Educhiamo i nostri figli a ricordare. Salveremo le loro vite

È tornato, puntuale per fortuna, il Giorno della Memoria. Qualcuno tra i sopravvissuti sostiene che quando sparirà l’ultimo testimone, sarà difficile che possa reggere l’urto del tempo.

Certo, qualche volta si può essere tentati di pensare che il ricordo cadenzato, istituzionalizzato, possa diventare un’abitudine, perdendo la sua energia, ma potrebbe accadere soltanto se ci ostinassimo a considerare la Shoah solo un duello, impari, tra i nazisti e gli ebrei perché si è trattato di altro di qualcosa di molto più grave, semmai si possa immaginare qualcosa di più grave. Parlo della prova provata che la nostra specie ospita una cospicua quota di malattia pronta a mostrare gli effetti della sua presenza in ogni istante e senza preavviso.

In questi ultimi tempi, contraddistinti dalla fortuna sfacciata che bacia i prepotenti, la cronaca, che poi diventerà storia, è disseminata di indizi. Con incosciente disinvoltura, elettori ed eletti a cariche delicatissime, sembrano fare a gara per mostrarci quanto sia illusorio sperare di dormire sonni tranquilli. Quando andiamo a votare ci vorrebbe una macchina del futuro in grado di mostrarci seduta stante le conseguenze, anche vicine, del nostro voto.

Eppure, se non ci fosse neppure questo rito, il Giorno della Memoria, replicheremmo gli stessi errori all’infinito. Intendiamoci, non è che abbiamo smesso di replicarli, ma quando accade c’è una parte di mondo, piccola o grande, che si ribella. Non sempre i risultati sono apprezzabili, ma se non esistesse qualcuno che ricorda e qualcuno che si ribella, il capolinea di quella che qualche studioso, acutamente, definisce, “specie assassina” sarebbe molto vicino.

Forse non sarebbe male, visto ciò che riusciamo a infliggere ai nostri simili e all’ambiente, ma noi non siamo solo questo, il 27 di gennaio, ma non solo, dovremmo ricordare le poche o tante cose sublimi che siamo riusciti a regalarci. Ricordare è un farmaco salvavita, insegniamolo ai nostri figli perché le vite che salveremo saranno anche le loro stesse.

Allego un articolo uscito esattamente due anni fa, il link si può aprire poiché allora ciò che scrivevo per SkyTg24 non era ancora criptato.

Buone giornate della memoria, al plurale perché se c’è qualcosa di carente nella Giornata della Memoria è la sua estensione, che dovrebbe estendersi tutti i giorni.  

https://tg24.sky.it/cronaca/2023/01/27/giornata-memoria-guerra-ucraina-responsabilita-ricordare

10 pensieri riguardo “Educhiamo i nostri figli a ricordare. Salveremo le loro vite

  1. Grazie Domenico di aver riproposto questa riflessione, che spinge ad un incessante lavorìo di immedesimazione e distanziamento, come dovrebbe essere per ogni cosa nella vita: mettersi nei panni degli altri “sentendoli” ed insieme distanziarsi dall’esperienza personale per cogliere anche il resto del mondo.
    È così sconsolante vedere invece che l’umanità non ha imparato un gran che.

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    1. Cara Giulia, si parla di apprendimenti cumulativi,quando da una generazione all’altra passano delle competenze pratiche, quelle che oggi alle persone piace chiamare skill, ma se si tratta di trasferimento di consapevolezze morali che sembrano incontrovertibili, sembra che tra una generazione e l’altra non esistano punti, strade di comunicazione, e molto, se non tutto, si perde per strada.
      Sembra che a ogni girò bisogna ricominciare daccapo.
      Se non ci fosse qualcuno che tiene viva la memoria, sarebbe ancora peggio. Talvolta è avvilente, ma conviene non perdere la fiducia, la posta in gioco è troppo alta. Un caro saluto

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  2. “A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico” “.
    Dalla prefazione – scritta direttamente da Primo Levi – di “Se questo è un uomo”.

