La violenza giovanile paravento di quella, assai più grave, degli adulti

Comunque vada a finire, ai confini orientali dell’Unione Europa, si rischia una guerra, ossia una rappresentazione in cui degli esseri umani uccidono altri esseri umani e distruggono tutto ciò che si interpone, compresi animali, piante, automobili, case, strade, scuole.
Cose già viste, non è una novità, la guerra è uno stato permanente, come lo è la violenza, ma di quest’ultima il mondo sembra essere particolarmente interessato alla versione giovanile. Uno strano caso di dislocazione, reiterata, per giunta.

Tre anni fa il mio editore mi aveva chiesto di parlare del bullismo, un anno dopo era uscito il volume “Tutti bulli”, con un sottotitolo che prendeva posizione in modo piuttosto netto: “Perché una società violenta vuole processare i ragazzi”.
In questi giorni, soprattutto nel Milanese, è tornato di moda il tema delle bande giovanili, un tema ostico che andrebbe affrontato proprio domandandosi in quale tipo di contenitore sono collocate le nuove generazioni e come sarebbe opportuno distribuire le responsabilità.  Non facciamo grandi passi, non riusciamo ad andare oltre il dito puntato, forse per distogliere l’attenzione da noi stessi.
A due anni esatti dall’uscita di quel volume, mi permetto di riproporvi delle piccole quote della prefazione.  

Premessa. Adulti alla guerra con se stessi

Il teatro della violenza, persino superfluo dirlo, non è la scuola ma il mondo intero. La scuola è un sottoinsieme della società. Un bambino gioca in una pozzanghera piena di fango, sporcandosi, ma non è lui a produrre quella melma che lo colora. Solo più tardi diventerà un contributore, come gli altri.
Alla scuola si rimprovera di non essere in grado di fermare la violenza al suo interno, rimprovero pertinente, peccato che arrivi da individui e gruppi umani che quella violenza coltivano con grande lena e non sembrano più bravi della scuola nel contenere certi fenomeni degenerativi che attraversano la loro attuale esistenza.
Non possiamo isolare un luogo, per quanto importante, facendone l’epicentro di comportamenti che riguardano l’intera collettività, e che dunque possono diventare comprensibili soltanto se mi mettono in connessione con tutto ciò che li circonda e che li genera. L’educazione, come un’epidemia buona, funziona solo per contagio, per imitazione, le parole non potranno mai sostituire la trasmissione testimoniale, perché nessuna parola può esorcizzare patologie che nascono da modelli educativi intrinsecamente sbagliati.
A questo occorre aggiungere che il bullismo è intergenerazionale, non riguarda solo i ragazzi ma investe tutti gli strati anagrafici, la filiera educativa al completo.

Quei comportamenti che tutti noi abbiamo deciso di condensare nel sostantivo bullismo, sono solo una tappa di questa infinita disputa, che in definitiva è una guerra contro noi stessi, impossibile da vincere, se non ridistribuendo in modo onesto ruoli e responsabilità nella commedia del rapporto tra le generazioni, macchiato dalla continua invenzione di nemici, esattamente come fecero e fanno uomini a corto di idee e di progetti.

10 pensieri riguardo “La violenza giovanile paravento di quella, assai più grave, degli adulti

  1. I suoi interventi,come sempre, scoperchiano situazioni complesse, tanto che la loro soluzione appare lontanissima e ardua da realizzare con singole azioni di superficie. Lei ci insegna che, da quando l’uomo decise di condividere con i suoi simili la quotidiana lotta per la sopravvivenza, ha ramificato un tessuto di relazioni codificate. Sicuramente l’esibizione della forza è uno strumento di confronto ampiamente utilizzato a scopo deterrente. Ma da allora, sono trascorse molte tappe evolutive, ma l’homo sapiens ha conservato molti dei codici comportamentali del suo progenitore. Penso purtroppo che anche una seria rivoluzione culturale basata sulla consapevolezza non convincerebbe la veemenza degli oratori alla pacata modalità di civile esposizione delle proprie posizioni. Comunque singolarmente possiamo scegliere il nostro stile di comportamento ed accettare come amici coloro che, davanti alle urla della storia, rispondono sottovoce. Grazie

