La violenza si combatte impegnandosi e documentandosi

In questi giorni quel clima di crescente violenza che si respira da tempo, si sta allargando, mettendo in evidenza tanta immaturità e altrettanta irresponsabilità, soprattutto in figure che dovrebbero, per i gravi doveri che comporta il loro ufficio, usare un linguaggio improntato alla prudenza.

Un conto, infatti, è il dibattito politico, altro è utilizzare i sentimenti di ostilità che possono albergare nelle persone per incrementarne il risentimento strisciante, quasi sempre con il solo scopo di portarle dalla propria parte.

La politica non è il luogo adatto a compensare le frustrazioni autobiografiche, certi problemi bisognerebbe risolverseli prima di impegnarsi nel suo ambito.

La politica è pedagogia civile, chi non è in grado di capire questo presupposto dovrebbe strane lontano perché potrebbe diventare moltiplicatore di certe distorsioni già presenti nella società.

Purtroppo, non tutti i cittadini sono in grado di capire gli espedienti retorici utilizzati dai politici che, come quei venditori che cercano di piazzare l’aspirapolvere a tutti i costi, spingono per incrementare il loro bottino di consensi introducendo nei loro discorsi pubblici suggestioni pericolose.

Le nostre distrazioni non sono sempre frutto di ignoranza, ma spesso sono la conseguenza dei mille impegni che attraversano la nostra giornata, impedendoci di controllare chi ci governa e, quindi, mettendoci in balia della loro malafede, della loro banalità, dei loro finalismi nascosti.

Dopo la barbara e ingiustificabile uccisione di un militante della destra americana, a sua volta aggressivo e violento, abbiamo ascoltato discorsi davvero penosi, abbiamo udito persone concettualmente violente atteggiarsi a vittime, peraltro esibendo come un trofeo la loro fede cristiana -questo è l’aspetto più squallido-, abbiamo sentito figure istituzionali istigare gli animi, facendo finta di non dirlo, alla caccia allo straniero, sollevando entusiasmo in persone superficiali che non si rendono conto delle conseguenze di tale ferocia concettuale.  

“Sì alla famiglia naturale, no alla lobby Lgbt, sì alla identità sessuale, no alla ideologia di genere, sì alla cultura della vita, no a quella della morte. Sì ai valori universali cristiani, no alla violenza islamista”. Sono parole pronunciate tre anni fa in Spagna da una leader italiana, che si professa cristiana, non importa di chi si tratta, ma è ora di dire che sono parole sbagliate e, soprattutto, anticristiane, che creano divisione, violenza e guerre.

Dire, come ripeteva l’attivista americano ucciso, che i gay andrebbero lapidati e i neri sono esseri inferiori, non è sono un’offesa all’umanità ma una negazione radicale dei principi fondativi del cristianesimo.

Educare significa anche fare in modo che la società in cui vivono i nostri figli non sia travolta da queste idee. Per farlo dobbiamo uscire dalle nostre case e impegnarci pubblicamente, estendendo al prossimo la cura e l’attenzione che riserviamo ai nostri figli.

10 pensieri riguardo “La violenza si combatte impegnandosi e documentandosi

  1. Grazie Domenico per la tua riflessione, interessante come sempre.
    Da quando certi personaggi imperversano nella nostra politica mi chiedo che cosa faccia scattare il meccanismo del chiagni e fott, con la certezza di farla franca. C’è un capitolo dedicato in qualche manuale di psicologia? Mah!

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    1. Il meccanismo di cui parli è figlio del vittimismo, l’arma preferità dai violenti perché l’idea che qualcuno ti voglia fare del male può giustificare la loro violenza, che è quella vera. Un caro saluto

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  2. Caro Domenico, buongiorno e ben ritrovato. Ti leggo sempre con grande interesse, mi permetto di scriverti per condividere la difficoltà mia e di mia moglie nel trovare il modo di parlare con nostra figlia di 10 anni del terribile massacro che sta avvenendo in Palestina. Viviamo con doloroso turbamento quanto sta succedendo, ma soprattutto ci addolora il senso di impotenza che ci pervade. Come genitori ci impegnamo sempre a parlare in casa di quello che accade nel mondo, aderiamo a iniziative di solidarietà, partecipiamo a scioperi e manifestazioni, consapevoli che poco o nulla possa cambiare, ma non vediamo alternative possibili. In riferimento alla situazione palestinese, cerchiamo di fare comprendere a nostra figlia quanto sia terribile, sa che migliaia di bambini sono stati uccisi o muoiono di fame, ma ovviamente non le mostriamo immagini che possano andare oltre un certo grado di turbamento. Devo dire che anch’io non c’è la faccio più a vedere le immagini dei bambini dilaniati dalle bombe o mutilati, o di quelli che girano di dolore, dei genitori che piangono i loro figli morti, e da un anno ho eliminato ogni social che sempre di più mi proponevano questi scorci allucinanti del genocidio. Siamo sconfortati e arrabbiati per l’indifferenza che ci circonda, anche fra persone vicine a noi. Tornando a nostra figlia, ci chiediamo costantemente come comportarci: siamo consapevoli che i bambini di oggi sono essi stessi vittime di un mondo che stiamo lasciando loro in condizioni molto più disastrate rispetto a quello che ci avevano lasciato i nostri genitori. Sappiamo che, a differenza nostra, lei non può e non deve nutrire nessun senso di colpa per la situazione, che è giusto che si viva la sua età e la spensieratezza che dovrebbe portare con sé, che è libera anche di non mostrarsi coinvolta quanto noi nel partecipare ad ogni occasione di manifestazione o sciopero, che si dispiaccia e protesti di dover saltare la pallavolo per dover andare alla manifestazione che ci sarà oggi pomeriggio nella nostra città. La cosa più difficile ci sembra trovare di volta in volta la giusta misura fra l’intento educativo di mostrarle con il nostro comportamento quanto sia ormai urgente e necessario sacrificare qualcosa di più del solito, alzare ulteriormente la voce, e il non rischiare di ottenere l’effetto contrario,cioè vedere la nostra urgenza di partecipazione come una rottura di scatole e un limite imposto. Penso sia una situazione nuova, che non ci siamo mai trovati ma vivere in modo così intenso da genitori. C’è stato il COVID, una situazione che ha alcuni punti di contatto con questa, soprattutto dal punto di vista della polarizzazione dell’ opinione pubblica, ma ci sembrava allora che il potere, il governo almeno qui da noi, fosse dalla parte giusta della storia. E questo era di grande conforto. Ora questo conforto non c’è, la carneficina sembra che non riguardi il nostro mondo e ci si sente soli nel pensare che non abbia senso continuare a fare come se niente fosse. Grazie per il tuo lavoro e per condividere le tue riflessioni che adempiono al ruolo più alto della tua professione. Un saluto. Paolo Ghirardini Cavriago

