Mentre tenevo un seminario a degli educatori di Scampia, nelle vicinanze, a Casavatore, cinque adulti pestavano a sangue un giovane professore, che aveva svolto una supplenza presso la scuola media della cittadina campana e si era permesso di richiamare alcuni ragazzini che facevano baccano.
Al netto degli eccessi, alle spalle di questa barbarie vi sono le medesime premesse che muovono i comportamenti denunciati da molti insegnati e presidi: interferenze continue da parte di genitori ansiosi di riparare i loro tesori, solo i loro, dal mondo cattivo.
Tempo fa una maestra mi confidava, vergognandosene, che il momento più temuto dell’anno scolastico erano i colloqui coi genitori. Li affrontava con venti gocce di ansiolitico, rimedio usato solo in quella circostanza. “Gli effetti di questa follia pedagogica li pagheremo tutti quanti fuori dalla scuola, perché così non si allevano cittadini ma prepotenti, convinti, come i loro genitori, di avere sempre ragione”.
Così aveva chiosato. Una facile profezia.
Ancora stamattina, mentre le prime pagine dei giornali annunciavano l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, che toccherà il destino di moltissimi loro coetanei, leggevo su un quotidiano nazionale, l’ultima puntata di un’inchiesta sulle difficoltà dei ragazzi durante la pandemia. Un incitamento al vittimismo davvero inqualificabile, che deformerà, assai più del Covid-19, la loro percezione della realtà. Proprio adesso, una persona cara mi gira il messaggio di una collega ucraina: “Ciao, l’esercito russo e bielorusso stanno attaccando tutta l’Ucraina, compresa Kiev. Al mattino molto esplosioni. Il General Manager ci ha detto di stare a casa o, se possibile, andare via da Kiev. Sto cercando di uscire dalla capitale. Vi terrò aggiornati”. Meglio di no, potrebbe disturbare i nostri ragazzi mentre si riprendono dalle fatiche della Dad.
Questa, o anche peggio, è la realtà di un Pianeta minacciato da spaventose diseguaglianze, dove la democrazia è un privilegio per pochi, la povertà la norma e la libertà un sogno, mentre noi ci ostiniamo a educare come se vivessimo in una bolla, presentando ai bambini e ai ragazzi una realtà inventata di sana pianta, senza mai cercare di espandere la loro percezione del mondo.
“La scuola dovrebbe prepararci alla vita”, dice una ragazza in una delle inchieste-piagnisteo sulle conseguenze della pandemia, ma prima di rivolgere tale richiesta alla scuola dovrebbe pregare i propri genitori di raccontarle la verità sulla vita, invece di trattare lei, figlia, come una riserva da proteggere, minacciando di denunciare, come nei film di Totò, l’insegnante quando cerca di fare proprio ciò che chiedono i ragazzi, prepararli alla vita, magari ricordando che alle nostre porte c’è l’inferno.
Se nascesse una generazione di educatori capaci di rivolgersi ai figli con rispetto e realismo, mostrando loro le reali istantanee del mondo, gli studi di psicologia si svuoterebbero d’incanto, i profeti di sventura dovrebbero cercarsi un altro lavoro e i nostri figli vivrebbero una vita degna della loro intelligenza e della loro dignità, consapevoli che molti dei loro coetanei sparsi per il mondo si chiedono se valga la pena esserci.
caro Domenico, mi auguro “solo” che per Scampia valga quanto ho ascoltato a RAI radio 3 nella puntata di martedì 15 febbraio di Fahrenheit, nella intervista a Rosario Esposito Larussa, per cercare qualcosa di +, in questi giorni così cupi: i veri problemi del quartiere – dove viene riferita la nascita di iniziative propositive notevoli – venivano indicati nella mancanza di acqua potabile e di semafori, come esempi del vuoto non occupato dalle istituzioni
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Esattamente così, caro Mauro, ma quando manca l’essenziale ognuno è libero di pensare di non contare nulla, dunque non capisce perché dovrebbe contrubuire a rendenre migliore qualcosa di cui non si sente parte, impegnarsi per fare crescere un luogo in cui non conta nulla.
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Caro Domenico, grazie delle sue parole.
“Rispetto e realismo” dovrebbero essere il minimo, sempre.
Riguardo agli esiti di questi due anni non so quanti (adulti e ragazzi) si siano accorti che se ci siamo presi il disturbo di guardarci in faccia siamo stati obbligati dalle mascherine all’avventura spesso dimenticata se non del tutto sconosciuta di esplorare e decifrare gli sguardi. E non mi pare un male.
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La scoperta dell’America è la conseguenza della presa di potere degli Ottomani, che bloccano le vie d’accesso verso le Indie e costringono gli europei a cercare una nuova strada. Un blocco non è mai un blocco, ma il pretesto per cercare nuove vie.
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Gentile Domenico, non si può restare indifferenti alle sue parole. La pandemia ha portato limitazioni che ci hanno permesso di considerare aspetti che prima nelle nostre vite non avevamo colto, come ad esempio il valore del contatto fisico, l’esplorare gli sguardi di cui parlava Giulia, un ritrovato senso del tempo a misura d’uomo. Ma non è così per tutti. Una buona parte delle delle persone, più che provare compassione per chi ha avuto lutti o problemi gravi di salute legati al covid, solidarietà per tutti quei medici ed infermieri che da due anni vivono al limite delle loro forze a causa della pandemia, preferisce lagnarsi per le restrizioni . Nel mondo scolastico sto vedendo battaglie di genitori per i certificati di riammissione quarantena, per i loro poveri figli che si devono sottoporre alla tortura del tampone, aggressioni verbali a docenti per la durata delle quarantene (come se le avessimo stabilite noi…) Poi vedo le immagini degli sfollati nelle metropolitane di Kiev, ascolto la testimonianza di una donna ucrraina che vive in Italia e che vorrebbe raggiungere sua sorella a Kiev, la quale risponde di di rimanere in Italia per occuparsi dei sui figli se dovesse morire. Penso ai crudi racconti della guerra che mia nonna mi faceva quando ero una bimba, grandicella abbastanza da comprendere l’orrore che aveva vissuto. Non riesco a non provare un enorme sgomento e nemmeno a capire perché siamo così distanti fra di noi, senza senso di fratellanza e compassione.
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