La libertà di dissentire può salvare noi e i nostri figli. Tuteliamola ogni giorno

Tre studenti si sono rifiutati di rispondere alle domande dei professori nel corso degli esami di maturità. Mi pare normale, mi pare promettente, mi pare un segno di libertà. Non la pensa così il ministro, che dal prossimo anno farà in modo che tali gesti portino alla bocciatura. Meno normale, meno promettente.

Brutto indizio di una cultura intollerabile.

Nella primavera di due anni fa, i rappresentati degli studenti del Liceo Giovanni Berchet di Milano, rilasciarono una meravigliosa lettera aperta, che consiglierei caldamente di leggere a chi pretende di occuparsi delle giovani generazioni e delle scuole che frequentano. Una lezione talmente lucida e profonda cui può essere opposto soltanto un dignitoso silenzio da parte di noi adulti.

“Abbiamo ragione di credere che il nostro disagio non sia una condizione isolata. 
Sono diffuse le realtà nelle quali gli studenti soffrono gli stessi problemi, senza avere la stessa attenzione e le stesse possibilità di essere ascoltati”.
 Parole tanto più potenti in quanto non ispirate da una frustrazione legata al proprio Istituto, cui invece sono grati perché li educa “alla complessità e al pensiero critico, strumenti indispensabili per diventare cittadini liberi e consapevoli, tanto da consentirci la possibilità di contestare l’ambiente stesso in cui stiamo svolgendo il nostro percorso formativo”.  Ribadiamo, infine, che noi studenti non accetteremo più atteggiamenti oppressivi e dispotici. Una scuola autoritaria prepara ad una società autoritaria, e noi non siamo disposti a tollerare né l’una, né, tantomeno, l’altra”.

Per fare dei veri passi avanti è necessario convertirsi a un modello educativo “bidirezionale”, accogliendo e incorporando quanto proviene dalle nuove generazioni, solo questo può liberare l’intervento dal rischio di quella genericità che fa sentire il minore sottovalutato e, in definitiva, solo, impaurito, riottoso.

Un ragazzo poco più che ventenne, di notevole maturità, mi indirizza questa mail a corredo di un confronto sul quale ci sono stati momenti di forte comprensione reciproca. “Noi giovani ci sentiamo lontani dalle gabbie create dai grandi, perché non c’è possibilità di crescere, di esprimersi, di innovare, di essere protagonisti.

È tutto troppo chiuso su sé stesso, senza alcuna propensione a mettersi in discussione, nessuna capacità di ascolto, nulla che si muova. Un mondo simile a un corpo nero, che non riflette luce neanche se gli punti il Sole addosso”. 

Non è il caso di aggiungere altro.

Chi può aprire il link, troverà la riflessione completa.

https://tg24.sky.it/lifestyle/2025/07/12/liberta-figli

10 pensieri riguardo “La libertà di dissentire può salvare noi e i nostri figli. Tuteliamola ogni giorno

  1. Chi è l’immaturo? I ragazzi, che seguendo letteralmente le regole imposte dai “grandi” fanno una cosa che è possibile fare (dimostrando tra l’altro che questo modo di valutare è strampalato) o i “grandi”, che invece di ammettere le falle del sistema educativo e i suoi limiti, se la prendono con i giovani e li vogliono punire?
    Molte persone commentano che una volta nel mondo del lavoro o in università i ragazzi si dovranno adeguare al sistema anche se schifoso. Io spero di cuore che questi ragazzi riescano a scardinare le logiche meschine che ci circondano.
    Un saluto,
    Carla

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    1. Gentile Carla, la ringrazio per le sue parole, che contengono delle chiare risposte. I ragazzi sono cresciuti molto nei decenni attraverso gli apprendimenti accumulati da una generazione all’altra, e oggi rappresentano lo specchio delle nostre contraddizioni, ricordandoci che li abbiamo traditi e nello stesso tempo gridandoci, in alcuni casi drammaticamente, che stiamo andando dalla parte sbagliata, e il loro disagio lo testimonia più di qualsiasi cosa. Noi adulti vorremmo decidere come i ragazzi dovrebbero stare al mondo, ma dimentichiamo di domandare ai diretti interessati come stanno in questo stesso mondo, facciamo finta di non sapere che senza il dissenso e lo spirito critico di cui i ragazzi sono portatori, il futuro sarebbe una noiosa replica del presente. Un caro saluto

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    1. Caro Andrea, grazie per questo contributo che ogni lettore valuterà in proprio, mi preme solo ricordare che l’ascolto è meglio delle esternazioni. Oggi leggevo l’intervista a un professore-blogger, esperto di fisica che, commentando l’argomento di cui stiamo parlando concludeva raccontandoci ciò che avrebbe fatto lui al posto dei diretti interessati.
      Ecco, Andrea, queste sono affermazioni da evitare perché noi non siamo al posto dei ragazzi. Forse dovremmo ricordarcelo tutti.
      Ti sembrerà incredibile, ma mentre cercavo di risponderti ho ricevuto una telefonata da un amico, padre di due bravi ragazzi, in una settimana sono stati coinvolti in tre incidenti automobilistici, uno dei quali discretamente grave. Non è facile essere genitori oggi, siamo sommersi dall’ansia, dal senso di incapacità, dai dubbi sul futuro dei figli, e non abbiamo bisogno di giudici che sentenziano senza mai domandarsi come se la sono cavata loro da genitori. Ti abbraccio

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  2. Ho discusso a lungo con mio figlio, questa sera, perchè lui istintivamente stava dalla parte di tutti coloro che hanno sostenuto anche l’orale e mi diceva “non è che per questo mi sento omologato”.
    Alla fine però su un punto abbiamo convenuto, quello centrale, ogni cambiamento e ogni evoluzione sono frutto dell’esercizio del dissenso e di una sana ribellione, peraltro nel caso di questi studenti pagata con un prezzo personale elevato, con piena assunzione di responsabilità. Chapeau.

