Educarci e educare davvero al 25 Aprile. Con le castagne di Donnas, in Valle d’Aosta

Per arrivare alle castagne di Donnas, in Valle d’Aosta, dobbiamo prima domandarci come mai a molti, si proprio a molti, la festa del 25 Aprile possa suscitare fastidio. 

Potremmo rispondere che in quella ricorrenza vi sono dei significati, palesi o nascosti, che toccano qualcosa di profondo, qualcosa che crea scompiglio dentro di loro, ma è un faldone che deve essere sistemato prima o poi, perché il nostro mondo interiore si disfa se non lo facciamo, ma soprattutto si contamina quello dei nostri figli, a cui dobbiamo insegnare che ci sono memorie comuni senza le quali non si può costruire nulla di ragionevole né si può provare o ricevere compassione.  

Mi viene in mente il fratello di una mia ex paziente, che conosco attraverso le parole della sorella. “Quando ero piccola, mio fratello maggiore, che andava alle medie, abusava di me. Più tardi, ogni volta che mi vedeva, veniva colto da attacchi di rabbia, scoppiava a piangere e mi picchiava. Dentro di me capivo le ragioni di quell’aggressività, sapevo che vedermi gli ricordava delle cose gravi a cui non poteva più porre rimedio e che questo lo faceva disperare”.

La sapienza di questa donna ci aiuta a comprendere per similitudine le ragioni per le quali la Festa della Liberazione suscita negazione, stizza, aggressività nelle persone che al tempo delle lotte partigiane sarebbero state dall’altra parte e che, ancora oggi, in qualche modo, sentono maggiore affinità con i “cattivi”. Non possono dirlo esplicitamente, perché questo farebbe perdere loro la faccia e una serie di vantaggi, ma non si sentono neppure di affermare esplicitamente la propria adesione alla comunità di valori nata dalla Costituzione. Sarebbe un matrimonio di convenienza che, giustamente (dal loro punto di vista) rifiutano.

Potreste chiedermi cosa c’entrano le castagne di Donnas in questa storia. C’entrano eccome. Negli ultimi mesi mi sono mosso tanto, dalla Puglia all’Abruzzo, dalla Lombardia alla Campania, ma la prima conferenza primaverile l’ho tenuta a Donnas, in Valle d’Aosta. Non ero mai stato in quella regione, il cui numero di abitanti è davvero esiguo, 110 mila persone. 

Era l’unica che mancava nella mappa dei luoghi in cui mi sono recato per parlare coi cittadini, di ogni età. La sera, prima dell’incontro pubblico, sono stato a cena in una casa privata, insieme agli animatori dell’associazione che aveva organizzato l’evento. La cena prevedeva una serie di sfiziose tortine di formaggio e verdure, avevo comunicato di essere vegetariano, poi sono arrivate delle castagne, sbucciate e bollite, da mangiare insieme a dei formaggi freschi. 

In genere non amo le pietanze dolciastre, come i ravioli di zucca, ma quella sera non mi sono nemmeno accorto che le castagne avessero quel sapore, anzi mi sono pure piaciute. Ciò che mi aveva fatto dimenticare le mie fisime era stata la compagnia, quella vicinanza ad altre persone con le quali sentivo di condividere i valori che tengono insieme una comunità, quelli di base però, come l’impegno civile e educativo, l’altruismo, la solidarietà, l’accoglienza, il rispetto dei diritti altrui, quelli contenuti nella Costituzione della nostra repubblica. 

Non importava come votassero i commensali, contava solo come ciascuno pensava ci dovessimo comportare col prossimo. Sono certo che se avessimo spostato indietro di ottant’anni il calendario, saremmo stati tutti dalla stessa parte. Così come sono certo che nessuno avrebbe avuto difficoltà a definirsi, senza imbarazzo, antifascista, perché non puoi educare un figlio secondo i principi del sentimento sociale, la premessa che rende “normale” ogni persona, se non riesci a capire da che parte stare quando uno dei contendenti è un prepotente sanguinario. 

I miei amici di quella sera credo sappiano da sempre come e con chi bisogna stare, due secoli fa, in quattro gatti, avevano bloccato Napoleone, che veniva a saccheggiare l’Italia, un intero mese, al forte di Bard, poche centinaia di metri dal luogo in cui stavo imparando ad amare le castagne bollite. 