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    1. Soprattutto, caro Mauro, se il potere incoraggia questi sentimenti di inospitalità perché gli torna utile. Usare le paure recondite delle persone, a cominciare dagli istinti territoriali, per fare cassa è un gioco meschino, ma se chi si trova al potere in certi momenti è meschino, le conseguenze non possono che essere coerenti. Un caro saluto

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  3. Grazie per avere ricondiviso quel suo articolo, nel quale ci illustrava il metodo della “responsabilità ascendente”, un espediente che avevo trovato e trovo illuminante. Come lei dice, esso “consiste nel domandarsi dove ci saremmo collocati al tempo del nazismo, se fossimo vissuti allora”. E spiega: “se oggi sono violento, se disprezzo le donne, se sono razzista, se odio gli omosessuali, se subisco il fascino o voto movimenti che incitano alla diffidenza e all’ostilità verso chi è diverso, solo perché è diverso, verso gli stranieri, per il solo fatto che sono stranieri, se in me prevalgono pensieri e atteggiamenti antisociali. Ecco, se una qualche opzione tra quelle elencate è presente nel mio impianto culturale e comportamentale, allora ci sono buone probabilità che negli anni Trenta del secolo scorso sarei stato dalla parte dei nazisti.” Questo è ciò che aiuta ad attualizzare, a non fare della Memoria un rito, ma a renderla carne viva.

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    1. Caro Gianni, la ringrazio per questa sua riflessione. Mi fa piacere che ponga l’accento sul concetto di “responsabilità ascendente”, che amo particolarmente perché impedisce a me, a lei e a tutte le persone disposte a porsi domande di sentirsi etranei alle tragedie come quella dello sterminio degli ebrei. Non basta essere nati in un tempo diverso per essere innocenti, occorre chiedersi da che parte saremmo stati nelle circostanze storiche spoecifiche, e lo possiamo desumere dal modo in cui ci comportiamo nel nostro presente.
      stasera fa mi sono confrontato a distanza con alcune decine di persone, abbiamo parlato del morbo alla base di molte tragedie che segnano la storia delle comunità, ossia l’individualismo. Non dobbiamo stancarci di seminare antidoti. Un carissimo saluto

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  4. In questi giorni in bagno c’è la crema nivea. Quella nella scatoletta blue piatta di alluminio. Non mi piace questa crema. Ogni tanto la trovavo nel bagno della mia abitazione di origine. Una casa fredda, non solo fisicamente, e la crema, già densa, era quasi impossibile da usare. Chiedo ai famigliari chi avesse preso la crema e scopro che è stata acquistata in un viaggio ai paesi nordici. Mentre il familiare parlava mi sono ricordata e ho raccontato che quella stessa crema, l’ho vista nelle ‘vetrine’ dei campi,(inutile dire che appeno parlo o penso ai campi mi vengono le lacrime agli occhi) vetrine che sono una catasta di cose: valigie, capelli, oggetti vari appartenuti e sottratti alle persone deportate. La scatoletta mi aveva molto colpito, come se mi avesse avvicinato tantissimo alla tragedia. Come se potessi condividere maggiormente la tragedia. Ora uso questa crema, sento il suo profumo e ricordo e racconto in casa quelle sensazioni e quel silenzio. Il profumo però mi dice che il dramma non ha vinto, che le testimonianze di chi ce l’ha fatta è il profumo della crema. Mi piace pensare che quella scatoletta fosse appartenuta a una ragazza e io usandola non smetto mai di ricordarla. Credo che ci sarà una crema sempre nel mio bagno. Tutto questo ho raccontato.

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    1. Carissima o carissimo, trovare in quell’inferno un oggetto o un prodotto che appartiene alla nostra quotidianità può essere salutare perché annulla di colpo tutti gli strati, temporali e culturali, che ci fanno apparire lontane le grandi tragedie della storia così da assorbirle, con un lento processo di assuefazione, nel recinto che chiamiamo “normalità”. Questa è la ragione che dovrebbe indurci, tutti i giorni, a fare il percorso inverso, cercando quell’effetto “crema per le mani” in ciò che ci circonda.
      Non scrivo per bambini da circa 10 anni, sono stato costretto a smettere a causa di una crisi di coscienza. Per 12 anni avevo lavorato a una collana per bambini piccoli e ogni anno, per tutto quel tempo, avevo frequentato le fiere di settore, avvertendo, prima sottolmente poi in modo prepotente, un disagio che non sapevo spiegare. Fino a quando mi sono reso conto che quell’andare per fiere e convegni sulla lettura, in genere come ospite, mi stava “omologando” facendomi perdere il mio”punto di vista”. C’è stato un momento in cui avevo avvertito distintamente di non avere più nulla da dire. E mi sono fermato. Ma forse era una sensazione fallace, avevo soltanto bisogno di prendere le distanze dall’abitudinie.
      Le cose che sanno di realtà, funzionano come un filtro che cancella tutti i filtri, soprattutto quelli che rendono la vita una narrazione fasulla, sottraendoci il gusto di vedere ciò che si deve vedere e consegnandoci a una narrazione forse affascinate ma senza vita, senza “profumo”. Grazie di cuore

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