Formare la scuola per salvare il Paese

C’è un tema decisivo per il nostro paese, dunque per tutti noi, perché trascina con sé conseguenze che ci toccano personalmente, in modo diretto e indiretto.

Mi riferisco alla formazione in generale e a quella degli insegnanti in particolare, mai presa troppo sul serio o piegata solo ad aspetti tecnico-didattici, ignorando quasi del tutto la materia prima, ossia la personalità di bambini e ragazzi. 

Oggi il tema torna d’attualità grazie alle risorse in arrivo dal PNRR. 

Vi allego una riflessione appena uscita sul sito di SkyTg24, sulla quale attendo i vostri pareri. 

https://tg24.sky.it/lifestyle/2022/07/05/insegnanti-scuola-bambini-ragazzi

14 pensieri riguardo “Formare la scuola per salvare il Paese

  1. Concordo, ci vorrebbe una bella rivoluzione, tabula rasa e poi ripartire!!! La professione dell’insegnante è una delle più importanti! Stipendi più alti ma selezione brutale: hanno nelle loro mani il futuro!!!

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    1. Grazie Cinzia, il tema ci riguarda proprio tutti, come lei riafferma senza mezze misure. La parola rivoluzione in un
      ambito come quello che stiamo trattando, sembra quanto mai opportuna.

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  2. Grazie Domenico,
    La scuola è specchio della cultura sociale che si respira, caratterizzata da elementi comuni che si dispiegano in variabili territoriali, la cui localizzazione determina il dato che ben conosci delle rilevazioni nazionali.
    Quale il senso della scuola oggi… ricordo anch’io il mio primo giorno di scuola, il fiocco inamidato sul grembiule bianco e la mamma che mi diceva (ogni giorno) “ascolta la maestra e fa la brava” …e io che pendevo dalle labbra della maestra, ho incontrato il mondo e il mio cammino.
    La scuola oggi, pur non rappresentando, ormai l’esclusiva agenzia educativo-formativa delle nuove generazioni, ne detiene ancora il primato, sia in quanto Istituzione, sia perché detiene la responsabile funzione di consentire ad ogni bambino/adolescente affidato in cura, di conoscersi e riconoscersi nei limiti e nel potenziale posseduti, esperendoli nell’apprendimento agito (attraverso l’esperienza di relazione, tipica della scuola, cui facevi riferimento)
    I bambini, gli adolescenti di questo tempo sono figli del disorientamento etico, della carenza del principio di responsabilità fin troppo latente negli adulti significativi di riferimento; dici bene, la scuola non può risolvere da sola, usiamo bene i fondi assegnati, la formazione può essere il giusto motore per accrescere motivazione e consapevolezza in ciascuno degli attori coinvolti nell’educazione dei nuovi adolescenti. Se ogni educatore coinvolto, tendesse verso la piena consapevolezza di ciò che c’è oltre quello sguardo e avesse la concreta possibilità di sperimentare approcci didattici che considerino ogni alunno l’armoniosa sintesi tra corpo, mente e cuore.
    E questo bisogno, Domenico, lo ritrovo negli educatori di ogni angolo del nostro bellissimo Paese… nonostante le rilevazioni nazionali.
    A presto rileggerti
    Teresa

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    1. Cara Teresa, una lettrice oggi commentava: “La professione dell’insegnante è una delle più importanti! Stipendi più alti ma selezione brutale: hanno nelle loro mani il futuro!!!”. Questa è una premessa fondamentale, da cui ne nasce una seconda, altrettanto drastica, ossia come selezionare un insegnante, un cespite difficile da controllare, perché tu sai benissimo che non sono solo i concorsi, per quanto imperfetti, l’unica porta d’ingresso per il reclutamento, che spesso è figlio di esigenze pressanti, legate a buchi nell’organico che si determinano, massicciamente, a seguito di una serie di accadimenti, prevedibili e imprevedibili.
      Inutile negarlo, su una grande quota dei docenti non abbiamo il controllo della selezione. Ci vorrebbe un patto in cui tutti dovrebbero fare la loro parte, a cominciare dai sindacati, sono i primi a dovere capire che la scuola non è un ufficio di collocamento e che nessuno può svernare a spese di bambini e ragazzi, solo perché deve lavorare. Non scherziamo, insegnare è un lavoro che non somiglia a nessuno degli altri lavori.
      Si toccano vita per sempre, come diceva qualcuno.
      Un ragionamento che vale soprattutto alla luce delle tue parole, provenienti dal cuore stesso della scuola, non solo perché stata per decenni una dirigente, ma per come lo sei stata.

