La casa dei figli. Il ritiro sociale dei ragazzi è un vecchio compagno di viaggio

Pochi giorni orsono la direttrice del sito Skytg24 Insider mi aveva proposto di dedicare il mio articolo quindicinale alla questione degli Hikikomori, corredando l’invito con i risultati di un’indagine appena uscita.

Mi sono precipitato nel mio archivio mettendolo sottosopra. Cercavo qualcosa di remoto ma che sapevo esistesse. Dopo mezz’ora l’avevo trovato.   

Esattamente 31 anni fa, era il mese di maggio del 1994, il mensile Famiglia Oggi, pubblicava una monografia dal titolo profetico, “La solitudine. Fenomeno in espansione. Le responsabilità della famiglia”.

In copertina anche i nomi dei sei contributori. Ferdinando Castelli, Ferruccio Antonelli, Domenico Barrilà, Paolo Crepet, Silvano Burgalassi, Giovanni Nervo.

Dunque, la grave questione del ritiro sociale dei giovani non è nata quando le abbiamo trovato un nome esotico e alla moda, Hikikomori, così come non è nata con l’avvento dei social network, che pure l’hanno aggravata, perché li precedeva di decenni o forse di secoli.

Tutti noi cerchiamo di evitare la realtà quando i sentimenti di inadeguatezza che ci opprimono si fanno intollerabili, ancora di più le categorie anagrafiche più fragili, come i ragazzi, oppressi da richieste crescenti da parte dell’ambiente.

Il mio articolo, in quella pubblicazione, era intitolato “Una nicchia per non soffrire”, ancora oggi il ritiro sociale è spinto da questo bisogno.

Occorre fare fronte comune -famiglia, scuola, specialisti- sul terreno della prevenzione, intervenendo ai primi segnali già nella scuola dell’infanzia, perché le tendenze passive sono già chiaramente individuabili in quei bambini che potrebbero diventare potenziali candidati al ritiro sociale. Lo stile di vita, che si struttura molto precocemente, tende alla coerenza, per tale ragione la lettura tempestiva dei suoi lineamenti potrebbe ispirare interventi correttivi salutari.  

Hikikomori è una parola esotica, quindi affascinante, certamente più allettante del nostro ritiro sociale, sebbene nella lingua giapponese significhi esattamente la stessa cosa. Non possiamo dire se e in che misura potrebbe ispirare comportamenti imitativi, di sicuro dobbiamo ricordare a noi stessi che dare un nome alle cose o cambiare il nome alle stesse, non ci aiuta a conoscere, questo passaggio rimane possibile solo con l’osservazione, la competenza, l’amore per i compiti educativi e un sincero interesse per il destino delle giovani generazioni.

https://tg24.sky.it/salute-e-benessere/2025/02/01/hikikomori-barrila

2 pensieri riguardo “La casa dei figli. Il ritiro sociale dei ragazzi è un vecchio compagno di viaggio

  1. Grazie Domenico,
    Concordo pienamente. Purtroppo il tema è sempre più attuale e i ragazzi sono sempre più soli circondati da adulti distratti e disorientati.
    Servirebbero figure di ascolto e cura che stentiamo a trovare.

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    1. Cara Lorenza, tu sei al fronte tutti i giorno e sono certo conosca la realtà meglio di chiunque altro. Proprio per questo sai quanto me che la questione esiste ma non esiste un welfare scolastico-familiare in grado di supportare gli insegnanti e i genitori, che sono i primi soggetti travolti dalla solitudine. Certo che occorrerebbe sostenerli, ma se a fare il ministro non mettono persone che conoscono bene la scuola, come te e come diversi tuoi colleghi, si continuerà a tirare a indovinare. Un caro saluto e grazie

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