi sette anni. Ci sono problemi, poco esplorati, che covano da tempo, da molto prima che fossimo raggiunti dal Covid.
      Il modo in cui viviamo è una minaccia più grave della pandemia, perché mette a dura prova i nostri limiti, toccando anche la vita delle persone di cui siamo responsabili, nel caso specifico i bambini. Dunque intaccando il futuro di tutti.

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      1. caro Domenico, ancora una volta hai toccato nel segno, individuando il punto più critico nella terzina di argomenti che avevo proposto

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  2. “Cos’è questa guerra stipata nel cuore della natura? perché la natura lotta contro se stessa? perché la terra combatte contro il mare? c’è una forza vendicativa nella natura?” si chiedeva il soldato Witt nell’incipit dell’immenso film La sottile linea rossa di Terrence Malick.
    Di fronte alle immani brutalità e sciagure che uno può incontrare nel corso della vita, si può scegliere di anestetizzarsi o darsi risposte comode, inevitabilmente sbagliate o quantomeno incomplete, oppure si può provare a osservare con disincanto e obiettività nel modo più ampio possibile tutti gli aspetti di un problema.
    Tornando più nel concreto e ragionando meno di massimi sistemi, ad esempio io nel mio quotidiano mal sopporto quando intuisco di ricevere risposte e considerazioni accomodanti o consolatorie, proprio perché mi sentirei più sereno nel sentire una realtà, ancorché negativa, rispetto a quelle.

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    1. Caro Dario, La sottile linea rossa è il mio film preferito, una vera opera d’arte. Il soldato Witt è un pozzo di saggezza, ma è l’intero
      gruppo di personaggi a parlare alla nostra coscienza, alle nostre emozioni, permettendoci di dare un nome a sentimenti che talvolta vengono a visitarci, sebbene ci sembrino ignoti. Potrebbe essere una bella piattaforma di riflessione per tutti, visto che i temi e gli eventi legati alla Giornata della Memoria fanno parte del mondo dell’indicibile. Grazie

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