La scuola minacciata dall’ottusità di chi non la capisce

Verso casa. Lascio una località del Centro Italia, dopo avere aggiornato degli insegnanti, dovrei dire “delle” insegnanti, perché c’era un solo maschio, un maestro. 

L’invito del dirigente, giunto un paio di mesi fa, era stato affettuoso, ma anche timido e mortificato, visto che avrei dovuto tenere dieci ore di formazione in due giorni distinti, e che poteva offrirmi solo una “miseria”, perché valgono le tariffe ministeriali, ossia circa 41 euro lordi orarie. Con quello che riceverò, potrò perlomeno pagare le spese, a cominciare dal treno.

Starò via da casa due giorni, chiuderò per uno il mio studio, accollandomi i relativi oneri. 
Quindi, non solo avrò un compenso bassissimo, ma sarà necessario aggiungere risorse di tasca per rispettare l’impegno. Eppure, rinunciare non è un’opzione. La scuola non può essere lasciata sola, non può essere lasciato solo il personale amministrativo, non possono essere lasciati soli quei dirigenti e quegli insegnanti che la servono con devozione esemplare. Soprattutto non possono essere lasciati soli i bambini e i ragazzi che la frequentano, tantomeno i loro familiari.

Alla scuola pubblica non chiedo di corrispondermi una parcella. Con rare eccezioni, lo scorso sono state due, nella prima il committente era un comune molto ricco, che offriva alla scuola le mie prestazioni.  

Non può essere lasciata solo, la scuola, in balia di chi la considera un cestino dei rifiuti in cui gettare di tutto.

Sono padre di tre figli, tutti formatisi nella scuola pubblica, imperfetta quanto si vuole, ma impagabile simulacro di vita reale, e dunque mi sento grato. Eppure, se non fosse per questa motivazione, personale e civile, sarebbe impossibile per un professionista di comprovata esperienza per la conduzione delle attività formative” (così è scritto nel contratto standard che mi è stato chiesto di firmare) accettare tali collaborazioni. Occorre, dunque, trovare una conciliazione, perché per ogni professionista che, come il sottoscritto, può rinunciare a un diritto, ve ne sono altri che non possono né debbono farlo. 

A tutti, però, deve essere richiesto un salto di scala. Intanto agli stessi professionisti. 

Formare insegnanti, dico ai colleghi, non può essere considerato un lavoro come gli altri, e non è neppure un ripiego per lavorare comunque. Occorre essere molto preparati, perché, proprio attraverso gli insegnanti, si entra nella vita dei nuovi cittadini, sfiorando diverse generazioni. Si lavora sul presente per migliorare il futuro. Bisogna conoscere le linee di movimento dello stile di vita di bambini, ragazzi, insegnanti, capire dove portano, intuire i disagi che ne influenzano vita e rendimento. Ecco perché non si può prescindere da quella “comprovata esperienza”. 

Non saprei se sia più facile stare con un paziente oppure entrare nei meccanismi sofisticati delle relazioni scolastiche, quello che è certo è che il secondo scenario è molto impegnativo.

Al personale scolastico dico di non avere reticenze, quando chiama un professionista affermato, a chiedere interventi a costi basso, ma bisogna avere rispetto. Tre mesi fa sono stato ospite di una scuola Lombarda, un impegno lunghissimo, considerata la logistica, con un’autostrada impossibile da percorrere. Mi sono mosso da casa alle 17 per farvi ritorno quasi a mezzanotte. Nessuno si è premurato di chiedermi se per il mio intervento fossero previsti emolumenti. 

Avrei risposto di che non erano necessari, ma avrei voluto essere io a stabilirlo. 

