In questi giorni inizia il processo alla madre di Diana, la bambina di 18 mesi lasciata morire di fame e di sete.
Una vicenda apparentemente aliena, ma che racconta molto di noi, delle nostre sviste, della nostra vita caotica, del tempo in cui viviamo, della solitudine di tante madri e tanti bambini.
Vi ripropongono una riflessione uscita a caldo, che alla luce degli sviluppi appare oggi ancora più attuale e necessaria.
https://tg24.sky.it/cronaca/2022/07/27/diana-omicidio-infanticidio
Bellissimo articolo caro Domenico.
Senza compassione (patire insieme), lo sforzo serio e vero di metterci nei panni del prossimo, non possiamo capire niente.
Possiamo solo giudicare senza cambiare nulla, nella vana e segreta speranza che tanto noi … non saremo mai dall’altra parte.
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Grazie Bruno, le tue parole sono una pennellata di straordinaria precisione, che coglie il vero cuore di questa vicenda e di molti dei problemi che ci assediano. Parlo di quell’impersonalità che sta aumentando a dismisura le distanze tra gli esseri umani e tra essi e quanto. di animato e inanimato, li cirocnda. Un caro saluto
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Grazie Domenico, il suo discorso si snoda con la consueta profondità a descrivere una vicenda terribile, vicenda di mamma e figlia in un quadro di squallore generale, perché l’indifferenza che caratterizza la vita di una società individualista ed egocentrica qual è la nostra è tale, squallida e pericolosa. Sempre più una società anestetizzata.
Con stima
Antonella
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Cara Antonella, la morte di quella bambina, mi perdoni l’iperbole, è un crimine collettivo, erano passati 18 mesi dalla sua nascita, oltre 500 giorni, e mi chiede quanti occhi chiusi e quante omissioni su quelle due creature senza speranza, madre e figlia. Grazie per le sue parole.
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A distanza di tempo questa vicenda mi produce ancora un profondissimo sgomento e mi chiedo come sia potuto accadere. La parola giusta la pronuncia lei, anche nella civilissima e affollatissima Milano si può morire di indifferenza. Della propria famiglia, dei vicini, delle Istituzioni. Mancano i fondamentali, in relazioni personali sempre più distanti e rarefatte, condizionate pesantemente dalla tecnologia e dalla virtualità, in stili di vita inumani, nei quali la fretta ci cattura e l’altro è solo una comparsa sullo sfondo delle nostre esistenze accelerate, in reti sociali e sanitarie delle istituzioni a maglie troppo larghe, in cui tante Alessie e tante piccole Diane passano senza essere intercettate e senza che le loro esistenze contino per nessuno.
Che tristezza, che vergogna per tutti.
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Certo, caro Gianni, le cose stanno così, ma ora tutti cercano vendetta, anche chi per 18 mesi si è guardato un altro film. Gli occhi, chiusi o aperti, possono dare o togliere la vita.
Parlo spesso del ruolo dell’osservazione come premessa di responsabilità, perché quest’ultima si può esercitare solo se c’è vera consapevolezza. Diana non è mai stata davvero “registrata” da uno sguardo responsabile, perché se fosse accaduto sarebbe ancora tra noi, e la sua mamma in condizione, dopo un percorso di aiuto, di occuparsene. Grazie di cuore
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