Se non ti è chiaro tutto questo, caschi sempre dalla parte sbagliata, senza dubbio.

Saperlo, certo, mette in imbarazzo, comprensibile, ma è inutile, meglio lavorarci sopra, invece di giocare a nascondino o arrabbiarsi perché qualcuno te lo ricorda, dal momento che in realtà gli altri non c’entrano nulla, è qualcosa che devi risolvere con te stesso, come è accaduto per il fratello della mia paziente.

Forse una bella scorpacciata di quelle castagne, insieme alle stesse persone, aiuterebbe. 

Domenico Barrilà. Analista adleriano e scrittore.

Ps. A proposito, dopo avere chiuso questo articolo, mi è arrivata una mail dai miei amici di Donnas. Diceva che “in bassa Valle d’Aosta, in tempo di guerra, tutti, compresi i partigiani, sono sopravvissuti grazie a quelle castagne”.

Basterebbe così poco per mettersi alle spalle i propri lati oscuri.

10 pensieri riguardo “Educarci e educare davvero al 25 Aprile. Con le castagne di Donnas, in Valle d’Aosta

  1. Caro Domenico, intanto lode alle castagne, semplici, schiette, preziose. Trovo sempre più diffusa, in contesti diversi, la tendenza non solo a non considerare il passato, ma proprio a cancellarlo, sulla spinta di tendere al rinnovamento, alla novità, al voltare pagina. Poi, come Lei fa intendere bene con le sue riflessioni, questo voltare pagina può avere dietro chissà quali motivazioni inconsce e consce, chissà quali fastidi e insofferenze. Ma intanto si insinua la tendenza anche nei posti di lavoro a non considerare quanto é stato fatto prima, quanto nelle fatiche quotidiane ha connotato una visione di fondo. Di fondo appunto. Fondamenta del nostro essere e pensare. Se ci spostiamo nell’ambito della sua riflessione, credo che gli effetti di questa spinta all’oblio siano davvero pericolosi. Rischiamo di crescere per nostro comodo generazioni future non empatiche, senza radici e acritici. La storia deve essere maestra. E dobbiamo avere il dovere di farla conoscere, di proporla. Guardare al passato é indispensabile per costruire il futuro. Anche quando questo passato può risultare scomodo e faticoso. A Sant’Anna di Stazzema i tedeschi, dopo anni e anni dall’eccidio, hanno pianto. Tuttora, molti tedeschi, visitano quel luogo, fanno i conti con un passato non proprio esaltante, ma forse proprio lì, con l’omaggio a quel luogo, trovano un modo per ricucire una frattura. Non si può voltare pagina alla leggera o strumentalizzare la storia. La nostra Costituzione scaturisce dai valori di pagine di storia che uomini e donne hanno costruito in quegli anni. Grazie Domenico! W le castagne. Buon 25 aprile!

    Antonella

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    1. Carissima Antonella, la maledizione che dobbiamo evitare alle nuove generazioni è l’oblio, i professionisti dell’oblio non agiscono mai a caso e mai senza intenzioni malevole, lei cita Sant’Anna di Stazzema. Il giorno il cui l’abbiamo visitata insieme alla mia famiglia, non è rimasta nessuna parola a dire. Un silenzio che si è riempito ogni giorni di dubbi su noi stessi, perché poi, alla fine di tutto, quella bestialità in qualche modo ci riguarda. Difficile stabile un crinale netto tra i buoni e i cattivi, tutti dobbiamo sapere che i cattivi prolifero proprio grazie al silenzio dei cosiddetti buoni. La ringrazio molto, come sempre, per questa riflessione

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  2. Grazie di questo contributo di riflessione, originale e molto, molto significativo. 

    Un problema enorme, questo fastidio a ricordare, questo negazionismo, perché quando non si parte da un basamento culturale e valoriale comune, gli stessi “atti fondativi” della Repubblica, la Costituzione e la stessa Democrazia, risultano inconciliabili e non può esserci una memoria condivisa.