Infine, invito i ministeriali che preparano contratti standard, a scendere nella realtà. Non si può chiedere a un professionista di firmare clausole capestro e autolesionistiche, come quella che segue. “Il lavoro svolto ed i risultati dello stesso sono di esclusiva proprietà dell’Istituto Scolastico. Pertanto, il collaboratore non può avvalersi di detto lavoro per altri scopi né portarlo a conoscenza di altri Enti o persone o divulgarlo con pubblicazioni se non con espressa preventiva autorizzazione scritta dell’istituto Scolastico ed indicando comunque che detto lavoro è stato svolto per conto dell’istituto Scolastico”. Preparare e svolgere un percorso formativo di dieci ore, richiede un impegno lungo, quasi come scrivere un tascabile. Questo si può accettare, ma che poi il “mio” materiale non sia più mio e che io non possa neppure citarlo senza la preventiva autorizzazione della scuola, peraltro alle condizioni economiche di cui sopra, è una pretesa che può essere fabbricata solo in qualche stanzone senza finestre di un ministero che, invece, dovrebbe essere inondato di luce. Gli stessi antri in cui si bocciano bilanci scolastici per pochi centesimi oppure, per le famiglie con figli svantaggiati, si inventa, all’ultimo momento, l’ennesimo certificato, che può essere richiesto all’azienda sanitaria, già oberatissima di lavoro, solo personalmente e che può essere ritirato solo dai genitori. 

Mi chiedo se la formazione dei docenti, per la politica sia davvero una priorità. Se i ministri di turno e i funzionari romani capiscono davvero che dalla formazione del personale docente passa la possibilità della scuola di stare nel presente e slanciarsi verso il futuro, aiutando gli studenti ad annidarsi nel loro tempo. Che è poi la ragione per la quale mandiamo i figli a scuola.

17 pensieri riguardo “La scuola minacciata dall’ottusità di chi non la capisce

  1. Ecco perché la scuola deve essere pubblica….ma non statale !
    La scuola statale sta in piedi grazie al sacrificio di (pochi) insegnanti che arrivano a pagarsi di tasca propria migliaia di fotocopie per soddisfare i bisogni educativi della classe
    Caso personale verificabile
    Ciao Domenico

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    1. Mi scusi ma non capisco la correlazione tra il non avere oneri per gli insegnanti (ma ancora prima per gli studenti, aggiungerei) e il non essere statale.

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    2. Facciamo che “pubblica” sempre, capace di garantire il diritto all’istruzione a tutti i cittadini, se poi si innesca una competizione virtuosa e non finisce come con la sanità in Lombardia, ne guadagna la collettività. Quello che dobbiamo evitare, caro Guido, è che la scuola sia guidata da una preoccupazione ideologica e diventi selettiva, anche economicamente.
      Sui sacrifici dei pochi, che per fortuna non sono così pochi, capisco perfettamente ciò che intendi. Ecco, dobbiamo aiutarli a crescere, di numero e di qualità. Un caro saluto

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  2. C’è questa strana distorsione per cui molti ritengono che se lavori nella scuola sei un missionario, non un professionista dotato di predisposizione e preparazione.
    Quanto racconta fa ancora più rabbia se si considera che sono in corso indagini al MIUR su tangenti e favori negli appalti dei corsi di formazione per insegnanti da parte di quei funzionari così stitici nella stesura dei contratti con i formatori.

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    1. Coglie perfettamente uno dei cuori del problema, se sei gratis ci dev’essere il trucco. Ma questo è uno dei
      cascami della cultura del “costa tanto perché è di qualità”. In tale correlazione sguazza l’intero mercato delle griffe, che non sono solo quelle della moda, ma incorpora anche maestri della parola.
      Qualche anno fa è arrivata nel mio studio una mamma veneta, si era fatta 200 chilometri. Era una donna delle pulizie, può immaginare quanto guadagnasse.
      Finito l’incontro, mentre registravo i dati sulla fattura, mi aveva domandato quale fosse l’importo, poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, dispose sul tavolo 4 banconote da 100 euro. Evidentemente aveva inteso male.
      Dopo averle consegnato la fattura, che conteneva una cifra infinitamente inferiore, avevo chiesto cosa le facesse pensare che si potesse remunerare un professionista con una cifra del genere: “Spero si renda conto che quella cifra rappresenta quasi la metà del suo stipendio, e che non esiste consulto che possa valere tanto, soprattutto se impegna 3 quarti d’ora di tempo”.
      Per quella signora, in quel momento, anche io era una griffe, dunque potevo farmi pagare a discrezione.
      L’importante, tornando alla scuola, è che si rimanga sordi a questa grave violazione dei diritti delle persone.
      Già, perché il danaro può creare inique selettività, questo è ancora più grave, mi creda, delle ruberie di cui giustamente lei parla.

