Una scuola senza amanti e con molti giudici

Tempo fa una paziente, che da almeno trent’anni fa l’insegnante alle medie, amata e stimata dagli studenti e dalle loro famiglie, mi aveva consegnato un libro sulla scuola, scritto da un mio collega piuttosto noto. Titolo ruffiano, sottotitolo veramente ridicolo, prodotto di quella cultura che vive in una bolla, fatta di persone che magari non sanno neppure prendere la metropolitana ma vorrebbero insegnare agli altri come vivere. 

La scuola, poi, è un territorio di caccia troppo ghiotto perché non ci si lasci vincere dalla tentazione di farle…scuola.

Quel libro non l’avevo mai aperto, proprio perché non amo i maestri vita, ma non mi sento in colpa verso l’insegnante perché glielo avevo preannunciato. Malgrado questo mi aveva pregato di accettarlo, aggiungendo che lei non avrebbe saputo cosa farsene. Ma il giorno è arrivato. Ieri.  Rimettevo a posto i miei libri ed è ritornato a galla, per caso, e mentre lo spostavo mi sono accorto che dalle pagine usciva lo spigolo di quello che sembrava un segnalibro; invece, era un bigliettino a me indirizzato, che conteneva questo piccolo testo.

“Mi piacerebbe dire al suo collega che la sua è la scoperta dell’acqua calda. Non si può insegnare senza amore e senza passione, neppure si può entrare in una classe senza sapere quanto bene vuoi ai tuoi alunni. Lo dica allo psicologo autore di questa banalità”.

Ovviamente non lo dirò al mio collega, non sarei convincente quanto quell’insegnante, vorrei invece dire a chiunque voglia parlare di scuola o a chiunque voglia criticarla, che l’unico modo per capirci qualcosa è stare in una classe, toccare con mano quanto sia complicato catturare l’attenzione di chi la abita, prendersi sulle spalle inquietudini e tormenti di chi è costretto a stare ore sigillato tra quattro mura faticando a capirne la ragione. Senza considerare quanto risulti beffardo a un insegnante essere pagato un centesimo di quanto incassa l’autore di quelle pagine inutili.

Una ventina di anni fa, nel Milanese, ero stato incaricato di condurre un esperimento originale, moderare un gruppo di trenta di persone presso una scuola, composto da genitori, insegnanti, personale tecnico e amministrativo. Dopo diversi incontri, tanti genitori avevano capito quanto fosse difficile insegnare, i docenti si erano resi conto di quanto fosse angoscioso occuparsi di un figlio che va a scuola, mentre il sottoscritto aveva realizzato che la psicologia quando parla di scuola farebbe bene ad abbassare le ali e magari a scrivere meno dalla stessa.

Adesso la scuola è in vacanza, se ne parlerà assai meno di quando è attiva; invece, penso che proprio l’estate dovrebbe accendere dibattiti approfonditi su questa parte della società della quale pensiamo di conoscere alla perfezione ma di cui, invece, ignoriamo quasi tutto.

2 pensieri riguardo “Una scuola senza amanti e con molti giudici

  1. Grazie alla docente che le ha fatto quel bel dono (il biglietto, intendo) e a lei per l’articolo con cui lo condivide: entrambi cristallini.
    Già la semplice ricognizione etimologica delle parole che si intersecano sui principali attori scolastici (maestro, docente, insegnante, professore, studente, allievo, alunno…) evidenzia una complessità che imporrebbe prudenza estrema nelle esternazioni. Virtù sconosciuta a molti, tra cui quel suo collega, evidentemente.

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    1. Cara Giulia, la scuola, come il resto del Paese, è piena di difetti ma, la prego di credermi, è un luogo di difficile manegevolezza, starci dentro tante ore tutti i giorni richiede una grande capacità di sacrificio e di adattamento, un processo che già di per sé educa e “insegna”.
      Parlare con la gente che di scuola vive, fa passare la voglia di raccontare storielle piùo meno edificanti, di fare i fenomeni, come dicono i ragazzi.
      La scuola merita di essere accompagnata, con l’esempio e, quando occorre, con gratuità, vista la situazione economica in cui versa. Il resto è puro spettacolo. La ringrazio e le auguro una buona giornata

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