Perché la scuola rappresenta una precoce “ultima” speranza

Chissà se davvero abbiamo chiaro quanto pesa ciò che accade a scuola.

Sto uscendo da una scuola dirupata, in provincia di Napoli, qualcuno mi aspetta in auto per accompagnarmi a prendere il treno.

Poco prima mi trovavo in un saloncino piuttosto angusto, dov’erano ammassati un centinaio di insegnanti. Avevamo parlato di bambini e di ragazzi, trovando una sintonia profonda. 

Prima di iniziare mi ero confrontato con la dirigente, una conversazione edificante. Avevo di fronte una donna adulta, serena, capace di mettere in fila i mille stimoli e gli altrettanti imprevisti che la raggiungono tutti i giorni, a getto continuo. 

Fare il dirigente scolastico è uno dei compiti più difficili in assoluto, non è per tutti, occorre avere grandi doti di equilibrio unite a una miriade di competenze, le più  disparate, non omogenee, umanistiche, economiche e tanto altro.

Ogni volta che sono chiamato a parlare a chi lavora nella scuola, vengo assalito da mille dubbi sulla mia idoneità, per questo accantono immediatamente ogni pretesa da “maestrino” e cerco di capire “da che parte volgere lo sguardo”. Quando entri in una scuola entri in una storia, in pochi luoghi sperimenti questa percezione come in una scuola.  

Finito l’incontro con gli insegnanti, ci siamo trasferiti nell’aula professori dove mi è stato offerto un rinfresco a base di vere golosità, condito di scambi di opinioni che rappresentavano il prolungamento del confronto precedente.

I ragazzini che frequentavano quelle aule sembravano in buone mani, ne avevo incrociato diversi mentre mi spostavo all’interno della scuola. Quasi certamente, molti stavano meglio che a casa loro, considerato il quartiere, un misto tra il rione popolare e la baraccopoli. Qualcosa a me familiare. Eppure.

Eppure. Raramente mi è accaduto di vedere un edificio così orrendo, cadente, angusto, fisicamente inospitale. Tutto il bello che avvertivo l’avevano costruito alunni, insegnanti, genitori, personale non docente, senza contare la dirigente. 

L’effetto che si avvertiva all’esterno era ancora peggiore, pura sopravvivenza. 

Per tale ragione quella scuola possedeva responsabilità enormi, assai più grandi che altrove, qui la sensazione che potesse modificare dei destini era palpabile, forse l’unica possibilità per quelle creature che la frequentavano. 

Ma forse è così anche altrove, sebbene non si percepisca tanto chiaramente, perché se i luoghi fisicamente degradati sono facili da vedere, e anche da bonificare, vi sono tanti angoli nascosti, imbellettati, dove è più difficile “cogliere”, giacché l’occhio non cade mai o quasi mai sulle cose luminose. 

Per tutti c’è la scuola, c’è la sua “normalità” che fa da specchio a chi la vive e aiuta a capire quali scarti esistono tra quella e le loro pretese sbagliate. Sovente più di quanto non faccia la famiglia stessa.  

A scuola accade la vita, ciò che tra pochi giorni ricomincia è proprio questo, anche se spesso la scuola è l’ultima a saperlo.

10 pensieri riguardo “Perché la scuola rappresenta una precoce “ultima” speranza

  1. Eh Domenico, quanta verità…la scuola com’è ora non è fatta per bambini e ragazzi purtroppo. Come dici tu, spesso si cerca di nascondere i problemi strutturali (e non parlo solo di edifici…) con vari ‘infiocchettamenti’ che diventano inutili specchietti per le allodole. Sono però felice quando vengo a conoscenza di questi luoghi dove ancora si percepisce il senso profondo della scuola e dove dirigenti e insegnanti credono nel proprio lavoro e nell’impatto che può avere, soprattutto in un contesto sociale di degrado. Un caro saluto.

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    1. Cara Micol, se penso a cosa può fare la sucola per una bambina, per un bambino, per una ragazza, per un ragazza, capisco meglio le tue parole. La scuola può essere uno spartiacque per intere generrazioni, per tanti ragazzi lo è stato, ma non trova supporti, non trova aiuto da parte di chi dovrebbe “immaginarne” il presente e il futuro, accompagnarla. Molti dei mali, cosi si dice, a valle, arrivano dalla solitudine della scuola, lenita, per quanto possibile, da quegli insengnati a cui è chiara la posta in gico. Un caro saluto

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  2. tutto vero però: tu che hai questa bella testa avverti, ne sono certo, la responsabilità 
    di dover alzare l’asticella della riflessione sulla scuola … Allora ti propongo alcuni argomenti

    su cui vorrei discutessimo, i seguenti:

    1) il valore del titolo legale è o no, un lacciuolo? un freno a mano?
    Una cisti? un business patologico in danno delle nuove generazioni?

    2) Sai da dove provengono i dirigenti scolastici? Sai cosa facevano
    prima? Sono tutti ex docenti … C’è¨ quello della filosofia, c’è quello
    dell’educazione fisica,

    c”è quello della biologia e quello della fisica … Che a un certo
    momento della loro vita diventano esperti di diritto, di lavoro, di
    ingegneria gestionale, di management …

    DOMENICO MIO!!! DOMENICO MIO!!! DOMENICO MIO!!! ti voglio un bene che
    non ti puoi immaginare!!! C’è un disegno perverso che affonda le radici
    negli anni 80

    e che vuole la scuola il luogo dell’aberrazione …

    3) Sulla selezione dei docenti, Carissimo e sempre più caro Domenico,
    che cosa mi dici amico mio? Perché è impostata così come è impostata a
    tuo parere?

