La vita sfregiata da chi se ne sente arbitrariamente padrone

Quando la mia attuale professione era appena agli inizi, una donna mi chiese di accompagnarla nel percorso che avrebbe dovuto portarla all’aborto. Mi era chiaro che i miei margini di manovra fossero quasi nulli. Il mio compito prevedeva di fare emergere la vera volontà di quella donna, che aveva già due figli ma sentiva di non amare più il marito. Tuttavia, la vera volontà di una persona non la si conosce mai, soprattutto quando anche un piccolo passo può condurre verso strade senza ritorno.

La vidi per alcune settimane, l’ascoltai in silenzio. Poi ci salutammo.

Sette mesi dopo sul mio telefono fisso giunse una telefonata. Era lei, mi invitava al battesimo della sua bambina. “La ringrazio, perché in nessuno degli istanti passati insieme mi sono sentita strattonata, orientata. Sapere che non ci sarebbe stato nessuno a cui dare la responsabilità, mi ha posto di fronte alla mia bambina, senza che potessi nascondermi”. 

Non ci siamo più sentiti dopo quella la cerimonia, probabilmente quella bambina è diventata madre.

Trenta anni dopo, è una domenica mattina. Una ragazzina mi chiama, è agitata. “Scusi, lo so che oggi lei non lavora, ma sono incinta, non posso dirlo ai miei genitori, avrei bisogno di vederla subito insieme al mio ragazzo”. 

Un’ora dopo li sto aspettando presso un bar pasticceria, facciamo colazione insieme. Mi raccontano, lei soprattutto, che vorrebbero tenere il bambino, poi mi chiedono cosa penso della loro scelta, rispondo che non sono in grado di dirlo, li conosco da 5 minuti, ma che vorrei fosse “la loro scelta”.

Nei giorni successivi lei non smette di cercarmi, è preoccupata perché la sua famiglia le chiede insistentemente di interrompere la gravidanza. Me lo confermano i genitori, che vedo su richiesta della ragazza. Sono separati e non sono tanto propensi a infliggersi altri grattacapi. Li invito a valutare anche altre conseguenze, che potrebbero toccare la figlia, se costretta a scegliere una soluzione che rifiuta. Ma la sorpresa, amarissima, arriva presto. Il fidanzato si dissocia e la lascia, dopo averla coperta di insulti, un voltafaccia dolorosissima, ma molto maschile. I genitori di lui gli tengono bordone. Non provo alcuna meraviglia, dopo tanti anni in cui vedo franare uomini, adulti e ragazzi, la loro immaturità non mi stupisce più. 

A questo punto la ragazza è completamente sola. Mi invia una foto dal lettino dell’ospedale, stanno per addormentarla, prima di portarle via la sua creatura. Nei mesi successivi sarà una lenta risalita, ma la ferita non si rimarginerà più. Mi telefona, mi racconta attraverso scambi di sms, talvolta la sento schiacciata da cose più grandi di lei. Tutti coloro che le avevano lasciato una sola strada, obbligata, si sono ritirati, soddisfatti del risultato  

“In questi giorni mio figlio avrebbe compiuto un anno”, mi aveva scritto tempo fa, corredando le parole con una foto del suo viso in lacrime. 

Ora siamo contenti, dopo un anno di fidanzamento, con un bravissimo ragazzo, che mi aveva fatto conoscere nei mesi scorsi, stanno per andare a vivere insieme, ma il resto non passa, è radicato in profondità. 

Due casi assai diversi, quelli raccontati, ma accomunati da una certezza. Nessuno dovrebbe mai decidere per conto di altri su materie così personali, così fondamentali, così esistenziali, ma il tema della maternità surrogata mostra oggi quanto siamo lontani da questo obiettivo. 

Quando la vita diventa ideologia, teatro, esibizione, soprattutto da parte di politici e di magistrati, che ne stanno semplicemente violando i diritti. 

Quando non ci si riesce a domandare la ragione per la quale verso la fine dell’Ottocento venti milioni di italiani generavano ogni anno oltre un milione di bambini e oggi, che sono sessanta milioni, ne generano meno di quattrocento mila, ma si impasta l’argomento cercando di assorbirlo nelle proprie convinzioni, magari dando la colpa a chi i figli li vorrebbe e non può averli allo stesso modo in cui si incolpano agli omosessuali della crisi della famiglia.

Quando si vuole decidere a tutti i costi da che parte deve passare la vita per raggiungerci, magari basandosi su ingenue affermazioni risalenti a migliaia di anni fa, senza porsi uno straccio di dubbio su cosa significhi per tante persone il desiderio di essere genitori, e rifugiandosi dietro la barbarie e l’aridità di frasi fatte, “essere genitori non è un diritto”. 

