Alessia Pifferi ci abita, la fuga dei genitori dalle responsabilità

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10 pensieri riguardo “Alessia Pifferi ci abita, la fuga dei genitori dalle responsabilità

  1. Grazie Domenico per questa riflessione.Non basta concepire un figlio per diventarne padre o madre. In ogni caso c’è bisogno di un atto consapevole di adozione.Qualcuno crede che sia sufficiente provvedere alla sussistenza per aver compiuto il proprio dovere, ma non basta… e così che si può arrivare a sentirsi orfani pur avendo accanto chi ci ha messi al mondo.

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    1. Purtroppo, cara Michela, spesso avere un figlio, che risponde a un potente bisogno che ci portiamo dentro, al desiderio di lasicare traccia di noi, diventa fine a se stesso, ma quando un figlio arriva “ingombra”, modifica la tua vita, interferisce con essa, se non si è disposti a farsi ingombrare, la nasciata di un figlio moltiplicherà solo il malessere del mondo, perché un figlio che non si annida diventa solo un ospite infastidito e riottoso, incapace di ascoltare sé stesso e gli altri. Prima di fare i figli, dovremmo fare i genitori, ma nel nostro paese la preparazione alla genitorialità è uno dei tanti illustri sconosciuti, soprattutto da chi si riempie la bocca di famiglia. Un caro saluto

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  2. La madre e la sorella della Pifferi andrebbero messe in galera al pari della loro congiunta

    Sanno solo condannare e chiedere risarcimenti ( che non vedranno mai…) di centinaia di migliaia di euro

    Che ipocrisia!

    Ma dov’erano quando Alessia conduceva la sua povera vita ???

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    1. Queste dubbio alberga in molte delle persone con cui mi sono confrontato in queste ore, io stesso ne sono toccato. Ti ringrazio di averlo esplcitato in modo così chiaro. Se Alessia era quello che dicono, anche i familiari, mi chiedo come si potesse stare tranquilli sapendo quella bambina in balia di una madre così poco affidabile.
      Spero non sia il senso di colpa a spingere le persone vicine verso posizioni così severe. Ti ringrazio

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  3. Caro dottore,

    Confesso che il suo articolo mi ha messo in crisi, perché faccio parte di quei milioni di italiani che, all’udire della condanna all’ergastolo di Alessia Pifferi, ha pensato “Giusto così, quel comportamento irresponsabile e crudele merita una pena come quella inflitta”.

    Mi rendo però conto, attraverso la sua riflessione da “studioso dei comportamenti”, di quanta sommarieta’ e leggerezza, di quanto qualunquismo asettico e giustizialista ci sia stato nel mio iniziale approccio alla notizia.

    La morte di quella bimba e il pensiero della sua agonia, in una condizione di abbandono e inedia, mi atterriscono e sconvolgono, tuttavia è chiaro che, come lei dice, se “perimetriamo” il comportamento della madre e definiamo una cesura netta fra lei e la società, la cultura in cui è immersa, in cui siamo immersi, ci laviamo la coscienza e rimuoviamo le responsabilità collettive.

    Le responsabilità delle Istituzioni, perchè è evidente che quando c’e’ una madre che vive sola con una figlia neonata devono scattare allerte sociali e sanitarie (ci saranno stati o avrebbero dovuto esserci, da qualche parte un/a pediatra, un assistente sanitario/a, un assistente sociale?). Le responsabilità della politica, perchè come lei fa notare forse avremmo necessità anche di impianti normativi nuovi, che vadano al passo coi tempi e siano in grado di garantire maggiori tutele, rispetto agli inganni del web e alle trappole degli influencer che propinano una vacua cultura dell’apparire. Le responsabilità di tutti noi, perché Alessia Pifferi  non viveva sulla Luna, ma nella “civilissima Milano”, che il suo sindaco, che ama gli slogan, si fregia di definire “Città dei diritti”. 

    Eppure, ci saranno stati anche familiari, vicini di casa, abitanti del cortile, frequentatori più o meno occasionali della signora, ma a nessuno è minimamente interessato della piccola Diana. Nessuno! E quel “nessuno” siamo tutti noi, presi dalla nostra vita frenetica, dai pensieri rivolti a noi stessi, dalle nostre personali frustrazioni o ambizioni, che ci rendono estranei a tutto ciò che non interferisce o interessa alle nostre singole esistenze. 

    Salvo quel guizzo egoista e immaturo che ci ha fatto dire, poi, di Alessia Pifferi “Ben le sta. È ciò che si merita”, e guardare altrove.

    Grazie per questo suo richiamo ad essere adulti ed a porci, sempre, domande di senso. 

