C’è un dispositivo molto banale dietro l’omofobia, quella distorsione di noi stessi senza la quale faticheremmo a trovare qualcuno disposto a lucrare sulla diversità, spacciandola per “irregolarità”, patologia, vizio, attacco alle tradizioni. Negli ultimi giorni abbiamo toccato con mano quanto il problema sia esteso, irrazionale, e quanto abbia infiltrato persino le istituzioni.
Un dispositivo, dicevamo. Piuttosto arcaico, aggiungiamo, con cui si viene a contatto nell’infanzia.
A quell’epoca serve uno schema semplice, di immediata comprensione, che ci aiuti a leggere le situazioni e a orientarci nella realtà. Destra-sinistra, piccolo-grande, alto-basso, buono-cattivo, giusto-sbagliato e via con le antitesi nette. Le sfumature, i grigi, non ci servono, ma diventeranno indispensabili una volta adulti, anzi saranno una spia preziosa del livello di maturità raggiunto.
Tale evoluzione, però, non è scontata, essa può incepparsi, interferendo con i processi di maturazione della persona, con la qualità della sua presenza sociale e, soprattutto, con la capacità di interpretare in modo maturo e duttile la realtà con le sue varianti.
L’omosessualità, per chi non completa il processo, diventa un rompicapo, perché non è chiaramente collocabile nei primitivi schemi bipolari di cui si diceva. Nello specifico si tratta di un’antitesi, maschio-femmina, arcaica e proprio per questo assai sensibile, capace di toccare corde profonde nonché interessi culturali e religiosi piuttosto radicati, confondendoci e impedendoci di accettare che tra i due poli esistono una serie di stati intermedi, in contrasto con ciò che ci è stato insegnato.
Per chi è rimasto fermo al bianco e al nero, questo è un problema, che può diventare molto serio.
Una mente adulta, invece, arricchita dal dono fecondo delle sfumature, tende a valutare un individuo a partire del suo contributo, piccolo o grande, al bene comune, non certo in base all’orientamento sessuale. Era stato Alfred Adler, più di un secolo fa, ad affermare che il “barometro” della normalità, ossia il criterio per misurare il grado di salute mentale di un individuo, è il “sentimento sociale”, che non è generica socialità bensì capacità di provare interesse sincero verso i propri simili. Nessuna persona di buon senso potrebbe sostenere che il dosaggio di tale ingrediente, il sentimento sociale, è influenzato dalle preferenze sessuali.
Dunque, il valore di una persona non è legato a come pensa, a come ama, a cosa crede, al colore della sua pelle, ma principalmente alla sua capacità di entrare in sintonia coi propri simili, di cooperare con loro, di sentire compassione per ciò che lo circonda.
Questo dovrebbe chiudere ogni discorso e spuntare le armi agli intemperanti, ossia agli omofobi, a quelli pacifici e a quelli aggressivi, ma per molti, come abbiamo visto, si tratta di una presa d’atto difficile, quindi l’equivoco, piuttosto pericoloso, si perpetua e, addirittura, potrebbe diventare sempre più presente perché, come sosteneva il citato Alfred Adler, nonostante il biasimo e la condanna generale “il numero degli omosessuali cresce”, dunque a nulla serviranno “il divieto e la scomunica di tipo religioso e giudiziario”.
Aggiungo che la scienza non è stata troppo utile nello specifico, non mi pare esistano teorie esaustive sull’omosessualità, sempre che possano esisterne e sempre che siano necessarie. Si inseguono spiegazioni biologiche, nella speranza che mettano pace nella disputa, si costruiscono finzioni di innatismo, ossia si nasce così, che tranquillizzano persone e agenzie varie, compresi quei gay che vorrebbero ridurre i propri sensi di colpa, peraltro figli soprattutto dal contesto culturale, gridando al mondo che non è “colpa loro” bensì della natura.
Ma nemmeno questa strada, quella dell’innatismo, darà grosse soddisfazioni, semplicemente perché le cose non sembrano stare così. Credo arriveremo a pacificarci davvero quando adotteremo l’unica lettura sensata, quella individuale, perché solo nella biografia del singolo, soprattutto nella sua affascinate “logica privata”, si possono reperire indizi e possibili spiegazioni di ogni singolarità, che non sono patologia ma, appunto, indizi e spiegazioni, gli unici cassetti in cui è lecito sbirciare, che valgono solo per quella persona e non per altre.
Riflessione molto pacata ma altrettanto profonda, che effettivamente aiuta a comprendere il meccanismo che sta alla base del “rifiuto” della diversità, specie di quella omosessuale.
