“Voce del verbo Stare” non sarà postato sui social, almeno dal sottoscritto, pure avendo chiaro che questo significa ridurre considerevolmente la platea.
Una scelta consapevole e non motivata da incompatibilità col mezzo. Lo scorso anno, infatti, un prestigioso ospedale italiano, mi aveva chiesto di produrre quattro brevi video, per ringraziare i donatori che avevano permesso l’apertura di un reparto attrezzato per l’emergenza Covid-19. Solo il primo di quei video aveva ottenuto circa sette milioni di visualizzazioni.
Dunque, me la cavo discretamente. “Il guaio è che non voglio”, diceva Madama Butterfly al ricco Yamadori. Una presa di posizione legata alla mia idea della psicologia, che non è spettacolo ma contenuti e rapporto diretto. I seguaci e le visualizzazioni servono al blogger, mentre i ragionamenti e la competenza vanno a beneficio dell’utenza. Quando un blog diventa un mestiere finisce nelle spire del mercato ed è costretto a piegarsi alla legge dei click, rifuggendo l’impopolarità e cercando il compiacimento degli utenti-clienti, un disastro se ci sono di mezzo temi che riguardano il mondo interiore degli individui, ancora di più se si tratta di bambini e ragazzi.
Al contrario, una psicologia di servizio deve essere onesta ai limiti della scomodità, a maggior ragione oggi. Quando non accade, è perché l’interesse del blogger si è imposto su quello dell’utente, il personaggio sul merito delle questioni. La controprova ce la offre un simpatico comico imitando uno psicoanalista che, al netto delle continue allusioni alle mutande e a quanto contengono, somigliava al Giudice Morton, il cattivo di Roger Rabbit o, se preferite, a un pupazzo di Halloween. Il comico si è rivelato persona accorta, facendo precedere la sua imitazione, dal video originale con il personaggio vero per dimostrare che la realtà era molto peggio della fantasia. Un effetto sorprendente, su cui riflettere.
Il personaggio in questione è molto presente sui social, dove pare investa considerevoli risorse economiche, falsando palesemente la percezione del pubblico.
Ma non succede solo questo, oramai gli stessi editor cercano ossessivamente psicologi-blogger, proponendo loro di scrivere purchessia, spesso a prescindere dalle competenze e dai contenuti, perché portano i seguaci e tirature. Un corto circuito i cui frutti, a cominciare dal vuoto, stiamo già raccogliendo.
L’interazione virtuale è ingannevole, cambia il senso delle cose, disperde una serie di indizi fondamentali. Durante il lockdown, per alcuni mesi si è lavorato distanza, anche nel mio settore. Coi vecchi pazienti le cose sono andate benino, ma con le persone che non avevo mai conosciuto in presenza mi sfuggiva qualcosa, vedevo molte meno facce del prisma, ma anche per i miei ospiti era meno facile monitorare il terapeuta.
Si coglieva solo una frazione del tutto, come quella volta che un gatto e un cucciolo di merlo si fronteggiavano come due giocatori di scacchi, davanti ai miei occhi, nei pressi di un cespuglio. Faticavo a capire come mai il felino non passasse all’azione, ma mi è bastato fare due passi avanti perché tutto diventasse chiaro. Dietro al cespuglio c’era la mamma merlo che puntava minacciosamente il gatto. Sono intervenuto sciogliendo l’assembramento e ognuno è andato per la sua strada, tutti salvi. Queste operazioni sui social network sono impossibili, perché non si può guardare fuori dalla cornice.
Da poche settimane sono riprese le mie conferenze in presenza. Quando mi trovo di fronte delle persone in carne e ossa, posso indovinare lo stato d’animo e le ansie di ciascuno dei presenti, modellando il mio modo di comunicare. Attenzione, non i contenuti. C’è “compassione”.
Proprio per evitare tale assenza, la compassione, Voce del verbo Stare, non diventerà social, in questi primi scambi si è creata una comunità che mi pare davvero interessata e che ammonta a un migliaio di persone, bastano e avanzano per trafficare idee e contenuti, cercando di capirci qualcosa insieme.
Torneremo di frequente sui temi legati alla tecnologia, a partire dalla prossima volta, quando si proverà a valutare gli effetti della velocizzazione dei processi sulla qualità delle esistenze di piccoli e grandi. Andremo alla radice di una questione decisiva ma, colpevolmente, poco osservata. Anche di questa omissione ci chiederemo le ragioni.
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Ho deciso di seguire d’istinto questo nuovo blog di Domenico Barrilà e penso di aver fatto bene. I primi post e la sua spiegazione di intenti mi trovano perfettamente d’accordo e conto di riportare i suoi post più affini alle mie visioni sul sociale nel mio blog Madrugada.blogs.com . Oltre a condividerne i contenuti, specie per l’ultimo sull’omosessualità, ne condivido lo spirito comunicativo e la posizione culturale. E’ uno sforzo che anch’io cerco di fare cercando di perseguire la qualità più che i consensi. Una posizione fuori dal coro che è, dati i tempi, privilegio.
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Grazie Alessandro, le sue parole incoraggiano a proseguire questo percorso appena iniziato. Non abbiamo messaggi per l’umanità, come si usa dire, ma possiamo fare qualcosa di utile, senza scomodare i libri sacri della psicologia, semplicemente guardandoci intorno, vicino a noi dove, mi creda, c’è molto da vedere.
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Caro Domenico, non solo sui social “non si può guardare fuori dalla cornice”, come ha scritto, ma anche l’illuminazione è decisa da altri.
Se ogni tanto qualche autore propone arditamente una veduta con molteplici punti di fuoco, alla maniera di Canaletto, anche ammesso che venga colta rimane il fatto che sempre due dimensioni sono.
E a volte il trompe l’oeil è così verosimile che molti utenti ci si perdono, del tutto inconsapevoli della finzione.
Grazie per questa nuova avventura e per la mano ferma con cui si è messo al timone.
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Buonasera Giulia, pure senza volere essere pregiudizialmente contrari alle nuove tecnologie, non si può ignorare la loro influenza sulle nostre emozioni e sulla nostra capacità di “leggere” tutte le pagine, per la semplice ragione che ad aprirle sono altri, decidendo quali e quando. Grazie mille e un caro saluto
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Caro dottore,
Condivido la vostra scelta, pure dispiaciuto perché i vostri contenuti meritano le più ampie platee.
Ma avete ragione, questo blog nasce per parlare di normalità e certamente il teatrino dei social mette in scena anche tanta frustrazione, irrazionalità, ipocrisia.
Inoltre abbiamo bisogno di contesti normali in cui confrontarci da persone adulte, senza l’assillo dei like o dei cuoricini o dei troll che assediano una pagina quando si dicono cose scomode. Perché qui ci aspettiamo anche quelle, anzi, soprattutto quelle!
Grazie
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Il punto, caro Gianni, è decidere chi mette i confini alle cose che facciamo. Già questa è una prima, ragionevole, risposta allo sconfinamento dei social. Un caro saluto
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