Salutato Gesù Cristo. Proprio così, “salutato”.
Eravamo bambini di un quartiere popolare, degradato oltre ogni immaginazione, parlavamo il dialetto e qualche parola di italiano, le sgrammaticature erano l’ordinario, perché non avevamo consuetudini con una norma più evoluta. Quando salivo sull’autobus con la mamma leggevo le parole sugli avvisi assimilandole a quelle dialettali più simili, così “Sorreggersi agli apposti sostegni” diventava “Sorgersi dagli appositi sostegni”, che significava l’opposto.
In questi giorni, all’improvviso, sono tornate quelle ingenue parole, ma da una diversa angolatura, un lembo mai considerato. Mi sono chiesto perché, sessant’anni fa, padre Andrea Polati, un comboniano che sembrava fatto di ferro, non si fosse mai preso la briga di correggerci, magari sfoggiando le sue solide conoscenze di latino. Invece niente, accoglieva quel saluto, ti rispondeva “ciao”, con la sua voce da basso profondo, e si allontanava, dopo averti scarmigliato i capelli.
Era sempre indaffarato, quartiere misero e lui aveva sempre da fare, si occupava proprio di tutti. Se volevi essere ascoltato lui c’era, non ricordo cosa dicesse ma c’era, indimenticabile la sua dentiera nuova, che allora era un privilegio e lo rendeva quasi ieratico. Le bocche dei grandi nel quartiere erano piene di fessure.
Ci siamo ritrovati trent’anni dopo, mi rintracciò lui, aveva visto per caso il mio primo libro in una libreria. Un giorno mi chiamò e senza presentarsi mi disse “in ginocchio, birbante”. La settimana successiva venne a trovare la mia famiglia, dalla vicina Verona, da allora non ci siamo persi di vista, salvo nei periodi in cui tornava in Africa e malgrado il mio progressivo distanziamento dalla sua chiesa, posizione che lui rispettava profondamente. Era sempre lui, così come non mi correggeva quando gli indirizzavo il mio “Salutato Gesù Cristo”. Non mi correggeva perché non era necessario, adesso mi è chiaro. Il piano educativo si doveva leggere nel suo comportamento.
Molti vescovi lo cercavano per consigli e indirizzi, senza mai ricevere risposte compiacenti, schietto e di poche parole com’era. Quando un pontefice si recò in Africa e visitò la sua missione, gli chiese quanti sacerdoti avessero una donna, gli rispose “santità, faccio prima a dirle quanti non ce l’hanno”.
La nostra amicizia, proprio per questa forma di rispetto reciproco e sincero, è durata oltre mezzo secolo, modellando le nostre vite, ma la sua influenza non dipese mai dalle parole, sebbene ne conoscesse di profondissime. Incarnava una visione precisa della persona, senza però declamarla, educava senza teorizzare, l’unico atteggiamento che possa definirsi educativo.
Quando scrivo che “l’educazione è la trasmissione testimoniale di una visione della vita”, in qualche modo rappresento quello spirito. Vale in ogni ambito educativo, laico e religioso, quando c’è bisogno di troppe parole forse abbiamo lasciato indietro qualcosa di importante.
I bambini e i ragazzi lo sanno, per questa ragione sovente non ascoltano i grandi. Loro avevamo già parlato con le loro azioni.
Buongiorno Domenico
Mi è venuto un sorriso nel leggere quanto sopra e si è risvegliata una parte della mia vita passata.
“Sia Lodato Gesù Cristo” e “Riverisco”.
Sono state due affermazioni che mi hanno accompagnato fin quasi alla terza media. Poi son cambiati anche i sacerdoti, si sono modernizzati al pari della società che continuava a “progredire”.
Il Sia Lodato Gesù Cristo era il saluto che il Parroco o il Curato faceva a chi incontrava per strada e il “Sempre sia Lodato” era la nostra risposta a cui si aggiungeva “Riverisco” al momento del commiato.
Altri tempi, si potrebbe obiettare, ma a volte ne sento un po’ la nostalgia. Il paese era piccolo, ci si conosceva tutti, noi ragazzini eravamo conosciuti come il figlio di…..(normalmente era un soprannome). Eravamo così sprovveduti sulle novità tecnologiche che ci avrebbero cambiato la vita nel giro di 3 o 4 decenni che guardando in cielo e vedendo passare un aereo (erano rari all’epoca) non avremmo mai potuto immaginare che per molti di noi sarebbe diventato un mezzo di trasporto quasi normale. E non solo quello…..
E poiché hai parlato di Padri Comboniani, non posso non ricordare anch’io Padre Beppino, da poco deceduto, che ha passato 60 anni in Sudan (paese tra i più integralisti islamici dell’Africa), ma a cui hanno riconosciuto la cittadanza per meriti civili (4500 studenti tutti gli anni nelle scuole Comboniane di Khartoum gratuitamente) e che avevo conosciuto nel 2010 durante una mia trasferta di lavoro. Era un po’ il nostro punto di riferimento per certe problematiche di logistica e in cambio del suo aiuto due sere la settimana si doveva andare alla scuola per insegnare italiano ai ragazzi sudanesi.
Anche lui era di poche parole ma aveva le idee molto chiare sugli obiettivi da raggiungere……
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In tutti questi anni, caro Gigi, mi è sembrato di imparare che la differenza non la fanno le idologie o le religioni, ma le persone, e le leve della loro vite interiore sono saldamente in mano alla famiglia. Padre Andrea e il suo don Beppino, avevano già in tasca i loro valori, glieli avevano depositati le loro famiglie d’origine, mi sono rafforzato in questa convinzione non solo facendo il mio lavoro, ma conoscendo le famiglie di tante brave persone, a cominciare da quella di padre Andrea, che veniva dalla Valpolicella. Dunque, un paese che vuole avere un futuro dovrebbe investire nel sostegno anche pedagogico alla famiglia, comunque sia composta. Una famiglia in balia di cambiamenti spesso drastici e disorientata. Un caro saluto e grazie sempre per le sue riflessioni.
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