Tanti anni fa una cara amica mi chiese di aiutarla a comunicare alla madre che voleva separarsi dal marito. Il matrimonio si trascinava da troppo tempo, ma lei aveva desistito da ogni azione perché la madre, bigotta e autoritaria, non le avrebbe permesso una defezione.
Ricordo quella piccola riunione, c’erano i genitori, un paio di fratelli e il sottoscritto.
La protagonista, con molta fatica, in un clima di tensione potente, era riuscita a dire la sua sofferenza e annunciare che non era più in grado di sostenere la relazione coniugale.
La madre, mentre la figlia aggiungeva particolari, si caricava di aggressività, che di lì a poco si sarebbe liberata, tracimando in un urlo, rivolto alla figlia. “Tu vuoi farmi soffrire!”
Del racconto ricevuto dalla figlia nessuna parola, della sofferenza di quella ragazza, che si era inflitta una pena severissima per anni, proprio per non “fare soffrire la madre”, niente era passato.
Questa è una situazione molto più frequente di quanto si pensi, accade anche quando un figlio va male a scuola o quando vive momenti di sbandamento a cui non può opporsi, perché l’esistenza lo mette in difficoltà, come accade spesso a noi adulti.
I genitori, entrambi o uno dei due, si sentono traditi, perché il loro copione è stato stravolto.
Nei giorni scorsi, uno zio aveva percosso un ragazzino gay, su mandato del padre di quest’ultimo, perché loro “ricchioni in famiglia non ne vogliono”. Non è previsto nel copione.
Questa è l’atteggiamento più comune nei rapporti tra generazioni. Ci sono due attori protagonisti, i genitori, e poi dei comprimari che devono attenersi alla sceneggiatura. Ecco spiegato perché quella ragazza, che si era rovinata la vita indulgendo in un matrimonio privo di senso, proprio per compiacere sua madre, stava facendo soffrire la genitrice.
Anche il mantra di tanti insegnanti, “il ragazzo potrebbe dare di più”, appartiene a questo filone.
Le attese dei grandi, condensate in copioni spesso ripetitivi e arbitrari, possono fare più danni di un meteorite.
Modo egoistico di vivere i legami che diventano asfissianti, fino a soffocare. Via semplicistica per educare, nell’illusione, o meglio, nella presunzione, di poter gestire gli alunni come burattini, poveri pezzi di legno senza emozioni e cervello, offrendo stimoli da copione. Non è così. Per esperienza ogni bambino è diverso, ogni figlio è diverso, non esistono ricette educative che vanno bene individualmente per tutti e che si replicano ogni anno, non hanno senso i legami zavorre. Purtroppo veritiera la sua osservazione: si tratta di pratiche diffuse. Una mia amica non ha potuto continuare gli studi per compensare, su richiesta della madre, il vuoto che l’altra figlia aveva lasciato andando a vivere all’estero. “Almeno tu stai con me!”. Poteva essere una madre anche affettuosa, ma ha condizionato fortemente la figlia, convincendola. Il tempo ha restituito rimpianti e profondo malessere. Nella vita ognuno ha il diritto di scriversi il proprio copione e viverlo da protagonista, con sguardi benevoli e attenti che accendono luci senza gettare ombre meschine ed egoistiche.
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Sono reduce da una serie di colloqui con persone investite da tali abusi pedagogici, infrazioni abituali.
In passato mi è accaduto di occuparmi di un ventenne la cui madre minacciava di gettarsi dal balcone se il figlio avesse lasciato il seminario in cui era entrato, senza troppa convinzione, in prima superiore.
Non si tratta, ripetiamolo, di casi sporadici, ma di una silenziosa epidemia i cui esiti si rovesciano sulle vite di chi entra
in contatto con le vittime. La ringrazio
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Post e commento raccontano un livello di intrusione terribile ma che ha almeno il vantaggio di essere esplicito: se si hanno occhi sani è evidente che sia un abuso.
Più difficile è individuare le aspettative inespresse, più o meno manipolatorie.
In qualche caso l’adulto si comporta come chi infila un ramo di pero in una bottiglia perché il frutto cresca al suo interno e possa andare in futuro ad aromatizzare il liquore che vi verrà versato. La pera cresce, ha luce, la si può anche guardare ma è imprigionata.
In altri casi invece persino l’adulto è inconsapevole delle aspettative tossiche che riversa nel terreno educativo e ciò apre lo spazio terribile dell’immaginazione del bambino, che intuisce la propria non aderenza ad un modello che però è indistinto quindi ingestibile.
Qualcuno sperimenta solo aspettative sub contrario: nessun progetto reale su di sé ma solo la definizione di che cosa non essere, finendo per non pensare mai a sé al di fuori del momento presente, come cristallizzato dall’illusione genitoriale che basti non essere e non fare alcune cose per essere compiutamente qualcuno.
Poi certo, mi chiedo quanto il “giudizio passivo”, la delusione che spesso si percepiscono dai genitori siano reali e quanto siano invece immaginati, amplificati dalla sensibilità del bambino, o fraintesi nel silenzio del mancato confronto.
Spero di essere riuscita a spiegarmi, Domenico, scusi se così non fosse.
PS Ma qualche insegnante si dice mai “il ragazzo potrebbe ricevere di più”?
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Questo, cara Giulia, è un terreno minato perché è quasi impossibile che l’agente ammetta la propria infrazione, anzi spesso accade
che rivendichi ii propri meriti, perché starebbe agendo esclusivamente puntando al benessere della vittima.
Uscire da noi è difficile, valutare in modo critico le proprie attese ancora di più.