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  3. Ben detto con estrema precisione e, oserei dire, fotografando la realtà drammatica della scuola e della formazione degli insegnanti.
    A quando progetti seri (anche con finanziamenti adeguati) che valorizzino la formazione degli alunni e dei formatori dei formatori? Non servono petizioni astratte, parolone vuote di senso ed elemosine: serve un investimento serio, concreto ed efficace per offrire valore ed etica alle nuove generazioni. In caso contrario non meravigliamoci del progressivo sfaldamento della società. Dobbiamo anche unire “le buone forze” per rendere maggiormente efficaci i progetti. Perché la malavita è molto organizzata, come si sente dire spesso, ma la “benevita” è pochissimo organizzata (con spreco enorme di risorse umane ed economiche).

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      1. Grazie Professor Dom,
        è stato un piacere conoscerla.
        Sentirla parlare è stato un po’ come frugare nei tanti vani di un secretaire e scoprire oggetti nuovi e affascinanti.
        Ha viaggiato lei per venire da noi ma anche noi abbiamo viaggiato seduti sulle nostre sedie nell’ascoltarla.
        Le giornate trascorse mi hanno riportato a questo bel passo di Proust dove, senza occhi per osservare e per metterci nei panni degli altri, non saremmo niente…
        “L’unico vero viaggio, il solo bagno di Giovinezza, non consisterebbe nell’andare verso nuovi paesaggi, ma nell’avere altri occhi, nel vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, nel vedere i cento universi che ciascuno di essi vede, che ciascuno di essi è; e questo è possibile con un Elstir, con un Vinteuil, con i quali – e con i loro pari- noi voliamo veramente di stella in stella”.
        A presto!
        Giulia

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    1. Buongiorno,
      purtroppo la scuola non è tra le priorità di questo paese, lo raccontano i fatti. Quando si aumenta a dismisura la spesa pubblica per gli armamenti, togliendo, di fatto, quei soldi alla scuola e alla sanità, non possiamo che constatare quanto in basso siamo arrivati!! Che profondo dolore!

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      1. Non posso che associarmi alle sua parole amara, cara Marta, i pilastri della convivenza, la scuola e l’assistenza
        alla persone, sono finiti in cantina. Ma se lei segue ciò che accade in questi giorni nel dibattito politico, sul darsi delle risposte da sola. Resta il fatto che non dobbiamo rassegnarci, questo è il nostro paese. Grazie

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  4. Cara Giulia, è stato un grande piacere viaggiare, come lei ricorda, raggiungervi e confrontarsi, mettendo gli altri
    in una posizione di rilievo, nell’unico modo possibile: conoscerli approfonditamente e toccarli con la nostra competenza, con la nostra comprensione, perché solo questo permette all’umanità che ci accomuna di esaltarsi.
    Grazie a voi per l’accoglienza, l’ospitalità, la serietà. Difficile la vostra grande applicazione, i vostri sorrisi e la vostra bellissima città, una piccola Roma con una impressionante quantità di beni culturali, testimonianza di un passato esigente che ci chiede di prendere sul serio ciò che facciamo. Vi ricordo con affetto e spero di incontrarvi presto.

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  5. Credo che quanto da lei sperimentato rappresenti purtroppo la concezione che lo Stato ha della “formazione” in tutto il comparto pubblico.
    Più come un adempimento formale, che come momento ed occasione che possa dare slancio e motivazione, anima, agli operatori, ad eccezione delle scelte meritorie di qualche dirigente scolastico o dirigente pubblico “illuminato”, che riesce a fare la differenza nella sua scuola o nel suo settore, e a qualche professionista generoso e pieno di passione civile come lei, che si rende disponibile (non tanti, peraltro!).
    Il problema è che queste scelte personali tali restano e non sono messe nella condizione di diventare “sistema”. Quindi mestieri straordinari, come quello educativo o quello del servizio alle comunità dei dipendenti pubblici, in ambienti nei quali il merito è pressoché sconosciuto, diventano demotivanti anche per questo approccio svalutante al momento formativo.
    Salve, appunto, le luminose eccezioni di cui sopra.