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    1. Le vestigia di antichi comportamenti violenti sono saldamente conservate dentro di noi, come un cane che dorme, anzi in
      dormiveglia. Di questo non dovremmo vergognarci troppo, si tratta di un lascito che riguarda gli istinti, il punto è che il modello di vita che abbiamo scelto, pieno di asimmetrie e diseguaglianze, alimenta un risentimento sociale inarrestabile, facendo da basamento alla violenza. Certo, il tema è più vasto e andrebbe approfondito, e noi proveremo a farlo.
      Basterebbe guardare le differenze intollerabili tra le periferie e il centro delle metropoli per dare qualche risposta, che non può essere solo giudiziaria, alla famigerata questione delle bande urbane. Nessuno può invocare giustificazioni alla violenza, ma allo stesso modo nessuno può chiamarsi fuori dalle responsabilità di uno stato di fatto che non può trovare approvazione.
      La politica è attentissima alle vetrine e alle zone di rappresentanza, perché fanno immagine, ma la vita si gioca dove le luci sono spente. Di fronte alle gravi inadempiente collettive, i giovani diventano un facile bersaglio, al massimo da affrontare con il bonus psicologico (sul quale vorrei tornare presto), ma dimentichiamo troppo facilmente che chi possiede una sola vita si dispera all’idea di non poterla vivere come spera perché le privata di ogni possibilità già all’origine. Il welfare italiano va ripensato alla radice, ma occorrono talenti che spesso la politica non può permettersi.

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  2. Caro Domenico, concordo con te. Ma non è da ieri che trattiamo così i giovani (e i deboli), gli anni sono tanti.
    E qui da noi non c’è nemmeno bisogno di andare in periferia: la periferia è diffusa!
    Hai proprio ragione, tutto questo fa comodo, è semplice, trova consenso.
    Nelle settimane scorse le prime pagine dei quotidiani locali erano insopportabili!!
    Un abbraccio.

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    1. Caro Francesco, credo tu sappia meglio di me che ai ragazzi non servono giudici e tribunali, tantomeno prime pagine a effetto, ma di una
      generazioni di educatori capaci di “stare” accanto a loro e indicare qualche prospettiva che dia senso. Perché questo è il punto, la mancanza di senso, per la loro inquietudine ci fa arrabbiare, perché ci mette di fronte il nostro fallimento. Prenderne atto salverebbe loro e noi.

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  3. Come sempre Domenico lei sa fare un’analisi precisa e puntuale delle situazioni. Sono rasserenata nel leggere queste parole che emanano speranza. In un mondo dove tutti urlano, aggrediscono, esasperano, appaiono ma senza sostanza… Qua posso leggere delle voci che parlano di esempio, coerenza, comprensione, significati autentici. Queste voci sono pensieri importanti che, per me che vivo il difficile ruolo dell “‘educare”, sono una boccata di ossigeno, una ventata di aria fresca. Grazie, grazie a tutti!

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    1. Il punto è, cara Antonella, che su questa pagina difficilmente troverà risposte certe e risolutive, soprattutto chi educa, in famiglia,
      a scuola e in altri ambiti, dovrebbe sapere bene che non ce ne sono. Possono, però, esistere degli atteggiamenti o dei dubbi che aiutano a mettere insieme ragionamenti, ed è questo che porta a cercare risposte in modo corretto, costruendosi un metodo di approccio responsabile. Il tema della violenza giovanile è rivelatore di una persistenze deformazione culturale del mondo adulto, che rifiuta sistematicamente di riconoscere in quel fenomeno i segni delle proprie gravi responsabilità, di fatto rendendo impossibile ogni tentativo di soluzione, proprio perché le soluzioni sono sempre la conseguenza del modo in cui vengono posti i problemi.

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  4. Condivido il suo pensiero, da vera allergica alle ricette, ai metodi… Non ci sono risposte, soluzioni…. Possiamo solo riflettere su noi stessi e metterci in ascolto di questi ragazzi che sanno essere molto meglio di noi adulti. Peccato che di questo non si parli mai abbastanza.

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  5. di fronte ad un “only connect” alla rovescia, il dibattito comunque sereno e costruttivo – per quanto possibile, tenendo conto della delicatezza e della pervasività della problematica – di queste pagine è confortante
    un grazie a Domenico ed ai suoi lettori

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    1. La realtà, guardata da vicino, caro Mauro, e non attraverso la lente deformante dei social, accorcia le distanze e scoraggia i giudizi frettolosi. Ragionare con lentezza, usando le armi della compartecipazione emotiva, è un bell’antidoto. Grazie

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