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    1. Caro Gianni, comunque fosse andata a finire la conversazione tra lei e suo figlio, sarebbe stato un successo, perché questo è il cuore stesso dell’articolo. In fondo il confronto si è svolto alla pari, senza gerarchie precostituite e senza rendite di posizione.
      È esattamente ciò che chiedono i ragazzi. Un caro saluto e complimenti a lei e a suo figlio

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  3. Grazie Domenico per le riflessioni sempre profonde e sagge seppure un po’ disincantate. Purtroppo succede sempre più spesso che i ragazzi abbiano uno sguardo ben più lucido e consapevole degli adulti di riferimento. Spero davvero che sia il loro punto di vista a prevalere com’è giusto che sia visto che saranno loro a disegnare e ad animare il futuro.

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    1. Carissima Lorenza, oggi un tuo collega dirigente, lombardo, molto rispettato (quanto lo sei tu), mi scriveva ringranziandomi e riferendosi a chi puoi immaginare: “Purtroppo siamo nelle mani di un imbecille completo”. Ecco la mia risposta: “Avrei in mente un ministero fatto solo di dirigenti scolastici, una sorta di governo della scuola in mano alla…scuola”.
      Tu, Lorenza, sai benissimo come siete stati ridotti voi dirigenti. Ieri è apparsa su Repubblica una bellissima intervista a una dirigente emiliana, Alessandra Francucci, una donna ancora giovane che potrebbe dare ancora tantissimo. Il titoto dice tutto. “Lascio una scuola non più mia, logorata da norme illogiche e burocrazia”. Siete in tanti a possedere numeri non comuni, ma dobbiamo sommarli per…moltiplicarli.
      Come sai, giro il Paese da quarant’anni, credo di avere conosciuto centinaia di dirigenti scolastici, messi, soprattutto negli ulti anni, sotto una pressione inaudita, che impedisce loro di liberare talenti assai più grande di quelli quelli che crede, a torto, di possedere l’attuale ministro, così come li priva di tempo prezioso per “incontrare” i loro ragazzi, con i quali, credimi, avrebbero (avreste) molto da dirvi e da darvi.
      Conosci meglio di me l’energia imprigionata nella scuola. Diamoci una mano a liberarla, i bambini, i ragazzi e i loro genitori ci aspettano a braccia aperte. Teniamoci per mano, cara Lorenza, questo può fare la differenza. Ti abbraccio

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      1. Caro Domenico,
        grazie per il messaggio e la stima che ricambio totalmente. Purtroppo ho deciso anch’io di lasciare la scuola e puoi immaginare quanto mi costi dopo 32 anni a fare la dirigente di cui 22 nello stesso Istituto. Sono stanchissima e spesso ho l’impressione di lottare contro i mulini a vento a confrontarmi con un direttore generale che, quando gli ho chiesto di ragionare insieme sulla scelta di chi mi sostituirà, ha fatto in modo di sfuggire le mie proposte di appuntamento. Domani scoprirò chi sarà assegnato al Tommaseo: molto probabilmente sarà un collega o una collega che non ha ritenuto neppure di fare una telefonata per conoscere cosa avrebbe trovato. Mi conforta però pensare che dalla mia nuova posizione di dirigente in quiescenza, ma ancora impegnata in politica potrò avere maggiore libertà di raccontare cosa non funziona e di collaborare con te per chiamare a correo i tanti fra noi che credono in una scuola per i ragazzi e non a prescindere dai ragazzi

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      2. Cara Lorenza, sono le 23 e 42, sapere che lasci la scuola non è un buon modo per chiudere la giornata. Io ricordo quel giorno della scorso anno passato Torino con te e i tuoi collaboratori, la mattina al Tommaseo, il pomeriggio al Massimo D’Azeglio per una conferenza di formazione agli insegnanti. Provo ancora emozione se penso al bambino col sostegno che mi avevi fatto conoscere, perché quando sono entrato nella tua scuola mi hai portato a salutarlo, un’emozione forte ma diversa quella sperimentata al D’Azeglio, tra i cui banchi si è formato un numero impressionante di grandi uomini, che sono stati materia pregiata nella costruzione del nostro paese.
        Troveremo il modo di fare ancora tante cose insieme per aiutare la scuola, cara Lorenza. Provo maliconia per la tua scelta, ma dalla postazione che occupi nel governo della tua città darai ancora moltissimo a chi sogna ancora un mondo fondato sulla ragionevolezza, sulla passione nonché sulla competenza, ingrediente sempre più raro ma sempre più necessario. Ti abbraccio

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