Quando non si capisce quanto possa essere struggente non potere diventare genitore, soprattutto se c’è un’altra via che permette di rimediare.

Quando, insomma, la vita altrui viene messa in balia di chi vuole disporne perché possiede una qualche forma di potere, piccolo o grande, e pensa più alle proprie ossessioni che alle ansie altrui, dimenticando che la vita va invece riconosciuta, favorita e, quando se ne è capaci, accompagnata con rispetto, evitando di mortificare chi la cerca come può, non si stanno facendo cose diverse di quelle viste in passato su vasta scala. Nessuno dovrebbe toccare la vita, se non per migliorarla.

Ciò che non si può fare con la vita, infine, è il mercato. Deve passare da sinceri e generosi atti di altruismo, nel caso della maternità surrogata, in cui chi mette a disposizione il proprio corpo, lo faccia perché mosso da un’adesione convinta e solidale al desiderio di chi le chiede aiuto. 

Ecco, uno Stato che ascolta tutti i propri cittadini, rimuove ostacoli, si batte per avvicinare quanto più possibile l’esercizio di un legittimo desiderio a un percorso che non preveda giudizi, punizioni, dispetti, torsioni verso un passato remoto evocato per compiacere pericolose frazioni integraliste della società.     Favorire un percorso trasparente, questo si nell’interesse del bambino, che deve essere messo in condizione di ricostruire con esattezza la filiera della propria origine, quindi sottratto per quanto possibile alla mortificante lotteria di inseminatori anonimi, prestatrici professioniste altrettanto anonime, ricordando però che dove questo non è stato possibile, è rimasta comunque una vita capace di porsi domande. Una vita, che non ci sarebbe stata e che forse ne salverà molte altre.

10 pensieri riguardo “La vita sfregiata da chi se ne sente arbitrariamente padrone

  1. Domenico carissimo,
    tocchi argomenti difficilissimi accarezzandoli delicatamente.
    Tempo fa avevo letto il libro della Mazzantini, “Venuto al mondo”, che, assieme alle tue parole, mi ha aiutato a comprendere la maternità, ed anche quella surrogata senza per forza incasellare o giudicare chi fa questa scelta.

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    1. Il punto, caro Bruno, è che la delicatezza dell’argomento dovrebbe essere percepita da tutti, perché si tratta del più grande evento dell’universo a noi noto, la vita umana. Solo che l’abitudine derubrica tutto, ponendolo in fondo alla scala.
      Fatto questo primo passo, svilito il sublime, tutti si sentono in diritto di frugare negli scaffali come capita. Grazie

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    1. Cara Francesca, fare ordine quando si parla di vita è proprio complicato, proprio perché ogni vita è una satira a sé, quello che invece dovrebbe essere facile da afferrare è che essa ci sovrasta e il suo dispiegarsi non può essere deciso secondo la collocazione ideologica o la propria storia personale. Un caro saluto e grazie per le tue parole

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  2. Dottore, avessero le persone la sua capacità di analisi oggettiva dello realtà attuale sarebbe un mondo nettamente diverso. Ci troviamo in un mondo in cui i soprusi in qualche modo vengono sempre giustificati, la giustizia non agisce secondo il giusto criterio e si occupa di questioni talmente delicate riducendole ed una banale notizia sui giornali per fare scalpore. Siamo in una realtà in cui chi vorrebbe avere con sincero desiderio dei figli viene limitato dal giusto e corretto di alcuni che si arrogano il diritto di decidere per la vita altrui. Non fa niente poi se ci sono uomini sempre meno uomini e donne messe sempre di più in pasto agli aguzzini. Ciò che è giusto è che una coppia omosessuale non debba avere figli, non fa niente se figli di genitori eterosessuali sparano pallini addosso ad una professoressa e vengono assolti. mi lasci dire, in che mondo viviamo? in che mondo metterò alla luce mio figlio? La prima cosa che ho pensato quando ho scoperto la mia gravidanza è stata: ” Benedetta cerca di tutelare tuo figlio da ciò che è successo a te ma allo stesso tempo permettigli di vivere serenamente affinché diventi un uomo buono e di spessore”. Spero e incrocio le dita perché questo si verifichi.

