La lezione indimenticabile dei bambini, che potrebbe cambiare gli adulti 

Sembra che il Covid sia alle nostre spalle, almeno nelle forme più drastiche, lo abbiamo attraversato ciascuno con modalità proprie, non replicabili, ma appena si era affacciato gli adulti avevano mostrato forti preoccupazioni sulle possibili reazioni dei bambini, sulla loro “tenuta”. 

Oggi possiamo dire che i veri vincitori di quella battaglia sono proprio loro, i bambini. 

Vi ripropongono l’articolo che avevo scritto allora per un quotidiano, nel quale esprimevo delle convinzioni sull’esito. C’è tanto da imparare dalla meravigliosa testimonianza che l’infanzia avrebbe reso nei due anni che sono seguiti. Una lezione indimenticabile.

https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2020/02/26/news/coronavirus_i_bambini_ci_ascoltano-249644331/

Coronavirus, i bambini ci ascoltano

di DOMENICO BARRILA’

Non sono antenne sempre spente che si riaccendono a comando di noi adulti. Sono esseri intelligenti che sentono le nostre ansie e paure

26 FEBBRAIO 2020 AGGIORNATO ALLE 18:12 3 MINUTI DI LETTURA

(fotogramma)

IN QUESTE  giornate in cui ognuno di noi, sta mostrando di che pasta è fatto, ci stiamo esercitando nella rincorsa al modo migliore per dirlo ai bambini, come se loro fossero antenne sempre spente che si riaccendono a comando di noi adulti. Dietro queste pretese,  c’è la sottile convinzione che i bambini sarebbero sensibili alle parole e non ai “climi” che si creano intorno a loro e che comunque il loro livello di comprensione è proporzionale all’età, dunque un bambino di cinque anni capisce all’incirca un decimo di quello che comprende un cinquantenne. Naturalmente è una semplificazione, almeno per gli aspetti quantitativi non certo per il principio.

Da qui la corsa a spiegare loro, a modo nostro naturalmente, il caos che stanno registrando intorno ad essi, un’esplosione di irrazionalità promossa dagli stessi adulti che vorrebbero spiegare ai piccoli che non c’è da preoccuparsi, magari dopo giornate di discussioni apocalittiche in presenza degli stessi bambini. Non esiste una tecnica infallibile per spiegare ai piccoli cosa succede nel mondo circostante, perché è il nostro comportamento che trasmette loro il pensiero dei grandi, la certezza di come stanno le cose. Una madre, adulta e razionale, trasferisce al proprio bambino sentimenti corrispondenti, viceversa una persona impulsiva e preda di ogni paura può anche risparmiarsi la fatica di parlare al bambino, non ce n’è bisogno.

Ieri sono andato per curiosità in un centro commerciale, due mamme con relativi bambini stavano saccheggiando tutti gli scaffali dello scatolame. Mi pare non ci sia altro da aggiungere. È evidente che noi consideriamo i bambini alla stregua di creature disposte a mandare giù di tutto in modo acritico, ma soprattutto non consideriamo che la nostra ambiguità li riempie di angoscia, anche quando siamo animati da buonissime intenzioni.

Una bambina di 2 anni e mezzo anni aveva perso la mamma qualche mese prima, un cancro del sistema linfatico. Il padre, giustamente in grave difficoltà, voleva sapere come dirlo alla propria figlioletta. Gli venne consigliato di dire che la madre era su quella tale stella e che prima o poi sarebbe tornerà. La bambina manifestava crisi di pianto, veri e propri attacchi di ansia uniti a forti stati di malinconia. Ovviamente non siamo certi di quello che stava accadendo nella testa di quella piccola, ma possiamo tentare di articolare una finzione, perché è questo ciò che può concedersi la psicologia, delle finzioni. Meglio se bene approssimate.   

Ora proviamo a metterci nei panni di quella creatura e immaginiamo come ci sentiremmo se qualcuno ci dicesse che la persona che amavamo sopra ogni altra e su cui contavamo di più si è dileguata senza una ragione plausibile, abbandonandoci. Dunque, il danno di averla persa e la beffa di sentire che il nostro valore è prossimo alla zero, dal momento che se n’è andata “malgrado noi”, anzi forse per colpa nostra. A questo aggiungiamo qualche ingrediente probabilistico, ossia “prima o poi tornerà”, come il più strafottente dei Pinkerton che lascia Butterfly in balia di un’attesa perenne.

Cosa dovrei dire a mia figlia. Mi chiese il padre. La verità, gli rispondo, le racconti esattamente come sono andate le cose, che nessuno è scappato ma che, sebbene accada molto di rado, le mamme si possono ammalare e morire, ma che continuano ad amarci ogni giorno e noi possiamo, anzi dobbiamo fare lo stesso. Consigliai al papà di portarla al cimitero, di mostrarle il loculo della madre, di dirle che potevamo provare a parlare con lei, farle sapere che gli mancava, raccontarle come stavano andando le loro vite, quello che stavamo facendo di bello. Che potevano sperare la mamma sentisse.   

Sarà stato un caso, la situazione migliorò molto rapidamente. Era bastato dire la verità. La certezza di sapere che la madre non se n’era andata a bighellonare da una stellina all’altra, le aveva almeno cancellato il timore più grande, non avere contato niente per la madre.