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  3. L’analisi fatta da te è la considerazione di quanto la “cultura” sotto tutte le sue sfaccettature, sia l’unico rimedio per una società migliore.
    Quando la scuola nacque, in tempi ormai lontanissimi, non aveva certamente la finalità di “parcheggio” o di “sostituto” di quella famiglia ormai smembrata.
    Quando la scuola nacque, l’educatore ricopriva nella società un ruolo di rilievo, poiché dalla sua competenza dipendeva il successo civico e morale del discente.
    Si è passati al termine “maestro” tenendo conto dell’etimolgia di questo nome, anche in virtù del significato biblico.
    Al maestro ci si affidava, perché gli si riconoscevano quelle caratteristiche morali e culturali che l’uomo comune non possedeva.
    Essere maestri era una vocazione, e fortissimo era il senso di responsabilità nei confronti del futuro dei giovani che venivano affidati (proprio come il tuo maestro che ti ha cambiato la vita).
    Oggi è tutto diverso: la famiglia si è sgretolata, i genitori lo sono biologicamente ma spesso non comprendono l’importanza del loro ruolo, delegando così ogni responsabilità alla scuola ma non riconoscendole comunque il valore. La scuola è solo l’istituzione cui riversare il fallimento genitoriale, e il docente la causa delle “crisi di crescita” dei figli.

    Anche i docenti hanno in generale perso fiducia nel loro ruolo, ma anche perché spesso i docenti sono essi stessi i genitori delegatari, per cui hanno la visione e la concezione della scuola come “luogo di lavoro”, come “diplomificio” o altro di poco valore.
    In Italia il docente non viene valorizzato, soprattutto da quel sistema che lo chiama ancora “maestro” ma che non investe sul suo valore, non gli da gli strumenti per affrontare le difficoltà della società che cambia, non lo valorizza nella sua professionalità.

    In tutto questo credo fortemente nel valore sociale della scuola, unico baluardo rimasto per la costruzione di una società nuovamente “umana”, in cui la consapevolezza della preziosità delle caratteristiche del nostro alunno (ma anche collega) sia punto di partenza per l’espletamento della nostra missione di educatori.
    Personalmente soffro molto nel vedere alcuni docenti demotivati, e vorrei fare qualcosa per far riaccendere in loro l’entusiasmo e la fiducia nel proprio lavoro.
    L’autonomia scolastica in questo caso può essere propizia, perché all’interno di un istituto ci si potrebbe “inventare “ qualcosa che possa agire in tal senso.
    Concordo sulla necessità di una formazione strutturata che faccia leva sull’interiorità, e non su improbabili “metodologie didattiche salvavita”; ma considerando che, come hai esattamente analizzato, attorno alla scuola gravità l’intero Paese, sarebbe importante che a livello sociale nazionale la Scuola (e quindi i docenti) riacquisti il suo ruolo vertice per la formazione e delle personalità; è necessario che il docente si senta dare la pacca sulla spalla e si senta dire “bravo “, “grazie”, “bel lavoro”, e solo così si può pensare di proporre la formazione più variegata e innovativa (nella sua tradizionale riscoperta dell’interiorita) e di trovare nei docenti l’entusiasmo di rimettersi in gioco.

