4 pensieri riguardo “La scuola, disperata, chiede aiuto. La società non capisce”
Riflessione interessante che aiuta a leggere e “collocare” le due notizie che Lei riporta all’interno di un pensiero sensato e costruttivo.
Ne aggiungo una terza, di notizia: la studentessa suicida allo IULM, poco più di una settimana fa, a Milano, che ha spiegato il suo gesto lasciando una lettera in cui raccontava il senso di fallimento della sua vita, sia personale sia nel percorso di studi.
Dopodiché nei giorni scorsi la Ministra per l’università Bernini ha annunciato di essere al lavoro per istituire presidi psicologici presso ogni Ateneo.
Anche questa, tuttavia, mi sembra una soluzione volta più a rimediare alle conseguenze, che alle cause del malessere, del disagio, della fatica, o, come dice lei, un intervento “sui guasti, senza una parola su ciò che, a getto continuo, li provoca”.
In sostanza, cure palliative, per sviare il discorso e non mettere mai al centro della discussione ciò che si dovrebbe, prima di tutto il nostro modello di societa’ e di sviluppo. Quello sì fallimentare.
Credo lei abbia colto nel segno, il nostro modo di vivere produce, quasi come conseguenza naturale, un costante appesantimento delle vite dei soggetti, soprattutto dei più esposti. Intervenire “dopo” è doveroso, ma è una rincorsa che diventerà sempre più affannosa, perché la nostra capacità di “riparare” è assai meno rapida ed efficiente di ciò che crea quei guasti. Grazie mille
Grazie Mauro, le parole tanto tempo fa erano amiche, avevano persino un significato. Non è che oggi abbiano
cessato di essere ciò che erano, il fatto è che non ci ascoltiamo più. Il sintomo della frattura alla base di questa banale constatazione che in questo periodo continuano a chiedermi conferenze sull’ascolto. Un caro saluto
Riflessione interessante che aiuta a leggere e “collocare” le due notizie che Lei riporta all’interno di un pensiero sensato e costruttivo.
Ne aggiungo una terza, di notizia: la studentessa suicida allo IULM, poco più di una settimana fa, a Milano, che ha spiegato il suo gesto lasciando una lettera in cui raccontava il senso di fallimento della sua vita, sia personale sia nel percorso di studi.
Dopodiché nei giorni scorsi la Ministra per l’università Bernini ha annunciato di essere al lavoro per istituire presidi psicologici presso ogni Ateneo.
Anche questa, tuttavia, mi sembra una soluzione volta più a rimediare alle conseguenze, che alle cause del malessere, del disagio, della fatica, o, come dice lei, un intervento “sui guasti, senza una parola su ciò che, a getto continuo, li provoca”.
In sostanza, cure palliative, per sviare il discorso e non mettere mai al centro della discussione ciò che si dovrebbe, prima di tutto il nostro modello di societa’ e di sviluppo. Quello sì fallimentare.
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Credo lei abbia colto nel segno, il nostro modo di vivere produce, quasi come conseguenza naturale, un costante appesantimento delle vite dei soggetti, soprattutto dei più esposti. Intervenire “dopo” è doveroso, ma è una rincorsa che diventerà sempre più affannosa, perché la nostra capacità di “riparare” è assai meno rapida ed efficiente di ciò che crea quei guasti. Grazie mille
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debito di bilancio, sintomi primari / riflessi; e – nell’articolo sulla mafia – “jet leg esistenziale”: parole su cui riflettere
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Grazie Mauro, le parole tanto tempo fa erano amiche, avevano persino un significato. Non è che oggi abbiano
cessato di essere ciò che erano, il fatto è che non ci ascoltiamo più. Il sintomo della frattura alla base di questa banale constatazione che in questo periodo continuano a chiedermi conferenze sull’ascolto. Un caro saluto
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