    Il dilemma non è, come questi signori, smemorati e infastiditi, vorrebbero farci credere, vale a dire “fascismo contro sinistra”, la alternativa al fascismo è l’antifascismo, dunque la democrazia.

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    1. L’espressione che lei usa, caro Gianni, “Il fastidio di ricordare”, va oltre le semplici parole, dice più di quello che esprime e tocca corde che per molti è meglio non toccare, verità che si vogliono eludere perché non si è in grado di guardare negli occhi i propri connazionali. Un caro saluto

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  3. le verità soprattutto quelle scomode, dolorose, bisogna tenerle sempre sul “comodino”, non per guardarle la sera prima di andare a dormire e poi fare sogni fantastici, ma per metterle in tasca al mattino e affrontare la giornata con la consapevolezza di dover fare qualcosa fosse anche soltanto raccontare. Avevo all’ incirca 8 anni, quando a scuola arrivò una supplente, eravamo alla vigilia del 25 aprile, ci raccontò del terrore della guerra, di lei bambina che mangiava quello che trovava, di aver patito talmente la sete, che nella disperazione sua madre le diede da beere l’ acqua del catino in cui bagnavano il pettine per tenere in ordine i capelli, un’ immagine forte per dei bambini, che mi insegnato però a non sprecare l’ acqua.

    Il potere della memoria è quello che ci resta , davanti all’ ignoranza imperante, al senso di negazione, alla pochezza in cui stiamo scivolando a grandi passi.

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    1. Ma per chi stava dall’altra parte, cara Simona, non è facile elaborare un errore esistenziale così grande, ma è ancora più complicato comprendere che il 25 Aprile parmette anche ai loro figli e nipoti di sperare, perché al di fuori dei principi fissati nella Costituzione c’è solo uno spaventoso baratro dal quale è problematico risalire. Il 25 Aprile e la Costituzione che ne segue, fissano le regole del gioco, non ti dicono come votare, per fortuna, ma quali sono le premesse per stare insieme. Un cao saluto

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  4. Ieri, a scuola, un bimbo di sei anni, esordì con: “mio papa’ mi ha detto che domani restiamo a casa perchè la guerra è finita…..”
    Disarmante e tenero.
    Approvo con un sorriso.
    Quegli occhioni mi hanno lasciato infinite domande e pochissime risposte.
    Forse una, essenziale.
    Per la giustizia e la libertà si muore e si vive.
    Grazie sempre, Domenico carissimo.
    Mila

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    1. Forse, cara Mila, quegli occhi e quella purezza andebbero ripagate dagli uomini con azioni diverse, perché in fondo la guerra non è mai finita, forse è finita la nostra, ottant’anni fa, ma dovrebbero essere anche tutte quelle che ci circondano, persino quelle che si innescano nei condomini e nelle famiglie. Grazie per il tuo sguardo

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  5. Caro Domenico,

    la riflessione è estremamente interessante, ma non c’erano dubbi.

    Ho atteso nel lasciare il mio commento perchè auspicavo, fino a ieri sera, che qualcuno facesse memoria di quanto ieri abbiamo “festeggiato”.

    Al di là delle parole del Presidente della Repubblica, noto davvero con dispiacere che tutti i vertici delle nostre istituzioni sono permeate da personalismi ed individualismi che mal si conciliano con lo spirito solidaristico che quella Festa pone come prodromo essenziale per la storia futura antifascista.

    D’altronde, gli Amici delle castagne ne sono un fulgido esempio!

    Mi sono rimaste impresse le parole di Cesare Pavese, che mi premetto di condividere e che penso siano quantomai attuali: “Non sei mica fascista?”, mi disse. Era seria e rideva. Le presi la mano e sbuffai. ” Lo siamo tutti, cara”, dissini piano, ” chi lascia fare e si accontenta, è già un fascista”.

    Ti ringrazio profondamente per questa tua riflessione che guarda alla Storia e alla Memoria.

    Un abbraccio

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    1. Carissimo Luigi la citazione di Cesare Pavese direi che chiude i conti, aprendo il baratro delle omissioni, molto più diffuse e assai più dannose delle stesse azioni, senza contare che nessuno di noi è immune da questo tipo di attegiamento. Tanto non si vede. Un caro saluto e grazie davvero per queste parole

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