Meccanismo sul quale pesa a mio avviso anche il condizionamento fortissimo, che avalla proprio questa concezione semplicistica e manichea, della religione cattolica, che al di là di qualche sporadica parola di apertura, rimane saldamente ancorata a schemi del passato. La Chiesa ha superato forse l’idea delle “terapie riparative”, ma continua a ritenere le persone gay come “anormali”, ammette la benedizione dei singoli omosessuali, ma non ne le unioni perché troppo simili al matrimonio, che per lei “deve” essere fra uomo e donna. Zero sfumature, appunto, bianco e nero, il grigio è troppo difficile da controllare.
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L’omosessaulità non dovrebbe neppure essere argomento di discussione, lo diventa nel momento in cui qualcuno, arbitrariamente, stabilisce quali sono i confini dell’universo umano, ma l’unico confine era e rimane il divieto di fare del male agli altri. La Chiesa, spesso in buona fede, si è resa responsabile di prese di posizione drastiche, con il solo risultato che le persone omosessuali si solo allontanate da essa. Ancora pochi anni fa un sacerdote, responsabile della pastorale familiare di una diocesi del nord, mi aveva contattato per offrirmi la guida di un gruppo di persone omosesuali, credenti. Gli avevo chiesto quali fossero i problemi di queste persone, rispose “sono omosessuali”.
Ma la questioni riguarda tutto il mondo, ricordo l’esecuzione in piazza a Teheran di due adolescenti omosessuali. Un dolore insopportabile.
Se guarda in un prato qualunque, qui in Lombardia vi sono enormi distese, scoprirà che quell’effetto d’insieme che chiamiamo prato, in realtà è uno spazio popolato di una varietà di erbe dissimili tra di loro. Il problema è collocato in profondità, e riguarda più in generale la diversità, tema sul quale le nuove generazioni mi paiono molto avanti, una volta tanto facciamoci educare da loro.
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È una spiegazione chiara e accurata di ciò che sta alla base della paura e il rifiuto del diverso, sia esso legato al tema della sessualità oppure al genere.
La logica binaria va bene per i computer, non certo per persone mature e – come ben indicate – le varietà, le sfumature sono parte di un mondo più complesso, ma anche più ricco da vivere.
A trentacinque anni mi rendo conto che le generazioni più giovani di me sono decisamente più aperte, inclusive e ben adattate a un contesto sociale arricchito di varianti; per fortuna esiste il “barometro delle normalità” del sentimento sociale per guidarci, strumento tanto utile quanto ahimè spesso dimenticato dagli adulti.
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Quello che segnali, caro Mattia, a proposito dei progressi che si registrano nei pensieri e nei comportamnti delle nuove generazioni, è un dato significativo ma non sorprendente. Tempo fa mi sono recato in una scuola elementare delle valli bergamasche, dovevo incontrare gli alunni. Sono arrivato durante un intervallo mattutino, i bambini erano tutti nel campo di calcio, bianchi, neri, gialli, femmine, maschi e chissa quali differenze. Mi avevano colpito la loro armonia, la leggerezza, la naturalità, l’assenza di barriere, di pregiudizi.
Dopo qualche anno le cose sarebbero cambiate, almeno per molti. Spero non dipenda dai nostri modelli educativi.
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Buongiorno dottore,
Riguardo alle testimonianze scientifiche di manifestazioni sessuali diverse dal canonico maschio+femmina ormai gli specialisti sono concordi sul fatto che il concetto di “contro natura” non abbia il minimo senso, e ignorare questo può essere giustificato solo con ignoranza, se non malafede.
La mente umana è portata a categorizzare per semplificare e dare l’illusione del controllo, e perciò (ma non solo) si eleva a dogma una tipologia riproduttiva che ci appare come la più diffusa, ma che invece presenta molte varianti, oltre al fatto inoltre di non essere stata la prima adottata dalle forme di vita nella storia evolutiva.
Di esempi ce ne sarebbero molti, ma per evitare di dilungarmi mi limito a suggerire di ascoltare l’intervento del professore Telmo Pievani nel video che riporto a termine del mio commento, più precisamente dal minuto 21:00 circa.
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Grazie Dario, ascolterò con attenzione il link. Conoscendo la grande preparazione del professor Telmo Pievani, il cui pensiero, che apprezzo molto, è stato più volte richiamato nei miei libri, sono certo che ne ricaverò notevoli stimoli. Inutile dirti che trovo condivisibili le tue valutazioni, l’ignoranza è una grossa ipoteca sui diritti altrui.
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