La giornata dell’accoglienza. Si contano solo morti e ostilità

Come sarebbe l’Universo senza migrazioni. Non lo sappiamo 

Come sarebbe il Pianeta senza migrazioni. Come sarebbero le città, i paesi, senza migrazioni. Possiamo immaginarlo, anzi non possiamo perché un paesaggio così desolato è inimmaginabile. 

Neppure come sarebbero gli esseri umani senza migrazioni sapremo mai, perché non c’è stato un solo istante in cui gli uomini sono rimasti immobili. Siamo nati raccoglitori nomadi, lo siamo stati per centinaia di migliaia di anni, l’abbiamo nel sangue la propensione all’altrove.

Tempo fa ne parlavo con una paziente, migrante dentro, sempre in cerca del luogo ideale, che forse non troverà mai perché non è quello il punto, però l’idea che possa esistere le mette energia. 

La migrazione è la seconda possibilità, a nessuno possiamo negarla perché non c’è colpa nell’essere nati nella parte sbagliata o in un luogo dove, per una ragione o per un’altra, non ci siamo mai annidati. 

Tutto migra nell’Universo, dall’infinitamente piccolo, che non trova mai pace e può trovarsi ovunque, alle galassie, anche la nostra, in marcia verso chissà dove, a 600 chilometri al secondo, oltre 50 milioni di chilometri in un giorno, trascinandosi dietro la Terra e ciò che contiene, anche voi che leggete, anche me che scrivo e intanto che lo faccio copro distanze inimmaginabili. 

Senza saperlo percorriamo miliardi di chilometri ogni anno, eppure nessuno si sogna di porci dei limiti, il Cosmo è accogliente, ogni istante celebra l’accoglienza, ma non tutti se ne sentono figli, per questo odiano i migranti. Per ignoranza contrastano ciò che lega ogni cosa, a ogni livello, la migrazione, la stessa che portò l’acqua sulla Terra e i microrganismi da cui abbiamo preso la vita.

C’è una logica dinamica intorno a noi, persino nei granelli di sabbia del deserto, che non troveremo mai nello stesso posto. 

Chi nega tale principio universale, quello della migrazione perenne, non può occuparsi di nulla, essendo all’oscuro della natura intima della vita, del suo dinamismo, perché in realtà è morto ma non sa di esserlo, come certi fantasmi che apprendono della loro condizione per contrasto, solo quando nei loro lugubri manieri arrivano abitatori in carne e ossa. 

8 pensieri riguardo “La giornata dell’accoglienza. Si contano solo morti e ostilità

  1. Caro Domenico,
    il tema della migrazione mi è particolarmente caro.
    I miei nonni, tutti meravigliosi, venivano dall’Umbria, dal Trentino quando era territorio austriaco, dall’Egitto (ma con nazionalità francese e ceppo familiare a Lione, emozionante città di fiumi ed edifici della Roma antica).
    Quando atterrai a Smirne in Turchia e a Rodi in Grecia, accanto a ciò che vedevo, ascoltavo e odoravo, c’erano i racconti di quegli stessi luoghi vissuti da mia nonna materna, le sue parole francesi e greche, la sua sconfinata nostalgia per la terra d’Africa. Al mio arrivo a Pompei, mi accompagnava il racconto del blu profondo del golfo di Napoli che le mozzò il fiato per la bellezza, al suo arrivo in Italia.
    I racconti dell’Oktoberfest a Monaco di Baviera e i suoni della parlata tedesca, i sentimenti di vergogna che li muovono a fronte del nostro cinismo che stavano nei racconti del nonno materno, li ritrovavo ad Augsburg negli incontri di lavoro coi colleghi tedeschi.
    Le spiegazioni di mio padre sulla composizione della terra del monte Subasio ad Assisi e il suono del vento negli ulivi di mia nonna paterna mi suonano nel cuore ogni volta che guardavo rapito gli ulivi liguri e lecchesi, pugliesi e gardesani o quelli greci a Kalamata, Itaca, Corfù e Cefalonia.
    Ogni tanto navigo a vela: ho provato la solitudine dell’orizzonte a 360° senza nessuna terra in vista e immaginato l’abissale sconforto di morire così, su un gommone che affonda lentamente.
    Per contro l’arrivo in un porto sconosciuto, i dialetti e le lingue locali che si mescolano col linguaggio comune a tutti i marinai, i profumi e i colori del mediterraneo che spalancano mondi a me cari, mi fanno sempre sentire arrivato a casa.
    Come a casa mi sento a Londra, a Baranzate o via Padova a Milano.

    Chi parla di clandestini, chiamando reato la ricerca della felicità per sé e i propri figli, no, non è mio fratello, cristiano o meno che osi dichiararsi.