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    1. Cara Benedetta, tuo figlio crescerà vicino a te e al tuo compagno, le idee che traspaiono dal tuo commento mi
      danno la certezza che si prenderà subito un bel vantaggio su chi spara pallini sulla professoressa (e la scuola gli mette pure 9 in condotta), quello che invece devi augurarti è che i tuoi figli possano dare il meglio di se stessi per aiutare i loro simili a mettere un freno alle tendenze che così bene denunci. Non è una partita persa, tu lo sai meglio di me, e dunque abbiamo il dovere di concederci un tentativo, anzi tanti. Un caro saluto e tanti auguri per chi sta arrivando.

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  3. “Quando si vuole decidere a tutti i costi da che parte deve passare la vita per raggiungerci”.
    Questo è la priorità per gli integralisti e i fondamentalisti, che approcciano il tema delicatissimo della genitorialità in modo ideologico.
    Vogliono decidere loro da dove e come deve arrivare una vita. Invece, poi, accompagnarla, una volta che c’è, e riempirla di diritti e dignità, quella non è una priorità, anzi, direi non è nemmeno un punto in agenda.
    Quello che lascia sgomenti è la totale incapacità di immedesimazione di costoro, politici, magistrati, attivisti o semplici cittadini che siano, l’indifferenza con cui si derubricano le aspirazioni e attese altrui a meri desideri egoistici (qualcuno dovrebbe peraltro spiegarmi perché generare sarebbe un atto di amore gratuito, se compiuto da una coppia etero, e diventa invece un atto di egoismo se posto in essere da una coppia omosessuale), l’ostilità con cui ci si erige a giudici e arbitri delle scelte altrui, quando non hanno alcuna interferenza o ripercussione sulle proprie.
    Serve una grande mobilitazione, caro dottore, umana e civile.

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    1. Nel post di settimana scorsa, che parlava dell’uccisione di Manuel, 5 anni, per mano di uno giovanissimo youtuber, si toccava proprio l’aspetto dell’indifferenza al dolore altrui. Sembrano comportamenti episodici, e dobbiamo augurarci che lo siano. Eppure, qualcosa sembra mutare. Da anni, ad esempio, sappiano che il rumore influenza il nostro sistema nervoso, e abbiamo cercato di trovare delle contromisure, ma evitiamo accuratamente di domandarci cosa provoca nella nostra esistenza l’accelerazione senza precedenti cui siamo sottoposti din fa piccoli, non proviamo nemmeno a chiederci quanto distolga la nostra attenzione dal prossimo, giacché quando il tempo si assottiglia finisce per bastare solo per noi. Arrivare a chiedersi cosa succede in una persona che desidera diventare un genitore quanto più possibile biologico e perchè questo tarlo può stimolare viaggi tortuosi e costosi, è un’azione che richiede tempo e capacità di emmedesimazione, ma tempo non ne abbiamo e senza tempo non c’è immedesimazione, allora usiamo il dado, perché fare il brodo di verdure è troppo lungo, passando sopra la vita altrui con quella disinvoltura che lei coglie benissimo. Grazie di cuore

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  4. Il titolo dell’articolo introduce il tema in modo inequivocabile: arbitrarietà che genera sofferenza, possibilità di scelta negata, la vita condizionata già al suo primissimo esordio, individui che pensano di poter avere il diritto di disporre per altri senza curarsi dei loro sentimenti e aggiungerei della loro dignità . Essere genitori non è solo un fatto biologico. C’entra il cuore, c’entrano i sentimenti, c’entra la cura, aspetti che non vedo diversi in una coppia etero e omosessuale, così come in una coppia di genitori biologici o adottivi. La tutela in un percorso sì, quella concordo con Lei quando dice che bisogna agire “nell’interesse del bambino, che deve essere messo in condizione di ricostruire con esattezza la filiera della propria origine”, ma non precludere la Vita a priori per mera ideologia. La vita, da qualunque parte arrivi, va poi supportata, aiutata, educata. Non mi sembra che si operi sempre in questo senso, anzi! . Lei lo evidenzia molto bene riferendosi spesso al “potenziale” dei bambini che viene puntualmente disatteso, sprecato, ignorato. E a farlo sono spesso adulti che non hanno tempo.
    Con stima profonda
    Antonella

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    1. Abuso di soggettività. È questo l’errore imperdonabile di cui parlo. Partire da una propria visione, ideologica, del mondo e coprire la vita altrui delle pretese consuguenti, rendendo la vita umana “disponibile”, a cominciare da quella dei bambini, che si immaginano tasselli di un progetto, terenno e ultraterreno, al quale devomo uniformare la loro vita. Lo stesso vale per gli orientamenti privati, soprattutto nel campo affettivo, esistono due e soltanto due tipologie. Il resto è devianza. Una regressione verso un mondo primitivo alla quale non possiamo soggiacere. Grazie Antonella

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