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    1. Caro Gianni, la formazione, in quasi tutti i settori professionali, si risolve spesso in un business, perché muove
      risorse private enormi.
      Nel campo pedagogico e scolastico, però, le risorse private non dovrebbero entrare in gioco, perché l’obiettivo è la salvaguardia di un interesse collettivo delicatissimo, la preparazione delle nuove generazioni. Da questa premessa discende che le istituzioni devono intervenire, con sistematicità e attraverso programmi sempre più evoluti, su chi è chiamato a svolgere tale opera, a cominciare dagli insegnanti. Oramai i cambiamenti tra le generazioni sono così travolgenti, che nell’arco di un quinquennio ci si trova di fronte bambini quasi alieni rispetto a quelli dei cinque anni precedenti. Si pensi all’impatto delle nuove tecnologie e dei social negli ultimissimi anni.
      Se lo Stato non vuole andare incontro ad una rapidissima obsolescenza del personale docente, con danni collettivi enormi, deve mettere in grado chi insegna di “arrivare prima”.
      In questa fase lo Stato è gravemente inadempiente e chi dirige una scuola è chiamato a spesso a porre rimedio con risorse irrisorie.
      Occorre aprire un doppio fronte con urgenza. Da una parte innescando e alimentando il dibattito a tutti i livelli, dall’altra tenendo vivo il “metodo”, anche attraverso l’arma della disponibilità personale.
      Non si possono lasciare vuoti nella formazione degli insegnanti. Mentre lo Stato indugia, chi può deve rendersi disponibile alle condizioni attuali. C’è in gioco molto più di una disputa ideologica, c’è in gioco il destino dei nuovi cittadini e dell’intero Paese. Se non riusciamo a mettere in mora le istituzioni, saranno anche loro a pagare, perché una scuola impoverita fornirà personale politico impreparato e privo di ideali nonché funzionari senza base culturale e professionale.
      Un circolo vizioso che provocherà un progressivo decadimento del sistema, travolgendolo. Grazie