Ecco, di questo sono assetati i bambini, di verità, di franchezza, anche perché prima o poi “capiranno”. Ovviamente non sempre si può dire tutto, ma mostrarsi disponibile a parlare con franchezza di ogni cosa li libera dall’ansia che possa esservi un piano nascosto, oscuro, terribile, al quale sono troppo stupidi per avere accesso.

Il coronavirus, trasformato in un mostro a sette teste dall’ignoranza degli adulti e, talvolta, dalla superficialità di chi deve raccontare gli eventi, rischia di mostrare quanto siamo indietro nei confronti dei bambini, che vedono, sanno e qualche volta si prendono gioco di noi. Una trentina di anni fa mi sono recato insieme a uno dei miei figli a visitare un grosso allevamento di maiali, mi interessava capire come si comportavano questi animali in gruppo.   
Uno dei custodi, preso dallo zelo, stava cercando di spiegare a mio figlio, come avveniva il processo di riproduzione. Dopo un quarto d’ora eravamo ancora in alto mare, il pover’uomo si stava incartando in un ragionamento perimetrale, con qualche imbarazzo, senza arrivare al dunque. Fu mio figlio, che allora era in prima elementare, a levarlo d’impaccio. “Papà, ma questa è la fecondazione artificiale”.  Una donna di 40 anni, dalla professione attualissima, biologa, mi racconta di quando aveva tre anni. “Mio papà era morto in un incidente d’auto, molto cruento. Ero seduta per terra con le mie bambole, mentre la mamma raccontava alle persone che venivano a porgerle le condoglianze tutti i particolari macabri dello scontro. Una donna fece segno a mia madre di parlare piano perché c’ero io ad ascoltare. La mamma rispose che ero troppo piccola per capire, ma l’incidente di papà per me è sempre stato lo specchio di quei racconti, così terribili”.

L’epidemia in corso ci potrebbe aiutare a guardare da vicino dove di solito passiamo distrattamente, riportando i bambini nella loro posizione naturale, quella che spetta ad una grande “civiltà” che conserva intatti i codici che noi adulti purtroppo abbiamo perso e non siamo più in grado di ritrovare. Salvo volerli spiegare a chi li possiede.

2 pensieri riguardo “La lezione indimenticabile dei bambini, che potrebbe cambiare gli adulti 

  1. Caro Domenico, è proprio vero, chi ha attraversato meglio la pandemia sono stati i bambini. Ricordo la sua grande disponibilità nel fornirmi indicazioni di articoli e titoli (anche “La casa di Henriette”) da suggerire ai genitori che invocavano aiuto a noi maestre nel presentare ai bambini il problema nelle sue sfumature in un faccia a faccia che per il lockdown prevedeva un ruolo attivo da parte loro, senza declinazioni possibili.
    Alla riapertura delle scuole dopo il lockdown, noi maestre ci siamo ritrovate a gestire sorrisi dietro le mascherine, sguardi dalle visiere, gestione di varchi con orari serrati, dosaggio di gel, spazi ristretti, saluti da lontano agli amici delle altre sezioni, turni in mensa, lavaggio mani continuo, quarantena dei libri della biblioteca… Impostare il tutto ci aveva fatto domandare in fase di programmazione e accoglienza come avrebbero reagito i bambini…Abbiamo presentato loro con chiarezza gli spazi riadattati, le regole igieniche, orientandoli nella nuova routine facendo leva sulle loro risorse. Alla fine la quotidianità ci ha dimostrato la loro adattabilità e resilienza. L’incaricato del gel è diventato un ruolo ambito, si regolamentavano a vicenda in modo sereno, abbiamo trovato modi alternativi per interagire con i bambini delle altre sezioni.
    I bambini hanno raffinate antenne emotive che richiedono sincerità e semplicità. Tante volte fanno domande importanti a noi maestre: la malattia, la morte, la guerra, mamma e papà che litigano… Spesso i genitori si dicono spiazzati. Come uscirne? Senza fare troppi giri di parole e dire parole veritiere. I bambini sanno come funziona con i cicli naturali, sanno vedere oltre le spiegazioni sommarie, fantasiose, parziali o rimandate.
    Ho un ricordo personale di verità celata invano, perché tanto io e mia sorella, quattro anni, avevamo capito che il funerale della nonna sarebbe stato quel giorno. Eludemmo la sorveglianza di una cugina che per fortuna abitava non lontano dalla baracca della nonna (baraccopoli post terremoto del Belice), una corsa per una carezza. Forse dei non detti a fin di bene nel pensiero degli adulti, ma noi avevamo capito.
    Con stima

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    1. I bambini, cara Antonella, sono delle guide morali assolute, non glielo dico per spirito romantico ma in forza di una conoscenza diretta che, invece di farmi sentire appagato, mi porta a indagare continuamente l’infanzia perché quel tempo è come l’universo delle origini, contiene già tutto, domande e risposte. Il mio primo libro, più di trent’anni fa, “Educhiamo i nostri bambini con creatività”, era decicato a loro e nasceva dallo stupore sperimentato nell’incontro con questo contenitore di sorprese inestinguibili.
      Eppure, proprio noi adulti, sovente corruttori di quell’innocenza, siamo i loro educatori, un diritto e un dovere al contempo, ma spesso fuori strada perché incapaci di ispirarci a loro, rendendo l’educazione uno scambio di competenze e non un semplice impegno precettistico.
      Un caro saluto

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