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    1. Quello che scrivi, caro Bruno, è una testimonianza vivente di come è il mondo e di come la vita nel Pianeta sia possibile. Mischiarci ci renderà più forti, più intelligenti, più conpassionevoli. Alla ricerca del Bosone di Higgs, presso l’acceleratore del Cern di Ginevra, contribuivano 15 mila scienziati di ogni lingua, proivenienza, religione. Il risultato è inarrivabile, sublime, proprio perché collettivo e multiculturale. Grazie

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  2. A me impressiona sempre notare come un comportamento cordiale, nell’assoluta normalita’, possa diventare un fatto straordinario.
    Domenica mattina, mio marito ed io, ci siamo seduti al bar dell’oratorio della parrocchia, bevendo un aperitivo in compagnia di Amin, cinquantacinque anni, senegalese, da trenta anni in Italia, vende cinture, fazzoletti di carta, accendini e cose simili.
    In Senegal ha lasciato una moglie, sei figli e tre nipoti.
    Ci racconta che il condivedere con lui un analcolico e due patatine, chiacchierando amichevolmente, rende tutto bellissimo.
    Si sente accolto, felice, non piu’ solo.
    Passiamo un’oretta in sua compagnia, aspettando che i nostri nipotini finiscano di giocare, poi ognuno di noi torna alle proprie case.
    Nulla di particolarmente esaltante, solo una buona e sana normalita’.

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    1. Il fatto è che a qualunque latitudine i desideri delle persone sono sempre uguali, dovrebbe essere questo a farci
      pensare, a domandarci cosa prova una persona, di qualsiasi provenienza, quando viene trattata con distacco e sufficienza o addirittura respinta. Basterebbe, per capire fino in fondo, ricordarsi cosa accade a noi stessi quando riceviamo trattamenti caratterizzati da inospitalità, distacco.
      L’esperienza professionale mi consegna la certezza che un animo inospitale nasconde un grado di umanità insufficiente, un sentimento sociale misero e una salute mentale davvero precaria. Respingere gli altri è come minare la propria stabilità, un danno enorme con cui dovremo fare i conti per tutta la vita. Grazie

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  3. Nel marzo scorso ho partecipato insieme al gruppo di lettori ad alta voce “Polvere di storie” di cui faccio parte ad una serata di conoscenza e riflessione sulla realtà della rotta dei Balcani tenutasi presso l’auditorium dell’oratorio di Pessano con Bornago (MI). Il nostro compito di lettori è stato quello di offrire un momento di stimolo attraverso testimonianze proposte in modo creativo. Nel dover preparare il testo della serata, ho focalizzato l’incipit della nostra performance di lettura e gesti scenici su queste parole:
    speranza, futuro, lavoro, mare, paura, violenze, vergogna, guerra. Diciamo che queste parole hanno costituito la “trama” della nostra narrazione della serata che si è intrecciata con l’ordito degli esperti intervenuti, ordito fatto di immagini e testimonianze di aiuto verso ragazzi che passano anni nei boschi in condizioni inimmaginabili. Trama e ordito confezionata con gesti concreti di aiuto.
    Le parole, dicevo…Sono parole che ricorrono in tutti i tempi e in tutte le direzioni sia indirizzato il viaggio, se si ha una valigia oppure no, se si viaggia a piedi sulla rotta dei Balcani, facendo un cammino di stenti o per mare sui barconi…
    Tra i brani inseriti nel testo il racconto di una migrazione, di un viaggio drammatico in cui un uomo perde su una nave stipata la moglie incinta e i suoi due figli più piccoli, buttati in mare senza sepoltura. Un uomo che subisce la disinfestazione, schedato come merce, identificato, minacciato, che scappa e torna indietro dietro la minaccia di vedere i suoi figli dati in pasto ai cani. Ritornato al suo paese trova la fame ad aspettarlo, tutto questo perché il Paese per cui aveva deciso di sacrificare ogni cosa aveva preferito offrirgli solo la minaccia di una notte scura e di cani famelici, piuttosto che un’opportunità di vita. Il racconto avrebbe potuto riguardare qualsiasi migrante dei nostri tempi, che approdi a Lampedusa o arrivi in Slovenia attraverso la rotta balcanica. No. Era la storia di un italiano, di Padova, la storia vera di Carlo, un pezzo di storia della sua famiglia, la storia del Veneto, la storia d’Italia, un popolo di migranti. “Nialtri semo tuti fradei, ghemo da ricordàrseło”. Noi siamo tutti fratelli, dobbiamo ricordarcelo. Si concludeva così quel brano. Le nostre radici di migranti di cui dovremmo avere più memoria.
    Grazie dell’attenzione!

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    1. Purtroppo, Antonella, solo chi è migrante o lo è stato può capire il cuore e la mente di un migrante. In questi giorni ho avuto la fortuna di conoscere tre ragazzi kossovari, giunti in Italia quando avevano 16 anni. Dopo avere trascorso un paio di anni in un centro per minori non accompagnati, si sono inseriti nel mondo del lavoro, facendosi onore, avendo trovato un imprenditore davvero illuminato. Parlare con questi ragazzi, come può immaginare, aveva risvegliato in me sensazioni autobiografiche, e proprio per questo l’identificazione è stata totale. Ringrazio la casualità per questo incontro, dal quale sono uscito arricchito e commosso. Grazie mille

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  4. Mi piace pensare che il mondo non è una nostra proprietà. Credo che Qualcuno ce l’abbia dato in custodia. Quella che consideriamo la “nostra terra” è in realtà anche di altri … di tutti quelli che desiderano abitarla

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