    Perdonami, ma credo veramente troppo nella scuola, ed in questo momento la vedo trattata come una “schiava” al servizio di interessi assolutamente immorali, e vorrei tanto essere in grado di fare qualcosa.
    Ma cosa?

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    1. Cara Germana, quello che dici possiede un peso specifico potente, sia perché sei una dirigente, sia perché mostri un amore per la scuola che supera ogni dubbio o perplessità.
      Ne riconosci con onestà gli elementi critici, che non originano nella scuola, che si limita a registrarli e importarli, perché in questo momento la società è più forte della scuola, e non perché sua migliore, tutt’altro, semplicemente per possiede più massa critica più grande. Una massa critica che la rende sfacciata, fino a farle dire il falso, ad esempio, quando parla di bullismo, attribuendolo alla scuola e facendo finta di dimenticare che è proprio essa, la società, a generare violenza in tutti i suoi gangli e poi a depositarla ovunque.
      Mi impressiona ciò che sottolinei, tutto quanto, ogni parola, ma vorrei che i lettori riflettessero sul tuo intervento senza il filtro delle mie parole.

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  4. Buongiorno, ho avuto il piacere di conoscere personalmente il dr. Domenico ad un convegno a Castrovillari (CS),complimenti per la “profondità” e competenza con cui affronta un tema importante come la scuola.Saluti

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    1. Grazie Maria Carmen, ricordo con piacere quella serata, soprattutto gli interventi dei presenti, molto interessanti.
      La sua regione merita di essere coltivata con costanza, per me è stato importante esserci, ma la partecipazione dovrebbe diventare una cifra distintiva, proprio a partire dalla scuola, dove si possono fabbricare risposte pro sociali per il futuro e rimuovere tanti ostacoli palesi e nascosti. Un caro saluto a lei e ai suoi concittadini

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  5. Una intervista potente, la sua, dottore.
    Due considerazioni da “non addetto ai lavori” ma da osservatore.
    “La formazione dovrebbe concentrarsi sulla comprensione dello stile di vita di bambini e ragazzi, mettendo in condizione chi lavora con essi di capire, per quanto possibile, i finalismi impliciti nei loro comportamenti, perché nel teatro della vita sociale è più facile vederli.”
    Condivido totalmente, deve trattarsi di una formazione che accentui le competenze pedagogiche e psicologiche, ma siamo sicuri che sia questa la formazione di cui si parla oggi, e che non si pensi si privilegiare le competenze tecniche, tecnologiche e digitali? Esprimo un timore, perché fatico a vedere un approccio umanizzante nei tecnocrati dei ministeri.
    Seconda considerazione. Diversi amici insegnanti mi confidano la fatica del rapporto con i genitori e le famiglie in generale. Il più delle volte avvocati difensori dei figli e assolutamente refrattari ad accettare critiche o segnalazioni. Papà e mamme molto “adolescenziali”, che si sfogano in apposite, devastanti chat di genitori, sparlano di tutto e tutti e vivono perennemente ogni osservazione critica del docente come un giudizio sul proprio figlio e sul proprio modello educativo. Una commentatrice diceva che da piccola il monito di sua madre era “Ascolta la maestra”, è così anche per me. Oggi pare invece invalsa l’abitudine di lamentarsi degli insegnanti e di screditarne l’immagine anche innanzi ai propri figli.
    Occorre certo lavorare su alcune competenze degli insegnanti, tuttavia di pari passo rieducare i genitori a riconoscerne il ruolo.

