I tre garzoni di una gelateria, all’incirca ventenni, decidono di concedersi un fine settimana al mare, tutti insieme. Lo comunicano al loro titolare solo quando la vacanza è già organizzata, disinteressati alle conseguenze della loro scelta.
Conseguenze che arrivato presto, con il titolare costretto a chiudere l’attività un sabato e una domenica, giorni in cui matura gran parte del fatturato, lo stesso che consente di pagare gli stipendi ai dipendenti.
“Non posso prendere alcun provvedimento, perché sarebbe quasi impossibile sostituirli, ma non le nascondo che mi pongo molte domande su questa incapacità di misurare gli effetti delle proprie azioni”, sottolinea il titolare, alludendo alle responsabilità delle famiglie.
Mentre è in atto questa conversazione, un bambino di tre o quattro anni entra nel locale con la madre e comincia a reclamare bombi, gelati e tutto quello che gli capita a tiro, la madre acconsente senza fiatare, anzi sembra compiaciuta. Il piccolo, palesemente in pieno controllo della situazione, dopo qualche minuto chiede le monetine da mettere nella macchinetta che fa vincere i peluche, la madre provvede prontamente a comprare un gettone da due euro ed esegue le operazioni necessarie a soddisfare il giovanissimo comandante, che chiuderà quella permanenza tra i capricci perché i pupazzetti si sono sottratti alla presa del ragno, alla “cattura”.
La mamma, malgrado l’insuccesso finale, sembra soddisfatta della performance complessiva del figlioletto e, mentre escono, lo seduce con nuove promesse, che placano la furia degli elementi, chissà per quanto. A lume di naso, non per molto.
C’è un effetto circolare tra modi di educare e conseguenze sociali, soprattutto ci sono nessi pesanti tra il modo in cui vive la famiglia e i movimenti dei figli, le loro scelte, quelle che troppo spesso giudichiamo senza avere prima ragionato del pavimento sul quale sono appoggiati.
In questi anni è cresciuta a dismisura la conflittualità all’interno della famiglia nonché l’uso dei figli come armi, quando la coppia non regge più, e succede con frequenza inarrestabile. I danni, individuali e collettivi, sono ingenti, possiamo misurarli tutti i giorni, gran parte delle cose che scrivono i giornali sono fabbricate tra le mura di casa.
Le conseguenze le stanno già scontando, nell’ordine, i bambini, i ragazzi, poi i servizi sociali, impostati quando nessuno o quasi si separava, ossia “settati” su una realtà del tutto aliena rispetto a quella attuale. Impossibile reggere l’assalto derivato dalla conflittualità familiare che, oltre a mettere sotto pressione genitori e figli, travolge anche chi è costretto a occuparsene per lavoro.
Per la politica e la religione tutto questo non esiste, si comportano come se stessero vivendo un sogno retrogrado da cui non vogliono svegliarsi, anzi invocano maggiore natalità, come se la famiglia fosse solo una componente statistica della comunità o come se le persone si divertissero scientemente a complicarsi la vita. La verità è che i preti e i politici non prendono la metropolitana tutte le mattine e tutte le sere, non vanno in ufficio e neppure in fabbrica. In compenso sognano, lo fanno con costanza e confezionano a getto continuo risposte la cui particolarità è che non c’entrano nulla con le domande.
La situazione sta viaggiando rapida verso il precipizio, dovrebbero ricordarlo anche coloro che continuano a denunciare la situazione delle giovani generazioni illudendosi che la risposta sia nella terapia o solo nella terapia. La famiglia, quale che sia la sua forma e il suo modello giuridico, è la fonte di ogni progresso civile, ma se non la si mette in condizione di esercitare i propri compiti affiancandola con un’azione profonda, competente, continua, tra dieci anni ricorderemo questi tempi, difficilissimi, con nostalgia, fino a rimpiangerli
Mentre leggo la sua riflessione mi vengono in mente due notizie, “vecchie” di sole 24 ore.
Di notte, al freddo, un padre bresciano ha lasciato i quattro figli, due dei quali nei seggiolini sganciati dall’auto, il maggiore di tre anni, su un marciapiedi lungo la strada, per ripicca contro la compagna.
Fra una quindicina di ragazzini di una scuola media in provincia di Latina una chat “tossica” bullizzava una compagna bollata come l’ebola, augurandosi che si suicidasse.
Fatti veri, persone in carne e ossa, che dicono moltissimo delle fragilità individuali e collettive, di giovani e adulti, a cui non si può rispondere solo con il bonus psicologo, ne convengo, perché qui vanno riscritti i fondamentali. E politica e religione questo dovrebbero fare.
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Incombe un problema enorme, ci stiamo occupando del testo trascurando l’alfabeto, intossicando per riflesso anche il testo. Il Welfare viene considerato solo il luogo delle mance e delle pacche sulle spalle, ma ciò di cui dovrebbe occuparsi è il cuore stesso del Paese, garantendone la tenuta. Come scrivevo nel post, i prossimi anni saranno molto impegnativi da questo punto di vista, bambini e ragazzi gettati nella vita come capita oppure straviziati nella certezzaa di fare il loro bene, chiederanno conto. Sarebbe meglio prevenire, ma la prevenzione non fa spettacolo, allora aspettiamo che succeda ciò che deve succedere. Un caro saluto
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