“Per arrivare a una digitalizzazione sempre più diffusa nelle scuole, è anacronistico vietare l’uso di qualsiasi dispositivo in classe”. Quest’affermazione non se la sono inventata i ragazzi, è il pronunciamento ufficiale di un governo, circa dieci anni fa.
Una posizione oggi ribaltata radicalmente da un altro governo.
Il punto è che nel frattempo i social network si sono messi a vivere di vita propria e già che c’erano si sono accomodati nella vita di studenti, genitori, insegnanti.
Nessuno era in grado di prevedere cosa sarebbe potuto accadere trasferendo una bella quota del mondo reale all’interno di quelle scatole magiche, neppure i ragazzi, che assimilarono in fretta quel mutamento di Dna, non avendo sentito scattare l’interruttore tra il prima il dopo. Loro non c’erano durante il “prima” oppure erano troppo piccoli per poterne registrare lo scatto.
I loro occhi si sono spalancati direttamente sul “dopo”, la loro normalità, che vedevano palesarsi nel comportamento dei loro genitori e dei loro insegnanti.
Adesso è entrato a regime il provvedimento che estende anche alle superiori il divieto di utilizzo dei telefonini, cancellando ogni forma di bidirezionalità con gli studenti. Un’occasione persa, perché avviare un confronto sereno con i ragazzi che frequentano le superiori, sarebbe stato pedagogicamente quasi rivoluzionario. Avrebbe fatto bene a tutti parlarsi, ascoltare le reciproche ragioni, tra generazioni cresciute in contesti ambientali incomparabili e quindi destinate ad allontanarsi sempre più.
Se non si parte dalle domande, la vicenda dei telefonini, giusta o sbagliata che sia, si risolverà in un gigantesco gioco a guardie e ladri, perché i ragazzi sono già, come sempre, alla pagina successiva. Chiedo a una diciassettenne che frequenta il liceo classico come funziona nella sua classe l’applicazione della norma sui telefonini. Ride, poi mi dice che li consegnano prima dell’inizio delle lezioni, ma in realtà molti compagni consegnano un vecchio telefonino e si tengono in tasca quello in uso, acceso e silenziato.
Un ragazzo che quest’anno sosterrà gli esami di maturità dice che lui consegna senza problemi il telefono, tanto al polso tiene accesso lo Smart Watch, dal quale risponde ai messaggi ricevuti. “Sappiamo che ognuno di noi troverà gli escamotage per continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto”.
“Ieri mattina -racconta una ragazza di terza superiore- avevo litigato con il mio fidanzato. In genere ci chiariamo durante la giornata, le cose si aggiustano e io mi tranquillizzo, ma stavolta ero senza cellulare e sono stata in angoscia fino all’una. Mi è venuto anche un violento attacco di ansia in classe, che sono riuscita a mascherare con fatica”. Sarà anche una dipendenza, ma l’hanno imparata dai grandi, se cominciamo a guarirne noi avremo il diritto di aiutarli a decidere.
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https://tg24.sky.it/cronaca/2025/10/06/smartphone-scuola-opinione-psicologo
Come sempre hai ragione da vendere.
Ogni volta che la motivazione dell’adulto ridotta ai mjnimi termini è “perché lo dico io” o “perché sì” l’adulto ha già perso.
Alla fin fine questi governanti stolidi tutti legge-e-ordine si meritano di generare Resistenze.
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Come dicevo, cara Giulia, diventa un gioco a guardie e ladri, dove le guardie penseranno di avere risolto il problema con una prescrizione, intanto i ladri stanno già scavando dei tunnel. La storia del proibizionismo in America non deve avere insegnato nulla alle gaurdie, perché quelle di cui parliamo non leggono. Un caro saluto
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Grazie dott. Barrilà.
Leggendo l’articolo mi è venuto alla mente un gruppo di adolescenti alle prese con la scrittura delle linee guida della nostra associazione che al punto 10 all’unanimità, senza la contaminazione di nessun adulto, scrivono: l’ANIMAtore si auto regola sui propri comportamenti affinché siano in linea con lo stile educativo dell’Associazione che ammette all’interno della stessa, l’uso del cellulare per fini comunicativi, lasciando all’incontro “vis a vis” ogni occasione di dialogo. Questi sono i ragazzi/e del nostro oggi, capaci nonostante gli incapaci, quelli che immettono regole prive di senso.
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Cara Virna, tu “stai” coi ragazzi, voce del verbo stare, e meglio del sottoscritto sai che non si può educarli se non valorizzando il loro contributo al modello pedagogico che chiamo “educazione bidirezionale”. Senza il contributo, decisivo, dell’educando, non esiste educazione ma solo precettistica, che serve giusto a puntare la sveglia e a poco altro. Un abbraccio a te, ai tuoi collaboratori e ai ragazzi che accompagnate. Grazie
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Torno su questo articolo per evidenziare la serietà e il rispetto con cui lei si muove su questi temi educativi, sempre sollevando dubbi, trafficando domande e ponendo i lettori nelle condizioni, a loro volta, di farsele. Come ogni educatore dovrebbe. Anni luce da suoi “colleghi” – termine improprio, mi scusi – come ad es. il Dr. Pellai, che sui telefonini poco tempo fa sentenziava “Lo Smartphone è un distrattore che deteriora le competenze di apprendimento dello studente”. Beh, quello stesso, in queste ore, non se la passa benissimo, a giudicare dalla sua pagina instagram, dove, dopo avere promosso il libro di una nota influencer, non esattamente un modello educativo, i follower stanno esprimendo tutto il loro – giusto – sconcerto e la loro riprovazione. Forse qualche certezza e qualche comparsata in meno, gioverebbero alla causa di certi divulgatori a gettone, ma soprattutto alla causa di una vera pedagogia, danneggiata da troppi eccessi di protagonismo e di sicumera.
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Caro Gianni, il problema non è tanto legato ai miei colleghi, sovente abilissimi promotori di sé medesimi che li porta a lucrore lucrose “scritture” e ospitate teatrali, quanto la credulità delle persone che ne fanno dei personaggi.
Nei giorni scorsi, uno dei più esposti è andato a sbattere contro Corrado Augias uscendole molto ammaccato. Con un sorriso malizioso, durante un’intervista, il giornalista ne aveva rimarcato l’eccessiva stima di sé medesimo.
Il professionista è rimasto parecchio imbarazzato, diventando palesemente rosso in viso.
Martedì mi trovavo a Cantù per la presentazione di un mio volume. Alla fine della serata sono stato avvicinato da due coniugi. La signora, una giornalista, mi diceva che non sarebbe mai andata a parlare dei propri problemi con persone così assetate di visibilità, aggiungendo che “prima dovrebbero sistemare i loro sospesi”. Un caro saluto
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