Sono stati giorni in cui si è molto parlato della forma della famiglia, ognuno presenta il proprio modello, che a sua volta origina da esperienze e percezioni soggettive dalla realtà. Ne nasce una disputa ideologica difficile da comporre, perché quando sono convolti i sentimenti occorrerebbe ascoltarsi più che fornire modelli buoni per tutti. Possibilmente cercando di concentrarsi sull’essenza dei legami i quali, a prescindere dalla forma che assumeranno, rappresentano il più grande motore di sviluppo della persona e delle comunità.
Ne avevo parlato in un volume, di cui ripropongo la premessa.
PREMESSA – Contare qualcosa per qualcuno.
La foto era stata scattata un paio di giorni prima, presso una città di mare. L’autore ne andava fiero, sebbene il soggetto non sembrasse, almeno a prima vista, particolarmente epico.
Raffigurava una sorta di moncherino, a sezione circolare, di un vecchio sostegno della linea elettrica. Ciò che rimaneva, presumibilmente dopo un taglio incompleto o frettoloso, era una base alta all’incirca come le bitte a cui le navi fissano i cavi di ormeggio.
Rimossa la parte superiore, era rimasto un cilindro cavo, trasformatosi col tempo in un involontario e singolare vaso da giardino. Al resto avevano provveduto l’opera della pioggia e quella del vento, marino e montano, che spira generoso da quelle parti, riempiendola di terra e di sabbia. Grazie al lavoro degli stessi agenti, vi si erano depositati e avevano attecchito anche certi semi vaganti che, adagiandosi nella piccola serra, avrebbero gettato le premesse per la nascita e la crescita di quel minuscolo cespuglio di fiori, così variopinti e disomogenei.
Poco più di niente, ma bastevole ad attirare gli sguardi di qualche passante, come la persona che aveva immortalato il risultato, facendomene partecipe. Un individuo che in genere fatica a parlare delle proprie emozioni, ma che ne è letteralmente posseduto, per questo registra significati anche dove altri non vedono che ciuffi di piantine.
Quel cespuglio casuale e poco ortodosso, che forse per questo strapperemmo via dal nostro giardino, deponendolo nel sacco delle erbacce e da li in discarica, rappresenta in qualche modo l’ideale punto di arrivo degli sforzi di ognuno di noi, sempre intenti a captare uno sguardo interessato, un orecchio attento, in grado di darci la consolazione di contare qualcosa per qualcuno, giacché questo sembra essere il programma definitivo della nostra intera esistenza.
Per questa ragione, per il ruolo vitale che rivestono, per il modo in cui li creiamo e li viviamo, i legami costituiscono un rivelatore attendibile delle nostre vere aspirazione e dei nostri paesaggi interiori. Lo stile di vita, la maniera caratteristica con cui ognuno di noi si avvicina ai propri obiettivi, si palesa con notevole precisione al contatto con questa decisiva materia.
Non esiste altro ambito in cui il nostro mondo interiore viene portato alla luce in modo così sfacciato, prepotente. La vita affettiva e sentimentale parla di noi e di come siamo fatti, con una precisione sconosciuta, racconta i nostri desideri, le nostre aspirazioni, senza omettere neppure il più piccolo particolare. Occuparcene, dunque, non è solo un modo per parlare dei nostri specifici successi e delle nostre dolorose ferite, ma per gettare una luce vivida sull’intero mondo interiore.
Molti anni fa, durante un congresso, avevo udito un collega straniero, di cui sinceramente non ricordo il nome, definire la vita sociale il nostro “liquido di Archimede”, il mare nel quale siamo immersi costantemente con una parte, variabile, del nostro scafo. Il modo in cui vi galleggiamo, ossia la maniera con la quale ci rapportiamo ai nostri simili, costituisce una fonte insostituibile di indizi per la comprensione dei nostri orientamenti interiori. Questa similitudine, che rappresenta ciò che davvero osserviamo nell’attività clinica, ma anche nella vita quotidiana, vale maggiormente nei rapporti che investono da vicino i sentimenti, dove l’effetto rivelatore è amplificato. Il modo in cui tendiamo a immergerci in questo genere di relazioni parla di noi con l’esattezza con cui ne tratterebbe il nostro ipotetico biografo ufficiale.
Ecco perché parlare di legami rappresenta il modo più efficace per raccontare noi stessi, per rivelare ciò che anima la nostra vita interiore e per scoprire le ragioni profonde che ispirano e sostengono i nostri comportamenti, anche quelli apparentemente più incomprensibili.
(Tratto da Domenico Barrilà, I legami che ci aiutano a vivere. Feltrinelli)
Basta questa sua introduzione per comprendere quanto contino i legami per ogni individuo e quanto essi rappresentino nel mondo interiore di ciascuno di noi, collegati alla nostra dimensione più intima, persino capaci di modellarci e determinarci.
Ancora di più realizzo quanto sia violenta e prepotente, dunque intollerabile, la pretesa di una società, di uno stato, di una religione di classificare i legami e dirci quali abbiano la dignità di essere riconosciuti dalle Istituzioni e quali non l’abbiano. Ovviamente mi riferisco a legami che non siano etero-lesivi, cioè che non tolgono diritti a nessun altro, ma, semplicemente, li ampliano per gli interessati.
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Grazie Gianni per questo queste parole, che rendono in forma sintetica lo spirito del ragionamento, mettendo in evidenza quanto inaccettabile risulti la pretesa di decidere la forma dei sentimenti, soprattutto quando questi non fanno male a nessuno, ma esprimono bisogni profondi e legittimi. Una strada pericolosa, nella cui direzione procedono oggi i passi di troppi soggetti spesso, purtroppo, autorevoli. Buona giornata
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Trovo da sempre affascinante il tema dei legami, affascinante e profondo: riconduce al nostro essere in rapporto agli altri. Se ognuno di noi è unico, ognuno di noi costruisce legami che rispecchiano unicità. Non possono esserci forme precostituite esterne di legami o legami modello legittime contrapposte ad altre delegittimate.
Certo, i legami, come dice Gianni, non devono ledere il diritto di nessuno, devono essere intesi nell’accezione di “unione” e non “vincolo”. In un recente laboratorio teatrale che ho condotto con una mia collega questo tema è stato un interessante file rouge. Sarà che il laboratorio teatrale porta l’individuo ad un lavoro personale in un contesto di gruppo, sarà che ognuno può esprimersi senza temere il giudizio, sarà che non esistono modelli, sarà che si punta sulle risorse di ciascuno, qualunque esse siano, ma trovo che dare voce in un contesto del genere all’individuo vuol dire offrigli “riconoscimento” e “ascolto” mentre ognuno fa la sua parte in un processo che è allo stesso tempo individuale e di gruppo. Purtroppo da tempo questi ambiti educativi di carattere espressivo sono stati “soppiantati” da priorità tecnologiche e chi a scuola propende per i primi è forse un po’ visto come visionario, antiquato, di certo poco o non allineato/allineabile alla digitalizzazione e al ruolo ad essa assegnato. Quello che voglio dire è che l’ascolto di bisogni profondi e legittimi mi pare, purtroppo, non essere più un focus reale in vari contesti. E che di pari passo si spinga ad uniformare, non ad includere.
“Le maglie intrecciate rinnovano
la rete della tua e della mia forza.
Ti guardo, ti vedo: siamo nodi complementari
di preziose trame comuni.
E’ tempo di cammini convergenti” da Cammini convergenti Antonella Alia
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È come stabilire una volta per tutte come devono essere associate le note musicali. Quanto genio avremmo perso. Grazie
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