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    1. Caro Gianni, il pericolo che la formazione si concentri su aspetti tecnologici è reale, per molti è la strada più facile, quella perché si tocca con mano subito. Vero che il digital divide nel nostro paese è significativo, ma è ancora più pesante l’incapacità di rammentare che c’è un primato indiscusso in ogni processo pedagogico, la personalità dei minori e le sue linee di indirizzo, se non si parte da qui si finirà per tirare a indovinare e anche il resto diventerà solo una cosa in più, una competenza tra tante, priva però di un finalismo socialmente utile.
      Nel post si ricorda che nei progressi della tecnologia digitale non c’è in gioco solo il nostro rapporto con le macchine, che il vero problema è il modo in cui amministreremo i nuovi rapporti tra la realtà tridimensionale e lo spazio virtuale.
      L’altro tema che solleva, non è scollegato dal primo, c’è una richiesta di efficienza che somiglia molto ad un alibi per schivare le grandi questioni educative, nessun genitore chiede, nei colloqui con gli insegnanti, se il proprio figlio rispetta i compagni ma tenderà a concentrarsi unicamente sul rendimento. Non aggredirà mai un insegnante se il figlio è sgarbato col prossimo ma farà una questione di vita o di morte se solo si convincerà che è stato valutato ingiustamente.
      Per l’esperienza maturata in questi anni, credo di poterle dire che questa è una delle emergenze più forti, sulla quale torneremo presto con un post specifico. La ringrazio molto.

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  6. Caro Domenico, grazie:
    fondamentale il tema, interessantissimo il tuo articolo e stimolanti i commenti.
    Credo sia necessario fare un investimento in intelligenza e cultura cercando i formatori migliori per i nostri insegnanti.
    Credo che chi lavora solo per lo stipendio vada decisamente allontanato dalla scuola (ma anche dalla sanità, dalla politica e molti altri settori della vita pubblica a seguire).
    Credo che chi viene incaricato di un compito così delicato come la formazione e l’educazione debba essere stimato e considerato socialmente, e di conseguenza pagato decisamente meglio di come avviene oggi.
    Qui, dal mio punto di vista, entra il problema maggiore: riconoscersi in una comunità basata su valori condivisi.

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    1. Caro Bruno, le tue parole sono condivisibili, anche nei commenti traspare uno stato di discreta allerta, tuttavia negli stessi scritti,
      così come nel tuo, si avverte qualcosa che commuove, ossia l’amore per quei banchi e per chi li occupa, la voglia di non rassegnarsi.
      Nel post cerco di dimostrare che la scuola coincide, anche numericamente, col Paese, bisogna impegnarsi affinché ogni cittadino senta la profonda verità di questa affermazione. Un caro saluto.

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  7. Concordo, da insegnante, sulla preziosa e necessaria riflessione espressa, e ritengo che la stessa idea di “formazione del docente” debba essere in parte cambiata, in quanto molto spesso tocca assistere a “Corsi di formazione” molto sterili e unicamente miranti a sciorinare qualche vaga competenza o nuova metodologia digitale.
    Non voglio gettare discredito su chi si impegna ad organizzare e tenere questi Corsi, ma la spendibilità pratica degli stessi, complice la frenesia a cui la Scuola è tremendamente soggetta, è molto poco incisiva; o almeno, questa è la mia impressione.
    Relativamente al tema della necessaria affettività che deve accompagnare l’atto educativo, posso dire di aver notato che, dopo (si spera…) l’era-Covid, alcuni alunni/e sembrano rivolgersi ad alcuni insegnanti per aspetti non unicamente didattici ma anche emotivi, di ascolto e di sostegno.
    Riterrei quindi che una parte della formazione debba coinvolgere anche questo aspetto, beninteso che la sensibilità di un docente non credo possa essere “formata in toto”, ma certo è che anch’essa deve essere “allenata” a cogliere alcuni segnali del bambino o del ragazzo che, se osservati per tempo, possono essere meglio compresi e l’azione educativa potrà essere certamente più efficace.

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    1. Caro Alberto, potrei sottoscrivere anche le virgole. Uno dei miei libri è dedicato al mio maestro elementare, mancato troppo presto, quando io ero giovane. Le sue parole, la sua presenza fisica nella nostra vita ho lasciato solchi profondi. Se adesso io e te ci stiamo parlando qui, in parte lo dobbiamo a lui. Chi non capisce questo non può fare il tuo meraviglioso lavoro. Grazie

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