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  3. Sono molto in sintonia con il disagio e le fatiche descritte da Paolo nei confronti della figlia preadolescente, e che peraltro io avverto verso mio figlio ultraventenne (quindi la questione è più grave) ma anche nei confronti di molti conoscenti adulti, che mi paiono solo marginalmente toccati dall’orrore di quanto accade laggiù.

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    1. Assuefazione. In questo sostantivo c’è la risposta alla sua domanda non esplicitata, ma percepibile nelle parole che lei usa. Piano piano si può assimilare tutto, come un veleno che si assume a dosi bassissime ma crescenti. Dopo assuefazione, l’altra parola magica, di magia nera, è pigrizia.
      Se mette insieme assuefazione e pigrizia risultarà una miscela mortale. Rassegnarsi non è un’opzione, aprire gli occhi è obbligarorio, ma succederà quando le sberle saranno così forti da farci trasalire. Certo, possiamo svegliarci prima, ma bisogna volerlo, fortissimamente. Un caro saluto e grazie per le sue riflessioni

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  4. E dopo la pigrizia subentra l’indifferenza.
    L’indifferenza generale durante la deportazione e lo sterminio del popolo ebraico ad opera del regime nazista, viene sempre sottolineata dalla senatrice Liliana Segre durante le sue interviste e le sue testimonianze.
    Tanti civili, malgrado vedessero passare treni carichi di persone o vivessero a poca distanza dall’inferno dei campi di concentramento, dopo la fine della seconda guerra mondiale, vollero mettersi il cuore in pace, difendendosi dall’orrore di ciò che accadeva intorno a loro con un semplice : “non sapevamo”.
    Potrebbe esser stato possibile.
    Ma oggi è impossibile non sapere, i mezzi di comunicazione a disposizione a noi tutti, adolescenti e bambini compresi, hanno azzerato le distanze e ci permettono di vedere tutto il mondo con i propri occhi.
    Le notizie e le immagini ci vengono servite in diretta live tutti i giorni e per tutto il giorno.
    Nessuno oggi può discolparsi con un “non sapevo”.

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    1. Grazie Simona, per le sue parole piene di saggezza. L’indifferenza, insieme all’assuefazione alla pigrizia, che avevo usato ieri rispondendo a un lettore, è l’altra parola asssassina che accompagna la storia dell’umanità. Un caro saluto
      “L’epidemia in corso ci potrebbe aiutare a guardare da vicino dove di solito passiamo distrattamente, riportando i bambini nella loro posizione naturale, quella che spetta ad una grande civiltà, che conserva intatti codici che noi adulti, purtroppo, abbiamo perso e non siamo in grado di ritrovare. Salvo volerli spiegare a chi li possiede”

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  5. Caro Domenico, grazie per le sue riflessioni in questo periodo davvero buio per l’umanità tutta, perché quello che succede dove c’è la guerra avrà un riverbero globale, nessuno può sentirsi escluso e nessuno può farsi complice dell’indifferenza. Alle parole gettate come sassi addosso a gay e a persone inferiori in quanto di colore, vorrei contrapporre quelle dette da un gruppo di bambini oggi a scuola. Alla domanda “come si può fare a stare bene in così tanti in salone durante il gioco libero” le parole emerse sono state gentilezza, condivisione, mettere il cuore, regole. Certi politici dovrebbero andare alla Scuola dell’infanzia e imparare dai bambini, non solo per quello che dicono, ma soprattutto per come lo dicono e cioè con limpidità e convinzione.
    Praticamente un estratto di educazione civica e morale.
    Cordiali saluti, con stima
    Antonella

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    1. Cara Antonella, concludendo un articolo su Repubblica intitolato “Coronavirus. I bambini ci ascoltano”, era il 26 febbraio 2020, in piena pandemia, avevo scritto queste parole sui nostri piccoli compagni di viaggio. Le che li ama da sempre condividerà. Un caro saluto.

      .

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