    Un abbraccio forte forte: Giovanni e Rosanna ti stanno organizzando ben
    bene per quando verrai e Rosanna a breve ti chiamerà  anche per ottobre.

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    1. Quando vorrai intervenire sugli argomenti che presenti, carissimo Andrea, questo spazio ti ospiterà con grande piacere.
      Quello che la politica pensa della scuola lo puoi desumere dai nomi dei ministri che si sono succeduti, resta un fatto, però, che a scuola ci sono le migliori energie del nostro paese, è l’unico luogo di incontro dove si possono migliorare vite, l’unico laboratorio degno di questo nome.
      Penso ai presidi che abbiamo aggiornato a Paestum nel 2021, materia pregiata, schiacciata da un lavoro che diventa sempre più faticoso e che lascia sempre meno temo alla didattica e alla pedagogia.
      Certo, esiste una percentuale e fisiologica di parassitismo, ineliminabile, sebbene drammatico perché dove ci sono bambini e ragazzi non dovrebbe esserci posto per chi lavora (si fa per dire) solo per lo stipendio. Il resto dei tuoi argomenti richiede un dibattito approfondito, ma ti posso anticipare che se vogliamo cambiare la scuola, e noi lo vogliamo, dobbiamo sapere che possiamo farlo solo dal basso. Un lavoro che tu, con Bimed, cerchi di portare avanti da tanti anni in centinaia di scuole del Paese, ma tu non farai mai il ministro e le leve che possiamo usare sono quelle della passione e della competenza. Nemmeno poco per provarci. Un abbraccio e a presto

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      1. In questi giorni, caro Andrea, mi accade di passare davanti agli edifici scolastici, vuoti, malinconici, il traffico di segretaria, comunque impegnativo per il personale, da fuori si vede poco. Quella vitalità assente, perché bambini e ragazzi sono altrove, sembra riverberarsi anche sulle strade e sulle città, come se l’energia si fosse esaurita. Abbiamo bisogno della scuola, caro Andrea, ma ancora di più di persone al vertice del paese che colgano questa malinconia, ne traggano lezione, partoriscano progetti, magari dopo avere ascoltato la scuola. Un abbraccio

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  3. Incredibile il disinteresse che circonda le cose della scuola da parte della politica, a fare inizio dalla (non)cura per i luoghi fisici per continuare con quelli mentali. In alcuni ambienti la scuola rappresenta solo una piccola appendice di tutto quello che le famiglie possono e vogliono offrire: viaggi, cultura, conoscenze di ogni tipo. In altri sarebbe l’unica occasione per avvicinarsi a realtà altrimenti sconosciute. Sono proprio questi secondi ambiti ad essere colpevolmente trascurati e difficile poter pensare che sia solo un caso. Penso a quello che successe durante il lock down, quando le direttive facevano riferimento a realtà tipo quelle in cui ogni bambino/ragazzo poteva contare su una stanza propria, un pc proprio, una famiglia rispettosa e collaborante. E gli altri? Tutti lasciati a se stessi e alla buona volontà, intelligenza, sensibilità degli operatori sul campo. Enormi, come sempre, le responsabilità degli adulti nei confronti delle infanzie e adolescenze esposte a tutti i rischi del mondo. Grazie come sempre, Domenico, per parlare dal cuore dei problemi, in senso letterale e figurato.

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    1. Cara Annamaria, il problema della politica è che non interessa alla grande massa delle persone e questo la lascia in balia di persone inadatte, il cui unico merito è avere perseverato respirando un’aria malsana, che loro incamerano e trasferiscono a chi li seguirà. Ieri sera ascoltavo l’ex ministra Fornero, economista e docente universitaria, cui si deve la riforma delle pensioni che porta il suo nome, una legge dolorosa ma necessaria. Raccontava che un ministro in carica, nonché padrone di un partito della maggioranza, in questi anni si è divertito a pretendere piccoli ritocchi a quella base di partenza, imperfetta quanto si vuole. Il ministro di cui parliamo non possiede alcuna competenza specifica, se non quella di accontentare chiunque sia pur di prendere voti. Se tu gestissi la tua famiglia con tale metodo, la manderesti in rovina in un semestre. Ebbene, quei ritocchini capricciosi sono costati alla casse dello Stato 40 miliardi di euro. Si potevano rifare gli edifici scolastici di tutta Italia.
      La sintesi, cara Annamaria, è impietosa, torniamo tutti a fare politica, dando modo alla collettività di selezionare i migliori, oppure il futuro diventerà cortissimo. Un caro saluto

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  4. Caro Domenico, mi limito a ringraziarti: la scuola ha bisogno di persone che come te, pur standone fuori da tempo, la sentano “cosa propria” e non la giudichino.
    Spero di riuscirci anche io ora che ne esco dopo esserci stata ininterrottamente dal 1973 prima da alunna, poi da insegnante e infine da genitore.

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    1. Impossibile, carissima, non amare la scuola, molti di noi tra quelle aule, spesso cadenti, sono riusciti a capire da che parte dovevano andare nella vita, è sempre in quegli spazi collettivi che abbiamo fatto conoscenza con l’altro, messo a punto chi eravamo e chi erano i nostri vicini, in attesa di conoscere meglio anche i lontani, quelli di cui ci ricordiamo volentieri quando portano medaglie, dopo che magari quando politico in debito di umanità aveva messo in chiaro che non sono italiani. Grazie davvero

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