Ieri negli Stati Uniti si è consumata l’ennesima strage di minori in una scuola, alle spalle di queste terribili azioni la sottile convinzione di agire per un fine buono, per tutelare un qualche valore. Stamattina, mentre venivo in studio a piedi, una signora arrivava contromano in bicicletta, in senso opposto, ossia rispettando le indicazioni stradali, giungeva una signora di colore in auto, che svoltava a sinistra in tutta sicurezza quando la bici era ancora a diverse decine di metri. Eppure la ciclista, ripeto contromano, si è messa a imprecare contro l’automobilista. Un sovvertimento radicale della realtà, forse ispirato da ragioni cromatiche.
La distanza tra la malattia mentale e la normalità si misura dalla presenza di autocritica, ossia dalla capacità di valutare obiettivamente i propri comportamenti. Sembra che questa dote diventi sempre rara, in tutti i campi.
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Quante vite sono rovinate da un copione non adeguato, scritto da altri? Credo troppe. Penso alla valanga di dolore che avvolge le vittime di un copione sbagliato. Purtroppo in ogni contesto di vita assistiamo a questo. Nella mia esperienza trovo la famiglia, la scuola, il mondo del lavoro. Non è facile rendersene conto e ancor di più ribellarsi. Perché il senso di inadeguatezza e il desiderio di piacere agli altri ci porta naturalmente a recitare la parte che ci viene assegnata. Ribellarsi é dolore, é solitudine ma può diventare libertà e possibilità di aprire lo sguardo sul mondo interiore degli altri. Aggiungo anche la concreta speranza e il coraggio di interrompere circoli viziosi che si tramandano di generazione in generazione.
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I rapporti di potere, cara Antonella sono sfacciatamente sbilanciati a favore dei genitori e degli insegnanti, senza contare il prezzo
che paghiamo alla paura di perdere la loro considerazione, la loro protezione.
Ribellarsi è complicato, cara Antonella, anche perché certi sopprusi viaggiano all’interno di guanti di velluto, sorrisi, solenni affermazioni di principio, che riempiono la vittima di mille dubbi sull’esattezza delle proprie percezioni, aprendo talvolta la strada al senso di colpa. Grazie
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Lei ha ragione Domenico, perfettamente ragione. Il prezzo della ribellione, si paga caro e talvolta si continua a pagare per un tempo lunghissimo.
Per me è stato importante farlo e forse ingenuamente penso che debba essere così anche per gli altri. Il fatto é che se non si interrompono certe dinamiche diventa difficile procedere. Non è vita in un copione che non é il nostro. Quando l’ho capito avevo 11 anni. Oggi vorrei imparare la saggezza di lasciare che le cose accadano, senza farmi pressare troppo. risparmierei molte energie e forse scoprirei che le cose vanno avanti anche senza di me.
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Lei allarga l’orizzonte e mette sul banco degli accusati il modo stesso in cui viviamo, anche quello ci chiede di andare verso delle mete precise, che non sempre sono le nostre. Il tema si presta a tali estensioni. Ci torniamo su. Grazie
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Caro Domenico, leggo i bei commenti e le sue sagge risposte, e mi chiedo come essere certi, guardando ai propri figli, di rimanere nella fiduciosa condivisione di una possibilità (“si cresce solo se sognati”) senza travalicare in programmazione sopraffacente…
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Una domanda senza risposta, cara Giulia, o meglio senza pedagogia, perché per molti adulti l’idea che i figli siano
proprietà privata, anzi soldatini al servizio della loro seconda e ultima possibilità (almeno fino all’arrivo dei nipoti) rimarrà una certezza granitica. C’è molto da fare, ma non abbiamo ancora iniziato, provi a leggere i quotidiani nazionali, guardi come sono impostate le pagine che riguardano la psicologia, si cerca il clamore e si ospitano persone che lo alimentano.
Si continua a recitare litanie sulle difficoltà delle nuove generazioni, sulle conseguenze del Covid, sugli effetti dei social e altro ancora, ma i temi “fondativi”, come quello che stiamo cercando di trattare insieme, che non fanno notizia e non attirano clic, rimangono in fondo al sacco. Grazie mille.
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Non c’è via d’uscita. È uno stato di fatto confermato in ogni dove…viviamo le vite degli altri perché la nostra ci sta stretta, non ci piace, siamo insoddisfatti di quello che abbiamo realizzato. Avremmo voluto e non è stato possibile. Cerchiamo nei figli, negli alunni il riscatto. L’atteggiamento, il più delle volte aggressivo, impulsivo, nevrotico nasconde le paure e le ansie di chi non ha ” forma” e non la troverà se prima non rinasce. Urge formare spiriti pensanti.
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Grazie Giovanna, avrei poco da aggiungere alle sue parole, che condensano le caratteristiche, anzi le derive, di un’epoca in cui tutti sembriamo ansiosi di lasciare una traccia di noi ad ogni costo, anche, o soprattutto, per interposta persona.
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Corrispondere a delle aspettative, a delle attese altrui. Che siano motivate o meno, dalla logica, dal buon senso o piuttosto imposte da una fede cieca o da un pensiero dominante, cui è d’obbligo adeguarsi, pena l’esclusione dalla vita comunitaria stessa, della quale si è parte. Questa è una società che lo impone dogmaticamente. Eh sì…questo è un tema che si presta ad estensioni di senso. Urgenti. Grazie Domenico
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Ci sono delle persone abilissime a “incanalare” la vita altrui, nascondendo le tracce.
Una paziente mi diceva: “Mia madre, in apparenza, non mi impone nulla, ma in genere mi ritrovo a fare A perché capisco che a lei non piace B, così sono tranquilla. È stato così anche nella scelta del mio compagno”.
C’è qualcosa di mostruoso in simili passaggi, che non sono per nulla eccezionali. Grazie a lei Paola.
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