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    1. Caro Gianni, la ringrazio per questa riflessione, in qualche modo ci rimette in pace con l’idea che parlarsi aiuta, ascoltarsi migliora il livello di tolleranza e rende il clima umano migliore. Se avessimo affontato questo delicatissimo episodio, questa tragedia, con lo stile delle arene romane, riportate in vita dall’universo dei social, ci saremmo scambiati qualche colpo di fioretto o, peggio, di sciabola, ma ognuno sarebbe rimasto sulle proprie posizioni. Ma il punto, in effetti, non è arrivare a pensare allo stesso modo, non è questo l’obiettivo del confronto, semmai mettere insieme “più cose”, di modo che ognuno abbia a disposizione maggiori elementi di giudizio.
      Questa tristissima storia non si è svolta su un pianeta alieno, ma sotto il naso, come lei giustamente argomenta, ma tutti ci siamo allertati sol quando Diana era già morta . Tra gli indizi, durati molti mesi, e la presa di coscienza, ossia il decesso di quella povera creatura, passa tutta la nostra inadeguatezza, forse la nostra strafottenza. In quella terra di nessuno posta tra i due estremi, vi sono gli indizi di ciò che siamo, e non sono molto incoraggianti. Grazie e un caro saluto

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  4. Grazie Domenico per le sue riflessioni. Questa vicenda continua a lasciare sgomento. Sgomento innanzitutto perché una bambina che si affacciava alla vita non c’è più, tradita dalla vita stessa che ha potuto solo sfiorare e che chi le stava attorno e conosceva la sua mamma avrebbe dovuto tutelare. Sgomento perché se la situazione personale della madre era nota alla famiglia e al contesto di vita, qualcuno avrebbe dovuto dire, vigilare, tutelare, orientare, ascoltare, supportare. Ma, purtroppo, è più facile voltarsi dall’altra parte, guardare senza vedere, sentire senza ascoltare. Se una persona come questa mamma con problemi ben noti, a mio avviso, avrebbe dovuto avere una guida, un aiuto fin dalla gravidanza. Purtroppo siamo qui a parlarne solo perché è successo inimaginabile. In caso contrario, anche se le fragilita’ risultavano evidenti, nessuno di noi avrebbe saputo, mamma e bambina avrebbero fatto la loro vita con le disfunzioni educative che possiamo immaginare, nell’indifferenza di chi le conosceva e avrebbe dovuto fare molto di più per prevenire. La nostra società individualistica è colpevole alla pari. La genitorialita’ non ha supporti. In ambito scolastico spesso si vedono genitori che mettono in primo piano solo in apparenza i bisogni dei bambini. Intanto non vengono date regole perché ‘si investono troppe energie”, che lo faccia la scuola; intanto non si educa all’attesa perché è più semplice dare tutto subito, così non fanno capricci. Coltivare le autonomie di base? Troppo faticoso, meglio procrastinare il più possibile lo svezzamento, l’automia igienica e quant’altro. Mi aspettavo una pena severa per questa mamma, ma anche il riconoscimento delle sue fragilità pregresse, diventate quasi invisibili, difficoltà pregresse appunto, che, in quanto tali, scuotessero responsabilità individuali e sociali che non sono scattate al momento giusto. E questo, per chiudere, genera altro sgomento e ci invita a guardarci dentro tutti quanti.

    Con stima

    Antonella

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    1. Cara Antonella, come può immaginare, per i fragili non è prevista la comprensione, più facile che diventino oggetto di pene esemplari, lavacri pubblici che alleggeriscono la coscienza collettiva. Ora abbiamo scoperto che la mamma della disgraziatissima Diana può coprire le nostre aggressioni quotidiana a tutti i bambini del Paese, e ci sentiamo meglio.
      Sono in partenza per Catania, invitato ad anticipare in un incontro pubblico i temi di un mio libro sugli effetti dell’individualismo, in uscita a settembre. Questo è il tema, questa è la parola dell’oggi e del domani, individualismo, di cui siamo pervasi fino al midollo, facendo finta di non esserlo. Un mese fa una dirigente scolastica mi confidava amaramente di non avere più una vita privata, sopraffatta proprio dall’eccesso di individualismo di tutti i soggetti che fanno capo alla scuola, a cominciare dai genitori, sempre pronti a mettere sotto processo chi si occupa dei loro figli. Un caro saluto e grazie per la sua testimonianza dall’interno, dalla scuola.

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  5. In questi giorni sto facendo una riflessione. So-stare con i ragazzi/e, bambini/e è bello ma altrettanto difficile. Ogni tanto assale la stanchezza e mi sono chiesta perché? Mi sono risposta così: perché l’adulto deve sempre ricominciare dall’inizio, cioè dal bambino/a, ragazzo/a, che sono l’inizio, in quanto unici. Ciascuno di loro è nuovo nella loro fase di crescita che sta vivendo, mentre io, che sono e sto con tanti unici, no. Quindi, siamo noi adulti a dover trovare la forza e la volontà di rimetterci in gioco a partire da questo inizio che ci chiama. Difficile, ma altrettanto affascinante.

    Grazie dott. Barrilà che sempre ci dona spunti per ri-flettere

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    1. Cara Virna, ciò che fa di te una vera educatrice è questa capacità di porti domande. Non è un atteggiamento ordinario, penso che se i parenti di Alessia Pifferi e i vicini di casa si fossero messi in questo atteggiamento interrogativo, forse le cose sarebbero andate in maniera diversa. Come si diceva in un post precedente, siamo sopraffatti dalle risposte ma latitano le domande.
      Non è una buona notizia per i bambini, ma non solo per loro, perché sono le domande a rendere evidente quella singolarità di cui parli, ed è solo questo tormentarsi di domande che può rendere possibile l’intervento educativo. Un caro saluto e grazie

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