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  6. Caro Domenico, le tue parole arrivano sempre dritte alla meta e, ahimè, mi trovano d’accordo. Io non ho le tue competenze, né la tua preparazione, ma mi capita spesso, per essere sincera ogni volta, quello che descrivi tu in questa tua esperienza. Sono giornalista, ex insegnante, scrittrice per ragazzi con la passione per il giornalismo e la lettura che mi porta a organizzare laboratori e incontri nelle scuole sulla lettura, la scrittura e, appunto, il giornalismo. Non di rado, ho “pagato” io questi incontri, invece che essere pagata, nel senso che di fronte all’elemosina che ricevo (quando la ricevo, se non vi rinuncio) porto materiali acquistati da me per docenti e alunni – cosa che mi fa piacere, perché amo cercare di dare tutto ciò che posso – faccio fotocopie a mie spese, compero più quotidiani in edicola da mostrare ai ragazzi e sempre lascio in regalo ai ragazzi libri che ho recensito, acquistato o ricevuto a mia volta in dono. A questo si aggiungono gli orari “sforati” e le ore fuori laboratorio dedicate a chi mi avesse voluto contattare per chiedermi chiarimenti o piccoli aiuti.
    Non sto piangendo, ma registrando i fatti. Certo, mi è stato anche contestato: chi ti costringe a farlo? Se non vuoi accettare che sa così, lascia stare. Giusto, ma fino a un centro punto. La questione è un’altra: chi lavora a scuola o per la scuola, ma sarebbe più giusto dire per i ragazzi (mi riferisco a chi lo fa con passione e coscienza), per una gran parte della società “non lavora davvero”, la fatica la fanno altri lavoratori. E poi, mi si fa notare, i ragazzi non comprano da soli e non votano, quindi… Vero, ma allora, mi chiedo, perché siamo tutti bravi a blaterare: “serve una migliore educazione, bisogna insegnare altro ai ragazzi, bisogna alzare il livello educativo per creare una società migliore” (fatta di persone che voteranno, o no?) se poi siamo poco disposti a riconoscere la professionalità di chi educa? Ci sogneremmo mai di dire all’idraulico che è venuto a ripararci il rubinetto: grazie e arrivederci, senza pagarlo?
    Purtroppo, la mentalità italiana non aiuta e la politica spesso non vuole nemmeno tentare di cambiarla, ma anche molti di noi non lo vogliono fare. Come canta De Gregori “la storia siamo noi, nessuno si senta escluso”, ma essere la storia costa fatica: chi la vuol fare? Io sono certo una tapina del mio settore, ma MAI nessuno mi paga per gli interventi che faccio, invitata a vario titolo (e nemmeno tu, Domenico, sei mai stato retribuito per le interviste che ti ho chiesto e per le quali ti sarò sempre grata). Solo le scuole mi retribuiscono, ma lo fanno rompendo il porcellino dei risparmi e se io accenno un “tranquilli, vengo gratis” mi fanno la ola. Per il resto, niente. Mi chiedono di presentare libri e autori sempre gratis (benché io debba impiegare giornate per leggere, approfondire, contattare in anticipo gli autori) e quando mi è capitato di ricevere un compenso, mi è venuto il magone dalla gratitudine. Chi organizza questi incontri mi dice: beh, non posso pagarti perché io stesso guadagno poco dall’incontro. Ok, l’autore guadagna (poco) vendendo i suoi libri all’incontro, editore e libraio guadagnano (poco) vendendo gli stessi libri allo stesso incontro, ma io guadano niente.
    Tutto questo noioso raccontare, scusami Domenico, per dire che nel mondo della scuola e della “cultura” siamo in tanti a sbagliare (primi forse quelli che stanno in cima alla piramide, ma non solo loro) e che in tanti non vogliamo aggiustarci, abbiamo tutti un pezzettino di responsabilità nell’alimentare questo meccanismo in cui, per forza, qualcuno deve restare con il cerino spento in mano per permettere a qualcun altro di accendere il proprio.
    Mi raccontava un editore che in Svizzera, alla presentazione di un suo libro a Lugano, TUTTI gli intervenuti hanno acquistato una copia e il moderatore è stato invitato a presentare la propria nota-spese prima dell’appuntamento. In Italia, spesso, se su 30 presenti vendi 10 copie sei stra-felice, gli altri 20 hanno ascoltato (e già è buono) e poi ciao ciao, se ne sono andati senza salutare (se c’era l’aperitivo si sono bevuti l’aranciata) e magari poi si faranno, forse, prestare il libro o lo leggeranno on line condividendo un abbonamento.
    Allora? Allora quando inizieremo TUTTI a sistemare il nostro pezzettino per fare andare meglio le cose? Grazie Domenico per avermi permesso di sbrodolare pensieri.

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    1. Intanto mi scuso, il tuo commento era finito nello spam, a volte accade e non capisco la ragione.
      Quello che dici rispecchia perfettamente molto di che in tanti vedono, la cultura non viene considerata meritevole di remunerazione, non parliamo poi del riferimento che fai alla presentazione dei libri, a volte ore di viaggio per vendere 3 copie, eppure, carissima, non dobbiamo stancarci altrimenti anche quel niente che gira finirà per sparire. Sono certo che condividi e che continuerai a fare quello che fai da sempre. Ricordo, certo, le interviste sul quotidiano dove lavoravi, lo spirito con cui me le chiedevi e la gentilezza, non sempre è così, credimi. La gentilezza sarebbe già una una bella paga, ma troppo spesso sembra che il favore lo facciano a te. Grazie di cuore.

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